Ciclismo

Gianni e Fausto, principi della zolla

23 Maggio 2019

Ieri, la tappa Carpi-Novi Ligure, ha idealmente teso la mano tra due amici, due fratelli quasi gemelli.  Il serpentone della corsa, prima di avventarsi come turbine multicolore sul traguardo di Novi, a poche decine di metri da Villa Coppi, aveva reso l’onore di ruote e pedali a uno dei suoi più grandi cantori, Gianni Brera.

San Zenone al Po, a cavaliere dell’ultimo tratto di Olona, prima che vada a mischiare le sue non cristalline acque nel Grande Padre Pazzo, aveva imbandito tavoli e bicchieri, bianche fette di miccone, oblunghe e trasudanti fette di salame e risotti profumati. È stato un attimo passare e salutare, ma è stato importante. Perché quell’ottantina di chilometri che hanno unito San Zenone a Novi Ligure tiravano il filo di un’amicizia, come credo poche possano nascere ed essere coltivate nel materialissimo mondo dello sport, oggi come allora.

In memoria di Gianni e Fausto, eroi centenari e mai dimenticati, principi della zolla del nostro sentimentale recupero dell’infanzia, qui sotto potete leggere un racconto scelto tra i novantanove (e una canzone) del libro Alfabeto Coppi, scritto con Giovanni Battistuzzi, illustrato da Riccardo Guasco, con prefazione di Adriano Sofri e pubblicato da Ediciclo Editore, che sarà in libreria a partire dal 10 giugno. Buona lettura.

 

Un giorno d’inverno del 1958 Gianni Brera tra Milano e Bologna guidava piano la sua Fiat 1100, a non più di 80 chilometri all’ora. Fausto Coppi e Giulia Occhini erano suoi ospiti a bordo.
Brera stava raccogliendo dalla voce di Fausto la storia della vita del campione. L’avrebbe poi rielaborata, in forma di biografia romanzata. Per un po’ di volte si erano trovati nella casa milanese di via Cesariano, alla presenza di un comune e fraterno amico, Mario Fossati.
Ma quel giorno Gianni e Fausto dovevano entrambi recarsi a Bologna, per lavoro, e decisero che la ormai consueta chiacchierata l’avrebbero condotta strada facendo.

La compassata andatura di Fiordiligi – così Brera aveva ribattezzato, ariostescamente, la sua autovettura – indisponeva non poco la Dama Bianca, che già rimpiangeva le nervose accelerate della sua Lancia Gran Turismo. Fausto, invece, da quell’irritazione sembrava divertito al punto da confessare all’amico giornalista che «di meno affrettato aveva visto solo i surplace».

Erano soliti parlare a ruota libera, i due. Confortati dalle comuni radici di poveri e di contadini, da cui avevano saputo affrancarsi uno con la penna e l’altro con la bici fino ad assurgere al rango, come avrebbe detto Brera, di «principi della zolla». Si sentivano, fra l’altro, fratelli, se non addirittura quasi gemelli: erano infatti nati nello stesso anno, il 1919, e nello stesso mese, settembre, a una settimana esatta di distanza: Giôann l’8 e Faustéi il 15.
Avevano, in un certo senso, anche fatto una carriera in parallelo: il Tour de France del 1949, che aveva consacrato Coppi sugli altari internazionali e che Brera aveva seguito per la prima volta come inviato della Gazzetta, aveva fatto segnare anche il successo professionale del cronista che al suo ritorno, a neppure trent’anni, era stato promosso giovane ‘condirettore’ della testata.

Dell’amato campione ciclista Brera diceva che all’esistenza di lui sarebbe stato per sempre grato, e ne avrebbe pure sollecitato la gratitudine anche presso i propri figli, invitandoli a ricordarsene nelle loro preghiere, semmai ne avessero pronunciate. Giacché Coppi era stato per i cronisti del la pedivella di quegli anni la stessa cosa che Sherlock Holmes fu per Conan Doyle o il commissario Maigret per Georges Simenon.
Ma per Giôannbrerafucarlo in special modo, Coppi Fausto da Castellania era al tempo stesso Don Chisciotte e Sancho Panza, con quella inestricabile commistione di tragico e romanzesco che di entrambi incarnava nella sua umile eppure nobile esistenza di fachiro della pedivella. Tanto sgraziato in piedi, in quella sua allampanata deformità, quando meravigliosamente fuso in arcione a quel traliccio d’acciaio sul quale aveva conquistato il mondo.

Un giorno, forse quello stesso in cui avanzava lenta Fiordiligi nel cuore della pianura emiliana, Gianni e Fausto discutevano di radici, ovvero di tagli di salame e di tazze di rosso razzente, di animale da corte e da voliera e, fucile imbracciato, di appostamenti in palude quando l’ineffabile Dama levò finalmente le sue vibrate proteste: “Ma perché non la smettete di parlare di campagna e di contadini? Possibile che non si sia capito che Fausto è un signore?”.

La raggiunsero a zittirla due mute occhiate che valevano molto più di un “prego, si accomodi al ciglio della strada”.

 

Fonti

Gianni Brera, Coppi e il diavolo, Rizzoli 1981, poi Book Time 2009

Gino Cervi e Giovanni Battistuzzi, Alfabeto Fausto Coppi. Novantanove racconti e una canzone, Ediciclo Editore 2019

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