Ciclismo

Più di Kittel poté la noia

7 Luglio 2017

C’è un signore che si chiama Erik Zabel che di vittorie al Tour ne ha ottenute 12. Si tratta certamente del miglior sprinter tedesco di sempre, e fa un certo effetto constatare che con la vittoria di ieri a Troyes Marcel Kittel è a un solo successo dall’ex vincitore della maglia verde per sei edizioni consecutive della Grande Boucle (dal 1996 al 2001). Zabel correva contro Cipollini, Freire, O’Grady, Steels e McEwen, una concorrenza super-agguerrita, ma aveva dalla sua i super-treni del Team Telekom (e per un breve periodo anche i dosaggi di Epo, che confessò di aver usato proprio a inizio del Tour del 1996, con un pentimento a carriera ormai quasi chiusa nel 2007).

Kittel, come scrivevamo dopo la seconda tappa, è invece guardato dai più come un velocista non propriamente continuo, soggetto negli ultimi due anni a diversi passaggi a vuoto. Eppure già oggi può raggiungere Zabel, e superarlo nei prossimi giorni, alla luce dei percorsi terribilmente piatti e privi di insidie predisposti quest’anno dal’organizzazione. Quando non sono cadute e sgomitate a riempire le cronache, o ancora i tweet spericolati di un velocista contro l’altro, a tratti c’è ben poco da raccontare, e viene da chiedersi se per accendere la gara non varrebbe la pena di tentare quel che stanno già provando in competizioni come l’Eneco Tour (che si corre tra Belgio e Olanda a inizio agosto), con l’istituzione di un chilometro d’oro, ossia una sequenza di tre sprint in successione con distribuzione di abbuoni in ogni tappa a 20 chilometri dal traguardo.

Se si eccettua lo sprint conclusivo (dove Kittel al momento sembra decisamente più in palla rispetto a Greipel e Démare, gli unici contendenti rimasti, dopo la squalifica di Sagan e l’infortunio di Cavendish) l’unico brivido concesso da questi interminabili trasferimenti sotto il solleone è il premio giornalieri alla combattività, che va di solito al corridore che nella fuga di giornata si arrende per ultimo. Davvero troppo poco per tenere alta l’attenzione del pubblico e gli ascolti.

Varrebbe forse la pena di tornare, come nell’edizione vinta da Vincenzo Nibali, a sfidare le pietre delle Ardenne, cercando nel Nord della Francia o nel vicino Belgio quel terreno che può consentire di evitare la noia di questi giorni. Una “Roubaix” (o un Fiandre”) inserita nella prima settimana può ravvivare la gara, rimescolare la classifica, dare una chance a quei passisti che non primeggino tra le ruote veloci.

In gruppo, al netto del cartellino rosso comminato a Sagan, restano i migliori specialisti di corse in linea al mondo, da Matthews a Van Avermaet, da Gilbert a Boasson Hagen, e fa malinconia vedere alcuni di questi campioni costretti a infilarsi nelle fughe che originano in partenza per avere un po’ di visibilità, strappare il suddetto premio alla combattività e gratificare fans e sponsor, senza avere un briciolo di possibilità di giocarsi le proprie carte negli ultimi cinquanta chilometri. Le tappe col finale in volata sembrano terribilmente simili alle gare di formula 1 di oggi. Dove per avere un bridivo bisogna aspettarsi le sportellate.

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