Ciclismo

Pensieri sparsi e romantici su un Giro d’Italia che inizia

9 Maggio 2015

Sarà che quando li vedo faticare con la bocca aperta per incamerare ossigeno, laddove l’aria in quota è rarefatta, non mi pongo tante domande. Non penso al retroscena, al possibile imbroglio; non cedo alla diffidenza. Vedo un uomo, poco più di un ragazzo, che sta spingendo la sua bici con la forza delle gambe e dei nervi lungo una salita, che sia il Mortirolo, o il Fedaia, o il leggendario Pordoi. Cedo al fascino del romanticismo, all’epica della fatica.

Ci sono nomi di montagne che non dicono nulla a un pubblico inesperto, che poco sa di Giro d’Italia. E sono montagne che raccontano storie di fatica, davvero tanta, che intreccia sudore e gelo, come il passo del Gavia e la storia di Johan Van der Velde, olandese che nel 1988 in maglia ciclamino imboccò la salita in fuga per poi fermarsi, vivere un calvario: congelato in mezzo una bufera di neve, con il compito  di arrivare in vetta. E mentre il connazionale Erik Breukink vinceva la tappa, l’uomo in ciclamino annaspava a oltre mezz’ora di distacco, finendo per tagliare il traguardo 47 minuti dopo il vincitore. Ma fece di tutto per superare quella linea di fine tappa. Di fronte a queste scene, ammetto e ribadisco la mia colpevolezza: non penso al doping, mi limito ad apprezzare l’estetica della fatica.

Così un nuovo Giro d’Italia è alle porte, con il solito codazzo di sospetti perché a inizio stagione l’Astana, la squadra di Vincenzo Nibali (che partecipa alla corsa rosa) e di Fabio Aru (che ambisce alla vittoria), era stata messa in discussione con la possibile revoca della licenza per troppi casi di doping. E in cima lista dei favoriti, c’è quell’Alberto Contador, lo spagnolo ‘Pistolero’ (per il gesto che fa ogni vittoria di tappa) con la carriera macchiata da una squalifica per doping che tra l’altro ha causato la revoca del successo del Giro d’Italia 2011.

I pensieri romantici, sparsi sulle imprese ciclistiche, vengono così sporcati dalla storia e dalla cronaca. Perché al fianco delle storie del Gavia, del Pordoi, del Mortirolo, ci sono quelle che portano a Lance Armstrong, il ciclista che aveva simboleggiato la rinascita umana sportiva: sconfiggere il cancro e poi gli avversari sulle strade del Tour de France; salvo poi scoprire che era un bluff, un impostore, un traditore dell’epica della fatica che aveva organizzato un’industria del doping. La sua era una struttura impeccabile che gli consentiva – con qualche complicità di troppo – di schiantare chiunque provasse a contrastarlo in salita o anche a cronometro. La magra consolazione è che non stato mai protagonista sulle strade del Giro, ma volenti o nolenti ha rappresentato la storia del ciclismo.

E poi c’è, inevitabilmente, Marco Pantani e tutto quel che ha significato per l’Italia. Una ferita insanabile per chi negli anni Novanta si appassionava alle azioni leggendarie di un ragazzino che correva senza calcolatrice alla mano, senza sensori nel cervello. Scattava quando sentiva le gambe forti, concedendosi il vezzo di gettare via la bandana in segno di sfida. E c’è della retorica nel ricordare una passione tanto forte, che ha finito per schiantarsi contro la muraglia delle cronache, di una squalifica e della fine rovinosa di un campione che aveva insegnato l’amore per il ciclismo anche a chi abitualmente non seguiva le gesta del Giro d’Italia.

Così il Giro inizia, per la 98esima volta, con una carrellata di sensazioni contrastanti, tra romanticismo, ragione e carrozzone economico. E allora, l’immagine di Van der Velde sembra la sintesi perfetta di uno sport che affronta le bufere, anche quelle causate dagli stessi protagonisti, concentrandosi solo sulla fatica della scalata. L’unica cosa che davvero conta quando c’è una strada in salita da affrontare in bicicletta.

https://www.youtube.com/watch?v=DZDcZFWM-nc

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