Olimpiadi

Katarina Witt, erotismo e Guerra fredda

18 Febbraio 2024

Nella storia di Playboy, soltanto due numeri sono andati esauriti. Il primo, nel 1953, era quello che conteneva le foto senza veli di Marilyn Monroe; il secondo, alla fine del 1998, annunciava in copertina il servizio osé di Katarina Witt. Ma chi era la bomba sexy che aveva eguagliato il record della massima icona hollywoodiana?

Katarina Witt veniva dalla Repubblica Democratica Tedesca (RDT) e non ancora diciannovenne si era rivelata al mondo il 18 febbraio 1984, vincendo l’oro nel pattinaggio artistico alle Olimpiadi di Sarajevo, titolo che avrebbe bissato a Calgary quattro anni dopo, quando fu anche accreditata di un flirt (non confermato) con la “bomba delle nevi”, l’eroe italiano Alberto Tomba. Nel mezzo, accumulò quattro corone mondiali e restò campionessa europea dal 1983 al 1988.

Dopo la vittoria ai Giochi di Sarajevo, Witt fu subito al centro dell’attenzione dei media occidentali

L’avvenenza e le mirabili prodezze sportive – per di più in una disciplina che non suscita soverchie passioni – non bastano però a spiegarne il clamoroso successo. C’era ben altro e, come al solito, si trattava del contesto: Ronald Reagan stava finanziando lo “scudo stellare” per neutralizzare la minaccia atomica sovietica; in Urss il gerontocrate Konstantin Černenko non aveva ancora lasciato il passo alle riforme di Mikhail Gorbaciov e sugli schermi “The day after” descriveva l’olocausto nucleare innescato dalle super-potenze. Insomma, il mondo era nel pieno di una delle fasi più aspre della Guerra fredda, che nessuno immaginava sarebbe terminata di lì a poco.

Inoltre, quando Witt salì alla ribalta, la Germania Est non era ancora uno Stato fallito e anzi traeva lustro e legittimazione dal suo più conosciuto e rinomato prodotto: atleti e atlete. È noto che la Guerra fredda si combatté armi alla mano solo nelle periferie del pianeta, mentre al centro degli Imperi infuriava una battaglia diplomatica, economica e culturale, e lo sport rappresentava l’arena dove più accanitamente le due parti si fronteggiavano con regolarità.

Il politologo Joseph Nye avrebbe teorizzato il soft power solo all’inizio degli anni Novanta [1], ma Usa e Urss (nonché i rispettivi paesi-satellite) non attesero che la pratica fosse concettualizzata per cercare di ottenere consenso ed esercitare influenza proiettando un’immagine positiva di sé. Così, dopo il trionfo di Witt a Sarajevo, la nomenklatura della RDT comprese di avere tra le mani un’arma di seduzione di massa, che avrebbe potuto rovesciare lo stereotipo dell’atleta robotico e pompato dagli steroidi che razziava medaglie e coppe senza affascinare, e concorrere a smontare l’altrettanto radicato luogo comune di un paese cupo e triste.

La sessualizzazione spinta di Witt fu un precoce obiettivo della sua allenatrice, la severissima e temutissima Jutta Müller [2], che aveva ottenuto una speciale dispensa per acquistare a Berlino Ovest i tessuti con cui confezionava arditissimi costumi di gara, che sovente sollevavano le rimostrazioni delle altre concorrenti. Ai Mondiali di Budapest del 1988, la formale protesta elevata dal Canada contro il succinto perizoma di Witt, costrinse la Federazione internazionale a correre ai ripari: fu allora varata la “regola Katarina”, che impose alle pattinatrici di indossare abiti che coprissero sempre il sedere [3].

La parossistica attenzione suscitata dal “più bel viso del socialismo reale”, come fu ribattezzata Witt dopo la nomina ad ambasciatrice dell’UNICEF, lusingò e al contempo allarmò i vertici della RDT. Per scongiurare una possibile defezione, il ministro Egon Krenz promise a Witt il nullaosta per pattinare professionalmente negli Stati Uniti, se solo avesse confermato l’alloro olimpico.

Come ha intelligentemente rilevato la storica canadese Annette F. Timm, due pilastri sorreggevano la carica erotica di Witt: da una parte, veniva enfatizzato l’approccio naturale e de-sessualizzato alla nudità, che negli anni Ottanta era diventato uno dei marchi culturali della Germania Est, dove il nudismo era ampiamente praticato; dall’altra, veniva rinforzato l’immaginario occidentale legato a una maligna connotazione della sessualità femminile nei totalitarismi [4].

Nell’opera di Riefenstahl, il nudo rimandava all’antichità classica

Quanto al primo aspetto, il naturismo tedesco risaliva alla Freikörperkultur (FKK), la corrente sociale che alla fine del XIX secolo esaltava la salubrità dello stare nudi all’aria aperta. Il nudismo si era largamente affermato durante la Repubblica di Weimar, quando era stato associato al movimento socialdemocratico, e aveva penetrato anche la cultura del Reich hitleriano, come dimostravano il film “Olympia” di Leni Riefenstahl e le sculture di Arno Breker and Josef Thorak. Nessuna meraviglia quindi che il regime comunista avesse inizialmente contrastato la FKK, intravedendovi i segni di una triade demoniaca rappresentata dal sesso, dal nazismo e dal cedimento a ideali borghesi e decadenti. Poi, visto l’immutato favore popolare e la difficoltà di sradicare il fenomeno, il Governo lo assecondò, presentandolo come il risultato del progresso socialista [5].

All’Ovest, al contrario, prevaleva una visione più maliziosa e dietrologica, di cui Witt era per lo più inconsapevole condividendo in pieno l’ideale naturista tedesco: specialmente nel clima della Guerra fredda, la leggiadra pattinatrice alimentava la convinzione che il blocco comunista sfruttasse il potere seduttivo di belle donne opportunamente addestrate allo scopo di ricattare politici, funzionari o uomini d’affari occidentali. Non erano pochi gli antecedenti che suffragavano tale credenza: l’alone di leggenda che circondava un personaggio come Mata Hari, la campagna mediatica che durante la Seconda guerra mondiale esortava soldati e ufficiali a diffidare di relazioni intime occasionali e anche l’impiego da parte dell’intelligence statunitense dell’attraente tennista Alice Marble in una missione di spionaggio anti-nazista nel 1945 [6].

Durante la Seconda guerra mondiale, manifesti invitavano i soldati a non confidarsi con partner stabili od occasionali

Esisteva inoltre una copiosa produzione artistica contraddistinta, specialmente al cinema, dal connubio fra bellezza e rischio mortale: dalla “Ninotchka” di Greta Garbo che proviene dalla Mosca staliniana, alla infida Spectre che spedisce la seducente Tatiana Romanova sulla tracce di James Bond in “007 dalla Russia con amore”, per arrivare a Jennifer Lawrence, avvenente agente dei servizi russi nel recente “Red sparrow”. L’accostamento dell’erotismo di Witt alla sua fedeltà allo Stato comunista, che la stessa Witt ringraziava sovente per averle concesso l’occasione di una luminosa carriera sportiva nonostante gli umili natali [7], rimandava per di più a una devianza sessuale che per l’Ovest era tipica dei totalitarismi e perniciosa per le democrazie, come ancora una volta si incaricavano di dimostrare i film soft-core della serie nazisploitation, assai popolari fra gli anni Settanta e Ottanta in vari paesi europei e negli Stati Uniti [8].

Infine, a Calgary, Witt confermò il successo olimpico, superando l’americana Debi Thomas, in quella che passò alla storia come la “battaglia delle Carmen”, dato che entrambe avevano scelto di pattinare sull’aria della celebre opera di Bizet. I notabili del partito mantennero la promessa e Witt partì per una lucrosa tournée all’estero. Il fatidico 1989 la colse in Spagna, a registrare la pellicola “Carmen on ice” con l’olimpionico statunitense Brian Boitano. Al suo ritorno in patria, il Muro non c’era più e la storia conobbe un’inattesa torsione.

Commentando il voluminoso dossier che la Stasi aveva raccolto su di lei, spiandola dall’età di otto anni (!), Witt dichiarò che la relazione con la famigerata polizia segreta era stata vantaggiosa per entrambe le parti e persino amichevole [9]. Nella Germania riunificata, Witt fu improvvisamente ritenuta “persona non grata”, anche lei vittima della Ostalgie, quel misto di nostalgia e assenza che aveva contagiato molti abitanti della Germania orientale dopo il crollo della RDT. Invece in America, dove era la vedette principale dello show Holiday on ice e persino attrice, pur in ruoli minori, accanto a Tom Cruise e Robert De Niro, la sua popolarità toccò le stelle, fino a che Witt cedette ai dollari e alla decennale insistenza di Hugh Hefner, spogliandosi sulle pagine del più affermato magazine per adulti.

 

[1] Nye, J., Soft Power: The Means to Success in World Politics,  PublicAffairs, 2005.

[2] Reilly, R., Behold the shining star of the G.D.R., “Sports illustrated”, 20 gennaio 1986.

[3] Feder, A., “A Radiant Smile from the Lovely Lady”: Overdetermined Femininity in “Ladies” Figure Skating, in “The drama review”, primavera 1994.

[4] Timm, A.F., “The Most Beautiful Face of Socialism”: Katarina Witt and the Sexual Politics of Sport in the Cold War, in AA.VV., “The Whole World Was Watching”, Stanford University Press, 2019.

[5] McLellan, J., State Socialist Bodies: East German Nudism from Ban to Boom, in “The Journal of Modern History”, Vol. 79, No. 1 (marzo 2007), pp. 48-79.

[6] Timm, A.F., Op. cit.

[7] Cfr. Ice in the soul, “The Observer”, 4 novembre 2001.

[8] Timm, A.F., Op. cit.

[9] Ibidem.

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