Ciclismo

Sueños, Mercutio y Carapaz

3 Giugno 2019

Pancho Segura aveva una bella faccia brunita al centro della quale scintillava un sorriso abbagliante. E’ stato, intorno agli anni Cinquanta, uno dei migliori tennisti del mondo: per tre anni consecutivi (1950, 1951 e 1952) vinse gli US Pro Tennis Championship, su tre superfici diverse (terra battuta, erba e cemento), record imbattuto e, credo, imbattibile. Fu primo nel ranking internazionale nel 1950, a pari merito con Jack Kramer, e nel 1952, con l’amico-rivale Pancho Gonzales. Segura, detto Segoo, colpiva di dritto con due mani, fatto più che mai raro, ed era velocissimo.


Era nato a Guayaquil da una famiglia di pochi mezzi economici ma, grazie a una borsa di studio, a diciassette anni lasciò l’Ecuador per andare a vivere e a giocare negli Stati Uniti, di cui prese la cittadinanza senza però mai rinunciare a quella ecuadoriana. Si trovò a giocare, e a vincere, anche lassù, nell’America wasp A chi gli chiedeva che cosa c’entrasse lui, ispanico, in uno sport a quell’epoca per bianchi e ricchi, rispondeva: “La gente non capisce. Pensa che il tennis sia uno sport da ricchi. Ma non ci vuole niente di più di una racchetta e di un cuore per praticarlo. Questo è ciò che fa grande uno sport come il tennis. È una grande prova di democrazia in azione. Io e te, amico, nell’arena. Solo io e te. Non importa quanto denaro tu abbia, o chi sia tuo padre, o se tu abbia studiato a Harvard, o a Yale, o quale che sia. Soltanto tu e io”.
A carriera conclusa, a Pancho Segura, la municipalità intitolò una delle principali strade di Guayaquil, che collega il barrio Cuba, dove nacque nel 1921, al barrio del Centenario.

Jefferson Perez, il marciatore che a soli 22 anni vinse l’oro nei 20 km della marcia ad Atlanta nel 1996, primo ecuadoriano a salire sul gradino più alto del podio alle Olimpiadi, prima di partire aveva fatto un voto: in caso di vittoria, sarebbe andato a piedi, per 459 km, da Quito, la capitale dove aveca pronunciato il suo voto nella Cattedrale, fino a Cuenca, la sua città natale. Camminò, marciò, corse per undici giorni, passando dai 2.500 ai 4.800 metri di altitudine, fino a raggiungere la sua città natale Cuenca. Il suo pellegrinaggio venne seguito e accompagnato da centinaia di migliaia di ecuadoriani al bordo della strada.

In questi giorni, mentre Richard Carapaz si avviava tra la sorpresa di tutti a vincere il Giro d’Italia, dall’altra parte del mondo, a casa sua, in Ecuador il presidente Lenin Moreno con un decreto presidenziale ha definito l’accordo tra la televisione nazionale ecuadoriana e il canale privato ESPN, detentore dei diritti di trasmissione del Giro d’Italia, affinché le ultime due tappe potessero essere trasmesse in chiaro e quindi visibili da tutta la popolazione. E oggi, a vittoria ottenuta, il presidente Moreno ha annunciato che saranno tolte i dazi d’importazione sulle biciclette da corsa prodotte all’estero.

Oggi, domenica 2 giugno, per accogliere la marcia trionfale di Richard “Radames” Carapaz l’Arena di Verona ha sgombrato all’esterno le scenografie dell’Aida, obelischi e geroglifici. C’era poco da decifrare, invero, nel codice del successo del piccolo ecuadoriano dagli occhi distanti come un’iguana, se non soltanto la sua emozione: arrivato sul palco dopo la lunga passerella, accolto dai quasi centomila connazionali gialli-rossi-e-blu accorsi dentro e fuori l’agone, il guscio rosa di Carapaz ha sussultato a lungo scosso da singhiozzi di stanchezza e di emozione. Vincendo la centoduesima edizione del Giro, Carapaz è entrato nell’olimpo dei memorabili equadoriani, al fianco di Panco Segura e Jefferson Perez, e forse presto lo vedremo anche lui sulle estampillas del correos del Ecuador.
In conferenza stampa ha dichiarato che bisogna avere la forza di cristallizzare i propri sogni.

Dice Romeo a Mercutio, nella scena IV del primo atto di Romeo e Giulietta, l’eccellentissima e lamentevolissima tragedia shakespeariana ambientata proprio a Verona:
“Ho fatto un sogno questa notte!”.
“Anch’io”, gli risponde l’amico Mercutio.
“E cosa hai sognato?”, lo incalza Romeo.
“Che i sognatori spesso dicono bugie”, replica Mercutio.
“A letto, quando sognano cose vere”, commenta Romeo.

Così, Shakespeare a dire il vero ci lascia nel dubbio nel sapere se quello che sognamo è quello che vogliamo accada o, talvolta, se è già realtà: cristallizzata, come dice Richard Carapaz.

Ma si è fatto tardi, dalla terrazza del palazzo della Gran Guardia, affacciata su piazza Bra, si assiste alla malinconica dismissione del gran spettacolo. Svolgimento di striscioni e clangori di transenne. Coriandoli rosa e d’oro sull’asfalto.
E sento la voce di Romeo che mi dice:
“Basta, basta, Mercutio! Taci! Tu parli di nulla!”.
Ed io che rispondo, con la voce dell’amico: “Parlo infatti, dei sogni, figli della mente in ozio, che nascono da una vana fantasia la quale ha natura leggera come l’aria e più incostante del vento”.

Fonte
William Shakespeare, Romeo e Giulietta, 1594-96

Colonna sonora
(And I dreamed your dream for you and now your dream is real)

 

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