Ciclismo
Froome scendi dalla cyclette
Lo avevamo scritto ieri: la lotta per la maglia verde è più eccitante di quella per la maglia verde. Stamattina, dopo la prima tappa del dittico alpino Galibier-Izoard ci troviamo con un ex saltatore con gli sci sloveno che ha domato la sequenza Croix de Fer-Télégraphe-Galibier. Sino a oggi ne conoscevamo le doti di cronoman nei prologhi. Questo Roglic probabilmente è un corridore tosto, di cui non si capiscono bene i limiti. Ma la sua affermazione sul traguardo di Serre Chevalier è la prova di una tappa condotta ben al di sotto delle aspettative da parte dei big. Noi Italiani aspettavamo molto da Fabio Aru, che invece è parso poco brillante sin dalla metà del Galibier, andandosi a rintanare nel cuore del gruppetto dei capitani per non prendere vento laterale. Segno di lucidità, ok, ma anche della volontà di difendersi.
Quando poi il sardo, in evidente iperventilazione, ha perso contatto, è soprattutto la scarsa consistenza dell’azione di Bardet, Uran e Froome che lo ha salvato. Il ritardi al traguardo è stato contenuto in una trentina di secondi. Nulla, lo diciamo per chi ha scritto che il Tour è perso. La classifica al via dell’Izoard vede quattro atleti in 53 secondi, ed è dunque tutta ancora da inventare. Mikel Landa, che è quinto e per ordini di scuderia gioca in difesa di Froome, avrebbe la gamba per fare l’impresa e arrivare a Parigi in giallo. Romain Bardet è uno scalatorino e forse nulla di più, un Pantani in sedicesima senza epica ed Epo, e può contare, unico tra gli avversari del keniano, sul gioco di squadra della AG2R La Mondiale. Rigoberto Uran ha la proverbiale pazienza dei personaggi di García Márquez che misurano le dilatazioni abnormi del tempo con le proprie clessidre, e sta già aspettando la cronometro del penultimo giorno. Su Aru è giusto essere prudenti. Non ha squadra, corre alla garibaldina da due settimane, ha onorato così il tricolore oltre ogni attesa, ma già in passato ha pagato lo sforzo ripetuto in montagna di più di una giornata con una crisi pesante.
E Froome? Quasi quasi lo preferivamo quando alle sue prime apparizioni come gregario di Wiggins destava sospetti, o ancora l’anno dopo, con i gregari di capitano, allorché le sue frullate lasciarono di stucco gli esperti di tabelle di Watt, per i massimali improbabili espressi sul Ventoux nel 2013. Abbiamo amato il discesista scavezzacollo che l’anno scorso ha messo a tacere tutti coloro che lo accusavano di non saper stare in bicicletta. Quest’anno ha sempre corso in attesa, parando i guai meccanici e niente più. La selezione è stata affidata ai suoi luogotenenti, e lui ha sin qui solo il merito di aver assecondato magistralmente il ritmo. e lui ha sin qui solo il merito di aver assecondato magistralmente il ritmo. Potevamo anche correre questo Tour nella sala macchine di una palestra, e non è per questo spettacolo che mezza Francia si attacca alla Tv o che lo stesso Macron si arrampica sui tornanti.
Invece no, ancora una volta senza Thomas De Gendt, Serge Pauwels e Michael Matthews, in fuga tutti i giorni, avremmo sonnecchiato in poltrona per tutte le prime fasi di gara, e dobbiamo ringraziare il cuore di Alberto Contador, che pur non assecondato sino in fondo dalle gambe, ha provato come sempre a ribaltare la corsa, andando all’attacco coi compagni della Teak-Segafredo Bauke Mollema, Michael Gogl e Jarlinson Pantano. Gli altri sono rimasti, ad attendere di essere macinati dalla cremagliera del Team Sky.
Matthews in particolare ha vinto il traguardo volante di Allemont e ha portato a soli nove punti il distacco da Marcel Kittel, che nel contempo ha lasciato la corsa a causa di una caduta (ma già da un paio di giorni era in evidente crisi di forze). L’australiano ha compiuto un’impresa clamorosa: strappare la maglia della classifica a punti al velocista tedesco, che col pokerissimo di vittorie allo sprint sembrava averla messa in cassaforte. Grazie al ritiro di Marcel, la maglia passa automaticamente sulle spalle di Michael. Che però avrebbe probabilmente preferito conquistarla sul campo, con la sua formidabile seconda parte di Tour.
Torniamo dunque alla classifica generale. Prima dell’Izoard, il capitano della Sky guida con 27 secondi su Urán e Bardet. Aru è quarto a 53, Landa quinto a 1’24. Il margine è risicatissimo: basta un guaio meccanico nella cronometro, un ventaglio nelle tappe in pianura, una foratura sui Campi Elisi, per rovesciare il verdetto finale. Dunque Froome è chiamato oggi a interrompere questo training in cyclette di tre settimane, e produrre del ciclismo vero. In caso contrario, vorrà dire che è conscio di un limite che gli altri non sono riusciti a far emergere, e preferisce una condotta catenacciara sino all’ultima salita. Esponendosi a una possibile crono ruggente di Don Rigoberto, e a ogni chiodo posto sulla strada che dalla vetta delle Alpi porta a Parigi.
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