Ciclismo
La tesi della camorra contro Pantani non lava le nostre coscienze
Noi lo ricordiamo sempre mentre getta la sua bandana. Lanciando la sfida ai suoi rivali, con uno scatto, una delle leggendarie rasoiate che facevano male alle gambe degli avversari. E tanto anche. Che fosse il Galibier, l’Alpe d’Huez o il Mortirolo, non c’erano pendenze che potessero spaventarlo. Né calcoli di classifica con annesse strategie. C’era l’indole del campione, che non resiste agli impulsi del cuore. Marco Pantani era, per questo motivo, il Ciclismo. Lo è stato per un’intera generazione. Tanto che il crollo del Pirata ha spezzato in maniera irreversibile l’amore verso la bicicletta per migliaia di persone. Perché era un amore istintivo, dalla purezza adolescenziale, quindi tragicamente fragile. Fragile come il carattere di un ometto che pure in sella sembrava fatto di ferro e forza. Sembrava un supereroe indistruttibile, invece era un essere umano.
Ora si torna a parlare di quel giorno, del 1999, che ha cambiato la carriera. A Madonna di Campiglio valori dell’ematrocrito erano troppo alti e il Giro d’Italia visse uno dei giorni peggiori della sua storia. Quell’evento ha distrutto la carriera di Marco Pantani e, purtroppo, gli ha anche rovinato la vita. Il pm di Forlì ha ora formulato un’ipotesi secondo cui “un clan camorristico intervenne per far alterare il test e far risultare Pantani fuori norma”. Si tratta della stessa storia tirata fuori nel 2014, circa un anno e mezzo fa che non ha dato ulteriore esito. Si parla di una montagna di soldi contro il Pirata delle Montagne, un’argomentazione che a una prima occhiata appare verosimile. Ma che, al di là dello smisurato amore per lo scricciolo di Cesenatico, deve essere suffragata dai fatti, dalle prove. La passione smisurata per Pantani non può ottenebrare la ragione di un percorso giudiziario.
Ma, nell’incertezza di un caso complesso e doloroso, resta una verità storica. L’accanimento del sistema mediatico nei confronti di Marco Pantani dopo Campiglio. Il campione, nel momento di difficoltà, è stato gettato via. Nella pattumiera del rancore pubblico e del gorgo mediatico che pone poca attenzione all’aspetto umano. Tutto è stato giudizio, immediato e senza prove di appello, sul “dopato”, una sorta di truffatore della bici che aveva ingannato tutti. Il supereroe non c’era più. Al suo posto era apparso un impostore, da mettere alla gogna. Senza alcuna pietà. O forse qualcuno credeva che fosse solo un fumetto da riadattare al Cinema, attenendo la rinascita del Campione. E ora, appurato che la realtà è molto più complicata, cerca di lavare la propria coscienza sposando la tesi verosimile e soddisfacente del complotto. Ma non basta. Non può bastare.
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