Nuoto
Hedy Bienenfeld, una nuotatrice controcorrente
Nella Giornata della Memoria, la storia di un’atleta che mise in discussione gli stereotipi sugli ebrei
L’attacco pogromista di Hamas del 7 ottobre 2023 è stato uno shock per il popolo ebraico, che ha sperimentato una vulnerabilità non più conosciuta dalla nascita dello Stato di Israele e dalla costituzione di un esercito da sempre considerato fra i più preparati e meglio attrezzati del pianeta. Il fallimento iniziale è stato vendicato con una sproporzionata e spietata risposta militare, anche con lo scopo evidente di restaurare l’aura di invincibilità e di inarginabile potenza dell’esercito di Tel Aviv. Secondo diversi osservatori, però, proprio il carattere estremo della rappresaglia, diretta espressione di tale strapotere bellico, rischia di mettere a repentaglio la sicurezza di Israele nel futuro.
A pensarci bene, si tratta di un autentico paradosso se solo si ripercorre la storia degli ebrei, che per millenni sono stati convertiti con la forza, esiliati, emarginati, privati di opportunità professionali e educative, forzati a vivere nei ghetti e infine sottoposti a uno sterminio genocida a causa della loro debolezza. Fu necessaria una rivoluzione filosofica e culturale perché si ponessero le basi di un radicale cambio di paradigma e l’occasione venne dalla contemporanea affermazione del sionismo e degli sport moderni, a partire dalla fine del XIX secolo. Al primo congresso sionista del 1897, il medico e sociologo ungherese Max Nordau illustrò ai convenuti il cosiddetto Muskeljudentum, traducibile in “giudaismo muscolare”, un’idea che ribaltava il senso comune allora prevalente. Per la maggior parte degli ebrei, giochi e sport erano frivolezze cui non si poteva né si doveva indulgere, mentre per gli osservanti, le attività atletiche e la cura del corpo erano al meglio una perdita di tempo e al peggio una maledizione da scongiurare.
Dopo secoli di oppressione e diaspora, per Nordau e i suoi seguaci l’esercizio sportivo costituiva invece una risposta all’immagine stereotipata degli ebrei fragili, avidi e dediti unicamente all’appagamento religioso, intellettuale e commerciale. La forza fisica era anche la via per irrobustire il carattere e lo spirito del popolo, nel quadro di un più ampio progetto di emancipazione, resistenza e autodeterminazione, che ben si inquadrava nell’ideale sionista della conquista del “focolare nazionale”.
Il messaggio, seppur contrastato, fu recepito. Soprattutto i giovani, anche a causa delle clausole discriminatorie che dovevano subire nei club gestiti dai gentili, si adoperarono per creare le loro organizzazioni sportive, le quali – in ossequio alla sopra richiamata retorica muscolare – presero per la maggior parte denominazioni evocative. Fra i primi e più importanti sodalizi nel 1909 sorse quello di Vienna, che fu subito battezzato col nome di Hakoah, “forza” in ebraico. Aperto a tutte le discipline sportive, il club viennese si distinse nel calcio, vincendo il campionato nazionale nel 1925, nell’atletica, nella lotta e nel nuoto. Come accuratamente documentato dal prof. Gherardo Bonini [1], studioso della storia dello sport europeo e austriaco in particolare, proprio nella sezione natatoria si distinse Hedwig “Hedy” Bienenfeld, una delle atlete che più contribuirono a dare forma e gambe all’ideologia di Nordau, sfidando i secolari cliché che penalizzavano il popolo ebraico.
Nata nel 1907 nella capitale dell’impero austro-ungarico, Bienenfeld fu un talento precoce e longevo. Competitiva sia in piscina che nelle acque libere, ottenne i primi successi appena quattordicenne e nel 1925 si aggiudicò la celebre Quer durch Wien (“Attraverso Vienna”), la gara che si svolgeva per cinque miglia nelle acque del Danubio e che attirava centinaia di migliaia di spettatori. Longilinea e dotata di una figura armoniosa, accumulò vari primati e titoli nazionali, per quanto molti di questi siano stati contestati o persino vanificati dall’insorgente ideologia nazista e dall’antisemitismo che permeava la società austriaca dell’epoca. Bienenfeld fu comunque capace di conquistare una medaglia di bronzo ai Campionati europei del 1927 nei 200 rana e di chiudere al tredicesimo posto sulla stessa distanza alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. L’anno successivo fu inclusa nel novero delle migliori nuotatrici a livello mondiale e vinse poi diverse medaglie alle Maccabiadi, i giochi olimpici ebraici che videro la luce nel 1932.
All’apice della carriera, Bienenfeld divenne nota pure per la sua avvenenza. Dopo aver vinto dei concorsi di bellezza da adolescente, era stata assunta da un’azienda di abbigliamento e aveva cominciato a posare come modella, indossando splendidi abiti e succinti costumi da bagno. Nel febbraio 1930, finì sulla rivista americana New York Evening Post, che la definì regina dello sport e regina di bellezza. La singola immagine che la rese immortale fu pubblicata sulla copertina del periodico per fumatori Der Raucher, dove Bienenfeld comparve con il costume da gara tenendo una sigaretta fra le dita e ammiccando all’obiettivo.
In quegli anni, immagini di donne che fumavano e per giunta seminude non erano comuni e suscitavano aspre controversie, specialmente negli ambienti conservatori. La fotografia celebrava un corpo atletico e naturale, distante dagli ideali tradizionali della donna fragile, pudica e delicata. Bienenfeld incarnava una bellezza moderna e dinamica, simbolo di emancipazione e progresso, in aperto contrasto con i forti pregiudizi antisemiti: senza bisogno di pensose argomentazioni, una sola fotografia ridicolizzava la propaganda ariana che dipingeva gli ebrei come persone fiacche e sgradevoli.
Il clima a Vienna peggiorò rapidamente dopo che i nazisti ascesero al potere in Germania e anche gli atleti di Hakoah dovettero subire attacchi verbali e aggressioni. A poco valeva che i lottatori, incluso il gigantesco Nickolaus Hirschl, bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932, viaggiassero con le ragazze del nuoto per proteggerle dalle violenze. Bienenfeld intanto andava verso i 30 anni ma proprio il crescente odio per la minoranza ebraica, la spinse ad allenarsi duramente per spronare le nuove leve. Su consiglio dell’allenatore e marito Zsigo Wertheimer, modificò la sua bracciata per sposare il nuovo stile a farfalla. Negli anni, il nuovo modo di nuotare sarebbe stato codificato in uno stile diverso, quello che oggi conosciamo come delfino, ma all’epoca era una semplice evoluzione della rana, che si caratterizzava per il recupero delle braccia fuori dall’acqua e che consentiva di accelerare notevolmente la progressione. Fu così che nel 1937, Bienenfeld tornò a dominare la specialità, stabilendo il primato nazionale nei 100 metri, che tuttavia le fu sottratto per decreto dopo che l’Anschluss aveva fatto dell’Austria niente di più che la provincia orientale del Terzo Reich.
L’ultimo servizio che Hakoah rese alla propria gente fu di metterla al riparo dalla Shoah. Per un’ironia della storia, quella passione sportiva che molti padri e madri avevano contrastato perché poco femminile e perché produceva un’inaccettabile promiscuità sociale e sessuale fu infine la loro salvezza: Hedy e le altre ragazze che, come lei, si erano fatte un nome come atlete di primo piano, contribuirono non solo alla prima demolizione dei luoghi comuni che affliggevano gli ebrei e le donne, ma furono soprattutto le artefici della sopravvivenza delle loro famiglie. Grazie ai contatti internazionali ottenuti con le riunioni sportive, l’organizzazione riuscì a far espatriare in sicurezza migliaia dei suoi membri. I coniugi Wertheimer scapparono prima in Gran Bretagna e poi negli Stati Uniti. Rimasta vedova, Hedy tornò a Vienna nel 1965, dove morì nel 1976.
[1] Bonini, G., Hedy, la leonessa, Firenze, 2017
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