Ciclismo
Il mio Giro fuori sincrono
È una storia lunga quella che lega la radio, come medium per la comunicazione di massa, al Giro d’Italia.
L’esordio avviene nel 1932, quando l’ultima frazione si conclude all’Arena civica di Milano: l’arrivo dei corridori viene raccontato in forma sperimentale dal radiocronista Nello Corradi. Due anni dopo, nel 1934, la radio dell’EIAR (l’ente radiofonico antesignano della RAI) già segue quotidianamente le tappe del Giro, celebrando la vittoria finale di Learco Guerra.
Si tratta di una rivoluzione culturale: fino ad allora, il racconto del ciclismo, così come di ogni altro fenomeno degno di cronaca, era affidato esclusivamente ai giornali. Per il ciclismo, però, si tratta anche di un autentico cambio di paradigma, perché proprio gli editori e i redattori delle testate giornalistiche avevano inventato le grandi corse, quelle che ancora oggi ci appassionano, per poterle raccontare. Il Tour de France viene organizzato per la prima volta nel 1903 da L’Auto (poi divenuto L’Équipe); La Gazzetta dello Sport seguirà questo esempio, nel 1909, organizzando la prima edizione del Giro d’Italia.
Il ciclismo, dunque, fin dalle sue origini, non è solo uno sport: è il primo grande caso, ante litteram, di marketing strategico nel settore dell’editoria e della comunicazione. Per i giornali dell’epoca organizzare una corsa e raccontarla ai propri lettori, con dovizia di particolari, significa vendere più copie. Ciò è possibile in virtù della natura diffusa, non concentrata in un luogo, delle competizioni. Gli spettatori possono godere appieno dello spettacolo solo al momento della partenza e dell’arrivo dei corridori. In mezzo, c’è il territorio che i ciclisti devono attraversare, lì la corsa diviene un mistero intorno a cui prospera il ruolo dei giornalisti al seguito della gara: raccontare ciò che la massa dei lettori non può vedere. Solo chi si trova in prossimità del traguardo potrà conoscere il nome del vincitore di una tappa, ma non potrà sapere come si è evoluta la corsa. Chi non è fisicamente presente all’arrivo, non potrà sapere nulla. Tutti dovranno leggere gli articoli dei giornali, nei giorni successivi, o farseli raccontare, per capire davvero qualcosa.
L’avvento della radio muta radicalmente questa dinamica: le corse non sono più un mistero, possono essere seguite nel loro svolgimento attraverso le sintesi e, almeno in parte, le narrazioni in diretta offerte dai radiocronisti. Il racconto del ciclismo, per la prima volta nella storia, non è più asincrono: avviene mentre si verifica l’azione. Ciò non erode la popolarità delle cronache scritte sui giornali: tra stampa e radio si costruisce una sorta di sinergia, che durerà fino alla diffusione della televisione come nuovo medium popolare.
Nel secondo dopoguerra, le neonate emittenti televisive europee, RAI in primis, capiscono subito il valore del ciclismo come grande spettacolo per il piccolo schermo. La RAI avvia ufficialmente le sue trasmissioni televisive nel 1954. Già nel 1956, la televisione nazionale segue tutte le tappe del Giro d’Italia. Per la prima volta, chiunque può vedere i corridori come uomini “normali”, non più solo come “eroi” ritratti dai cinegiornali, dai fotografi e dagli illustratori.
Ma la radio continua a essere fondamentale: è un medium più agile e flessibile della televisione, sia per chi trasmette, sia per chi riceve. I radiocronisti continuano a essere voci apprezzate e familiari per il grande pubblico.
Col passare del tempo, la progressiva diffusione dei televisori, nelle case di tutti, e l’evoluzione delle tecnologie di ripresa e trasmissione contribuiscono a rendere il ciclismo uno sport eminentemente televisivo.
Come in una vecchia canzone dei The Buggles (“Video Killed the Radio Star”, 1979), la popolarità dei telecronisti del ciclismo finisce per sovrastare e oscurare quella dei radiocronisti. E non si tratta solo di una questione di immagini, si tratta proprio di “voci”.
La voce del Giro d’Italia e del ciclismo in genere, in Italia, dalla fine degli anni Cinquanta fino al 2000, è stata quella – inconfondibile e indimenticabile – di Adriano De Zan. A lui va anche il merito di aver dato spazio al ruolo del commentatore tecnico, come seconda voce libera di interagire con il telecronista principale. Davide Cassani, attuale Commissario Tecnico della Nazionale italiana di ciclismo, ha svolto in modo magistrale questo ruolo, dal 1996 al 2013. Prima al fianco di De Zan, poi al fianco di Auro Bulbarelli, infine al fianco di Francesco Pancani. Anche la voce di Davide, così, è divenuta centrale nell’immaginario degli appassionati italiani di ciclismo. Era molto difficile pensare che qualcuno sarebbe riuscito a raccogliere la sua eredità in modo brillante. Invece è accaduto: dal 2014 al 2018, la voce di Silvio Martinello ha affiancato quella di Francesco Pancani, accompagnando milioni di telespettatori durante le telecronache delle più importanti corse trasmesse dalla RAI.
Quella di Martinello è la voce a cui io mi sono affezionato di più. Il suo mix di cultura, intelligenza e ironia, combinate con la sua esperienza di campione del ciclismo su pista e su strada, lo hanno reso il mio telecronista (non solo commentatore tecnico) ideale. A questa mia preferenza ha contribuito molto anche l’attitudine di Martinello a esporsi, a dire sempre (in modo garbato, ma deciso) ciò che pensa in merito alle dinamiche e ai problemi del ciclismo italiano e internazionale.
Nel corso degli ultimi anni, ho avuto il piacere di conoscere Silvio e di costruire con lui una buona amicizia basata sulla stima reciproca. Per questo, mi è dispiaciuto molto apprendere, nei mesi scorsi, che la nuova strutturazione della “squadra” di RAI ciclismo aveva portato alla sua sostanziale esclusione (o abbandono, se preferite). Per lo stesso motivo, ho poi appreso con grande piacere del suo nuovo ruolo di commentare radiofonico per Radio1Rai, in occasione di questo Giro d’Italia 2019.
L’esito di tali dinamiche è stato per me singolare: ieri pomeriggio, per la prima volta nella mia vita di appassionato e studioso di ciclismo, ho cercato di seguire una tappa del Giro attraverso la radiocronaca. Per poter sentire di nuovo la corsa raccontata dalla voce di Silvio Martinello.
Mentre i 176 corridori partenti si susseguivano lungo le rampe della salita del San Luca, a Bologna, mentre era ormai evidente che solo Simon Yates avrebbe potuto insidiare il tempo clamoroso fatto segnare da Primož Roglič, ho atteso l’inizio di “Sulle strade del Giro” sulle frequenze di Radio1 e, poi, ho dato vita a un esperimento tecnologico curioso: sincronizzare le immagini della diretta televisiva con l’audio della radio. Per farlo, ho mobilitato tutti i miei dispositivi: TV, PC, stereo, radiolina portatile e smartphone. Attraverso un processo “trial and error”, alla fine, ce l’ho quasi fatta. Ma è comunque rimasto un leggero scarto: direi un secondo e qualche decimo. Oggi ci riprovo, sono sicuro che riuscirò a fare meglio. Ma se anche non riuscissi, pazienza: mi abituerò e il mio sarà un Giro fuori sincrono.
Per questo – e sono certo che mi perdonerete – per ora non ho molto da dirvi sul lato strettamente sportivo della corsa. Mentre finisco di scrivere questo pezzo e inizio a predisporre i miei dispositivi per il nuovo esperimento tecnologico, il gruppo viaggia da Bologna a Fucecchio per la seconda tappa: 205 chilometri che porteranno i corridori nel cuore territoriale del ciclismo toscano. Vinci, San Baronto, Lamporecchio, Mastromarco, eccetera, sono toponimi che identificano una densità rara, in Italia e nel mondo, dal punto di vista dell’attività agonistica (professionistica e giovanile) e della passione popolare.
Sono sicuro che anche la radio ne parlerà.
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