Ciclismo
Noi biciofili abbiamo una missione: farvi diventare civili
Ho capito una cosa da questa due giorni riminesi, dove un triliardo di biciclette meravigliosamente disposte per l’Italian Bike Festival ha sopraffatto definitivamente le mie coronarie. Che la prossima volta che qualcuno, a Roma, Milano, o dov’altro mi trovassi, mi metterà la faccia brutta perché passo sulle strisce pedonali in sella alla mia bicicletta, senza scendere come prevederebbe il codice, lo manderò serenamente a cagare. Qui a Rimini hanno invertito l’ordine della democrazia: quando una macchina si avvicina alle strisce, arresta docilmente le sue pretese non perché un umano sia nei pressi, ma semplicemente perché vede “una” bicicletta. È proprio la bicicletta l’umano, il mezzo meccanico che si fa carne e sangue, che consente al suo legittimo proprietario una lunga e serena vita in sella al suo destriero. Una scandalosa normalità. Ho interrogato due vigili, peraltro sorridenti guarda un po’, sull’argomento. Sulla divaricazione tra legge e intelligenza sociale. Mi hanno risposto: «Era una battaglia persa in partenza, ci abbiamo provato a far rispettare la legge delle strisce pedonali, ma non aveva molto senso qui da noi. Per cui la nuova legge è quella non scritta». Sembra di sognare, vero?, sembra di rivedere quella norma del codice che in buona parte dell’Europa si chiama “Senso unico eccetto bici” (facile capire cosa sia), il cui progetto frullò per la testa di qualche avventuroso politico, poi riportato alla ragione dal parlamento italiano.
Mi sono inflitto anche della convegnistica, per amor di bicicletta. L’aveva organizzata il Sole24ore per raccontare di un’economia ormai evidente che gira intorno alle due ruote. I politici del luogo hanno avuto buon gioco a raccontare l’Eden di una regione ad alto tasso di decenza, per cui biciclette e piste ciclabili costituiscono un pre requisito di civiltà. Ma è l’Eden appunto. Nessuno voleva drammatizare e non era il luogo adatto. Ma buona parte della nostra italietta è totalmente incivile, considera la bicicletta come un fastidio, un male necessario, e comunque da estirpare. Non parliamo poi della nota guerra tra poveri, la battaglia quotidiana pedone-ciclista, con l’automobolista che se la ride della grossa perché è riuscito a spostare l’attenzione sulle due fasce deboli, che lui può serenamente abbattere all’interno della sede stradale. La guerra tra poveri è l’ultimo stadio della desolazione, il pedone che ti guarda male e magari ti dà sulla voce perché gli hai invaso il marciapiede. Sei un poverino. Un tapino. Non sai cosa ti perdi se rinunci alla contaminazione tra generi. Rinunci semplicemente alla civiltà.
Si levano voci e le conosciamo: i ciclisti sono dei mentecatti, credono che quel territorio – il marciapiede – sia il loro territorio e la fanno da padroni mettendo a repentaglio la tranquillità delle persone che camminano. Non ci vuole molto a definire questi (non) ciclisti: dei coglioni. Da educare. Da multare, da buttare fuori dal circuito se persistono nella maleducazione. Ma il grosso del popolo ciclofilo è costruito geneticamente per sviluppare energie positive, per legare sentimenti, per fermarsi a riflettere appena ve ne sia un buon motivo. E buoni motivi, quando pedali, spuntano da ogni dove.
Dentro l’Italian Bike Festival al Parco Fellini, gigantesco guazzabuglio di felicità, i produttori hanno pompato l’elettrico come bestie. Ci hanno spiegato che all’ultima fiera in Germania, il 90% del prodotto era elettrico. Capiamo l’esigenza di spingere un mercato in assoluta espansione, ma qui c’è un problema di democrazia sociale. Le bici assistite costano. Molto. Troppo. Ma chi se le può permettere? Un mezzo che ha duecento anni, che è il simbolo della fatica, della coesione, non può essere così divisivo, per cui relegare l’elettrico in un circuito privilegiato. Qui, ovviamente, entrano in gioco le politiche, le visioni, i ritardi dei vari Paesi sulla sostenibilità. Adesso tutti ne parlano, ma è un parlare mainstream, da argomento del mese, qualche salotto, un programmino politico per un governo osceno, e la pillola va giù. Pensate per esempio alla Fiat, adesso Fca, a cui dell’elettrico, dell’ibrido, non è mai fregato una cippa. Adesso è in ritardo di vent’anni sul mercato.
Il cammino è lungo. Meglio diradare le gite nei posti civili. Troppo, insopportabile, dislivello, ti domandi come sia possibile che umani della stessa etnia possano vivere così diversamente – e non parliamo dell’Europa ma di semplici regioni italiane – come sia possibile che la civiltà possa sbarcare allegramente in una cittadina della Romagna, e affondare tragicamente nella barbarie di un inferno come Roma. È più del mistero della vita.
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