Ciclismo
Il Tour perde subito Don Alejandro
Comincia oggi il mio racconto del Tour, un po’ cronaca, un po’ riflessione sull’idea di uno sport antico e sulla maniera di raccontarlo ai tempi della Rete
A vedere le rive rabbuiate del Reno, e l’asfalto della Königsallee battuto impietosamente dalla pioggia durante il crono-prologo del Tour, tornavano in mente le pozzanghere nere e fredde del “Bateau Ivre”. Una certa idea di Europa, ancora capace di tenere insieme sotto il cielo dello stesso immaginario la Liegi di Brel e il mare di Trenet, le pietre delle Ardenne e il gallo rosso in campo giallo degli stendardi valloni, la Düsseldorf di Schumann, Mendelssohn e dei Kraftwerk, resiste probabilmente solo al Tour, in quello che resta non solo probabilmente l’evento sportivo a cadenza annuale più importante e seguito, ma anche quello in cui l’identità del Vecchio Continente si rispecchia ancora in un’immagine rassicurante e fedele alla propria storia.
Proprio a causa di una scivolata sul bagnato si è infranto il sogno del murciano Valverde, probabilmente il ciclista più forte degli ultimi quindici anni, di certo il più completo, l’unico capace durante una carriera che sembra infinita di evolvere da sprinter capace di competere nelle volate di gruppo a cacciatore di classiche sino a uno da classifica nei grandi giri. Don Alejandro carezzava l’idea di vincere un Tour in cui i chilometri a cronometro sono stati ridotti al minimo storico, nel tentativo di favorire l’enfant du pays Romain Bardet. Per trovare un successo francese bisogna risalire addirittura al 1985 e a Bernard Hinault. L’organizzazione ha dunque disegnato un percorso tagliato su misura sullo scalatorino dell’AG2R La Mondiale, dando così una mano anche al nostro Fabio Aru, novello campione tricolore.
Aru, Bardet, Quintana, Contador e persino il quotatissimo tasmaniano Richie Porte, alfiere del ciclismo lontano da ogni sospetto di doping della compagine statunitense BMC, sono stati però surclassati nel crono-prologo da Chris Froome e i suoi luogotenenti. Il Team Sky ha infatti piazzato quattro uomini nei primi otto, portando a casa la prima maglia gialla con il gallese Geraint Thomas. .
Thomas era venuto al Giro con ambizioni di vittoria, ma è stato presto costretto al ritiro da una caduta. Il luogo comune vuole che il periodo che passa tra la corsa in rosa e il Tour sia troppo lungo per poter tenere la condizione e di contro troppo breve per avere due diversi picchi di forma. Ma Thomas sulle strade italiane alla fine ha percorso pochi chilometri, e potrebbe rivelarsi un’alternativa al capitano. I rumors del ciclo-mercato vogliono infatti Froome all’ultima stagione con Sky e in procinto di passare proprio agli avversari della BMC. Il keniano sarebbe stanco delle chiacchiere che circondano la squadra britannica dopo che a marzo di quest’anno Nicole Sapstead, numero uno dell’agenzia antidoping Uk, ha accusato Richard Freeman, l’ex medico del Team Sky, di avere occultato alcune informazioni relative alla cartella clinica di Bradley Wiggins. Il baronetto (che si è ritirato nel 2016) è sospettato di aver utilizzato nel Tour del Delfinato del 2011 un corticosteroide, consegnatogli illecitamente in un pacco che doveva contenere del banale Fluimucil. I dati contenuti nella cartella avrebbero dovuto fare chiarezza sulla faccenda, ma il computer di Freeman che conteneva le informazioni è sparito durante una vacanza in Grecia del 2014.
All’interno di Sky ci sarebbe insomma aria di fronda, e la formazione schierata qui al Tour è così forte da poter nella sostanza tener bloccata la corsa non solo per Froome anche per Thomas, avvalendosi in salita dell’appoggio del formidabile trio di gregari Nieve, Henao e soprattutto Landa, con il passista Kiryenka come apripista. Froome, che sino a oggi nel 2017 non è parso brillantissimo in salita, non può fare a meno del treno Sky, ma forse per la prima volta Sky può fare a meno di Froome, lanciando da lontanissimo-addirittura dal crono-prologo- il suo delfino gallese.
Intanto però c’è da capire chi indosserà la maglia gialla dopo la seconda tappa, che si chiude a Liegi. Quello che dovrebbe essere il primo arrivo a ranghi compatti è stato messo nel mirino dalla Quick-Step Floors, che ha fatto correre il crono-prologo alla morte ad almeno tre dei suoi esponenti: lo sprinter tedesco Marcel Kittel e i finisseur Matteo Trentin e Philippe Gilbert. Saranno proprio Gilbert e Trentin a pilotare Kittel in una volata tutto sommato abbordabile. Gli avversari più quotati sono il campione del mondo Peter Sagan e l’altro tedesco André Greipel, il “gorilla” della Lotto-Soudal. Vedere la maglia iridata primeggiare allo sprint costituirebbe un formidabile lancio di comunicazione per la corsa in giallo. Lotto e Quick-Step sono però formazioni belghe, e dunque venderanno cara la pelle: per loro il traguardo di Liegi assume infatti un significato ancora più alto, anche perché entrambe le squadre sono alla ricerca di sponsor per la prossima stagione.
Attenzione anche a “Cannonball” Mark Cavendish, che, a fronte delle 32 primavere e di uno spunto non così brillante come in passato, al Tour vanta un ruolino di marcia inimitabile, con ben trenta vittorie. Ma la maglia gialla è alla portata anche dell’australiano Michael Matthews e del norvegese Edvald Boasson-Hagen, entrambi tra i primissimi nel prologo. Dallo storico traguardo della Liegi-Bastogne-Liegi, la corsa di un giorno considerata la classica-monumento per eccellenza, si attende dunque un verdetto che segnerà la prima settimana del Tour. E suona un po’ come una beffa il fatto che proprio Valverde sia stato il dominatore delle edizioni più recenti della “Doyenne”. Don Alejandro da queste parti è amatissimo, quanto un corridore di casa, e la sua assenza al traguardo sarà ancor più dolorosa.
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