Ciclismo
Il Giro di Mark Twain [e la teoria delle cadute]
613 chilometri: da Orbetello a San Giovanni Rotondo. Una frazione mostruosa, ma virtuale: ciò che mi sono perso negli ultimi tre giorni e che, adesso, devo recuperare. Non ho potuto seguire il Giro: troppi impegni di lavoro e di vita. Ma devo scrivere per forza, perché le grandi corse a tappe sono, per tutti, anche per chi le racconta, un esercizio di endurance e frequenza. Se perdi il ritmo, sei finito.
In questi casi, quando mi mancano le informazioni, quando devo improvvisare, ho un solo riferimento: la fulminante raccolta di saggi “Come raccontare una storia e l’arte di mentire” di Mark Twain (1885).
Lo conoscete tutti Samuel Langhorne Clemens: così si chiamava davvero. Ha scritto le avventure di Tom Sawyer, quelle di Huckleberry Finn e mille altre cose meravigliose, alcune poco note. Tra queste, vi consiglio “The Innocents Abroad” (1869): la raccolta dei suoi resoconti di viaggio durante un lungo itinerario in Europa, Terra Santa e Medio-Oriente; via piroscafo e treno, soprattutto. Correva l’anno 1867. In quel libro trovate il suo personalissimo Giro d’Italia ante litteram: Genova, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli. E molti altri luoghi visti di passaggio. È un racconto straordinario: brillante, ironico, sarcastico – puro stile Twain – sui nostri antenati e sul nostro Paese appena nato come stato nazionale, anzi: ancora da completare, dato che Roma e il suo territorio saranno annessi solo nel 1870, dopo la celebre breccia di Porta Pia.
La prima edizione del Giro d’Italia, quello vero, è ancora lontana dall’essere immaginata: sarà organizzata solo nel 1909. Da Milano, la corsa si spingerà fino a Napoli. Ma non oltre. E così farà per diversi anni ancora. Quasi fosse stato Twain a stabilire il limite, a suo tempo.
Perché Mark Twain ha definito tutto, nella sua fulminante esistenza. Anche l’andare in bicicletta, in “Taming the Bicycle” (1886). Anche il significato profondo delle cadute in bici: «C’è chi immagina che gli incidenti sfortunati […] ci siano in qualche modo utili. Vorrei riuscire a capire come. Non ho mai saputo che uno di loro potesse accadere due volte, uguale. Cambiano sempre, si alternano e ti colpiscono dal verso in cui non hai esperienza».
È ciò che devono aver pensato, per ragioni diametralmente opposte, anche Salvatore Puccio e Tom Dumoulin, cascati a Frascati, martedì, insieme a mezzo gruppo.
Devono averlo pensato anche i tanti finiti sull’asfalto o fuori strada, ieri, mentre il Giro procedeva – sotto un diluvio micidiale – verso Terracina.
Non c’è molto da imparare da una caduta in gruppo. Le cadute, nel ciclismo, semplicemente accadono. Ma si può sempre provare a capire perché si verificano. Ci ha tentato David Millar nel suo libro “The Racer” (2015), dedicando a questo tema un capitolo esemplare che si intitola “The Theory of Crashes”. Il vecchio David, che di voli ne ha fatti parecchi, nelle sue 18 stagioni da ciclista professionista, sostiene che «Ci sono sei cause principali di incidenti, in corsa […]:
1. Problemi di natura meccanica (foratura ad alta velocità, catena spezzata, ecc.).
2. Superficie scivolosa.
3. Contatto con altro ciclista in gruppo che porta alla perdita di controllo [della bici].
4. Singolo corridore che si assume dei rischi e perde il controllo [della bici].
5. Perdita di concentrazione, che porta alla distrazione e alla perdita di controllo.
6. Vicinanza a chiunque sia coinvolto in una delle cinque situazioni precedenti».
Esaustivo, direi.
Per capire davvero cosa sia una caduta in gruppo, durante una grande corsa a tappe, bisogna leggere un passaggio di “The Secret Race” di Tyler Hamilton, scritto nel 2012 insieme a Daniel Coyle: «Di solito senti una caduta prima di vederla. È un suono metallico, graffiante, scricchiolante, come una lattina di Coca schiacciata e raschiata sul cemento, ma amplificato un migliaio di volte. Poi senti lo stridore dei freni e questo suono soffocato: il rumore dei corpi contro l’asfalto. I corridori urlano e urlano in lingue diverse – ATTENZIONE! ME*DA! – ma è troppo tardi. È uno dei suoni più terribili al mondo. […] Vista da lontano, è come se una bomba fosse esplosa in mezzo al gruppo».
Anche il vecchio Tyler sa di cosa parla, avendo lasciato pezzi di sé sull’asfalto di mezza Europa, nei suoi tredici anni da professionista.
Le cadute, spesso, purtroppo, costituiscono l’unica e terribile “emozione forte” nelle prime tappe del Giro e del Tour, quando il disegno dei percorsi mira a favorire finali per velocisti; quando i tracciati non sono abbastanza selettivi da sgranare il gruppo. Possono condizionare le performance di chiunque e la corsa nel suo complesso. Tom Dumoulin è già tornato a casa, ieri, con un ginocchio malconcio. Egan Bernal non c’era nemmeno arrivato, al Giro, a causa di una caduta in allenamento. Il lotto dei pretendenti alla maglia rosa finale, dunque, si è ulteriormente assottigliato. Pascal Ackerman sembra aver già messo una seria ipoteca sulla maglia ciclamino della classifica a punti, dopo la seconda vittoria di tappa ottenuta ieri a Terracina. Cosa ci dobbiamo aspettare, ancora?
Sarà questo freddo maggio autunnale, sarà la preoccupazione che serpeggia in gruppo, sarà la noia micidiale che le ultime tappe hanno riservato agli spettatori e agli appassionati, sarà quel che volete: in ogni caso, tira una strana aria su questo Giro.
A San Giovanni Rotondo, oggi, è addirittura arrivata la “fuga bidone”: quella che il gruppo non si preoccupa nemmeno di controllare, lasciando ai meritevoli di giornata la facoltà di sconvolgere la classifica generale. Ha vinto il tandem composto da Fausto Masnada e Valerio conti. Al primo è andata la gioia della tappa, al secondo quella della maglia rosa.
Sette minuti e diciannove secondi: è il distacco finale del plotone. Si fa quasi fatica a scriverlo.
Valerio Conti, stasera, in classifica generale, ha cinque minuti e ventiquattro secondi di vantaggio su Primož Roglič, sei minuti circa su Simon Yates e Vincenzo Nibali.
Ed è tutto vero: ho appena controllato, perché mi sembrava impossibile.
Mark Twain chioserebbe: «Fiction is obliged to stick to possibilities. Truth isn’t».
Riferimenti
– Hamilton T., Coyle D. (2012), “The Secret Race”, Penguin Books, London.
– Millar D. (2015), “The Racer”, Yellow Jersey, London.
– Twain M. (1869), “The Innocents Abroad, or The New Pilgrims’ Progress”, American Publishing Company, Hatrtford.
– Twain M. (1885), “Come raccontare una storia e l’arte di mentire”, Mattioli, Fidenza, 2007.
– Twain M. (1886), “Taming the Bicycle”, in: “What Is Man? and Other Essays”, Harper and Brothers, New York, 1917.
Le citazioni riportate nel testo sono mie traduzioni dagli originali in lingua inglese.
Credits foto di copertina: https://www.facebook.com/giroditalia
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