Olimpiadi
Il mito delle Olimpiadi, a Rio come nell’antichità
Alle Olimpiadi, scrive Jürgen Moltmann, si associano sempre due interessi politici: un interesse di politica interna e uno di politica estera. Quello di politica interna allude alla funzione ricompattante che lo sport include ancor di più una pratica sportiva in cui il corpo della nazione è impegnato a “dare il meglio di sé”. Abbiamo vinto noi è il sentimento spontaneo che genera l’agonismo sportivo olimpico.
Quello di politica estera allude all’Io nazionale che è in gioco in quella competizione. Ancora Moltmann osserva che se nei giochi olimpici dell’antichità la vittoria era il segno del favore degli dei, così non è nella versione moderna delle olimpiadi dove le vittorie sono “gloria della nazione”.
Moltmann ricorda come Pierre De Coubertin a fine Ottocento, per lanciare l’idea della moderna olimpiade, prese solo alcune cose dall’antica religione , quelle che gli sembravano più utili: il luogo dei giochi doveva diventare un territorio sacro; l’entrata degli atleti corrispondere a una sorta di processione; il comitato olimpico assumere la fisionomia di un corpo di sacerdoti il cui compito era ed è l’osservanza della legge; la cerimonia del giuramento un a sorta di un processo di iniziazione, comunque un atto di purificazione; le onoranze ai vincitori, un omaggio alla nazione.
Insomma un rito “a tempo” in cui l’uomo celebra, invoca, sacrifica e qualche volta premia se stesso. Talvolta persino condanna o espelle, come tutte le strutture in cui vige la regola prima di non violare le regole del patto e di punire con massima pena (il degrado e l’espulsione) coloro che disattendono alle regole, un atto che è percepito come equivalente al tradimento, comunque al venir meno a un atto di fiducia accordata. Forse più che un tradimento, un atto di diserzione.
Noi sappiamo che non è così da tempo. Non lo è dal 16 ottobre 1968 quando Tommie Smith (il primo a rompere il muro dei 20’’ nei 200 metri piani) e John Carlos alzano il pugno con il guanto, segno dei Black Panther, ma anche Peter Norman, l’australiano arrivato secondo, consenziente partecipò alla protesta come poi ha ricordato Gianni Mura.
Non lo è da Monaco nel 1972, quando i terrorismo entra nei giochi. Non lo è nel 1976, 1980 e poi nel 1984 quando gran parte egli Stati africani boicottano l’Olimpiade per la questione del Sudafrica (di fatto un olimpiade a quattro cerchi anziché cinque) gli Stati Uniti boicottano le Olimpiadi di Mosca e successivamente l’Urss quelle di Los Angeles.
Ma nemmeno il motto che costituisce il “luogo comune” delle Olimpiadi – “L’importante è partecipare” – corrisponde al vero, come ricordano Eva Cantarella e Ettore Miraglia, così come la corruzione non manca nell’antichità.
Anzi la verità è esattamente opposta. Conta solo vincere, per di più in uno spirito altamente competitivo, individualistico, perché la realtà olimpica i, fin dall’antichità, si regge sulla competizione.
Come ci ricorda Pindaro, (Olimpica I, 95- 101), infatti, “è là, ad Olimpia, che si affrontano i corridori più veloci, là che si giudicano la forza, il valore, la resistenza alle fatiche. E il vincitore, per il resto della sua vita, conosce la felicità e la gioia. È una gioia che si trasmette nel tempo, nei giorni: è la gloria, bene supremo per gli uomini”. Scrive ancora il poeta (Olimpica VIII, Ode 69, 86-87) che il secondo classificato avrebbe patito come tutti gli altri un “odioso ritorno a casa e una fama non gloriosa” e i non vincitori “lungo i vicoli, scansando i nemici, sono mortificati e colpiti dalla sfortuna”.
Si poteva dire in forma più diretta? Meglio liberarsi dai miti, finché si è in tempo. Poi si può anche stare incollati al video fare notte e che vinca il migliore (Qui, il calendario dei Giochi di Rio 2016). Ma quella è un’altra storia.
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Nella foto, la presidente del Brasile Dilma Rousseff accende la torcia olimpica per la prima volta sul suolo brasiliano. A sinistra, il presidente del Comitato olimpico brasiliano Carlos Arthur Nuzman
Il sito ufficiale dei Giochi Olimpici di Rio 2016
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