Ciclismo
Fortezza Bastiani [il Giro e la noia]
C’eravamo un po’ illusi, ieri, lungo i 185 chilometri che portavano da Vasto a L’Aquila. E oggi, nel finale della tappa infinita da Tortoreto Lido a Pesaro. È stato un attimo.
È un Giro complessivamente noioso, fino a qui. Ma è bene spiegare il senso di questa valutazione, prima che qualcuno se ne abbia a male.
Per “noia”, nel ciclismo, si possono intendere tutte quelle fasi di corsa in cui non sembra accadere nulla di rilevante: non ci sono azioni eclatanti, non si vivono emozioni forti. Si tratta di lunghi frangenti di costruzione e temporanea gestione: poco appariscenti, ma fondamentali per lo sviluppo della competizione.
Devi abbracciarla la noia, surfarla, abitarla con le tue competenze. Altrimenti, ti travolge.
Per questo motivo, la noia è il terreno su cui misuri il vero appassionato di ciclismo, distinguendolo dal semplice spettatore e dal tifoso. È il momento in cui l’appassionato può provare a leggere la tappa, a interpretarla, a inferire le strategie e le tattiche delle diverse squadre per il traguardo di giornata e per la corsa nel suo complesso. È il contesto giusto per mettersi alla prova, costruendo scenari, immaginando la possibile evoluzione della competizione: è un esercizio mentale utile e divertente. Ma non è obbligatorio.
Non si può pretendere che tutto il pubblico abbia questo tipo di sensibilità. Tante persone, legittimamente, seguono il ciclismo solo come uno sport che dovrebbe regalare spettacolo, emozioni, imprese e sfide tra campioni.
È così da sempre e non bisogna stupirsene. Lo sottolineò anche Dino Buzzati, al tempo in cui il ciclismo era lo sport più popolare e al seguito del Giro d’Italia, come inviati dei quotidiani, andavano alcuni dei più grandi scrittori italiani. Correva l’anno 1949 e Il Corriere della Sera chiese a Buzzati di seguire e raccontare la trentaduesima edizione della “corsa rosa”: sfida tra Coppi e Bartali, tanto per capirci.
Al termine della quarta tappa (Cosenza-Salerno), la sera del 24 maggio, Buzzati scrive una sorta di amichevole rimprovero per i due alfieri del nostro ciclismo:
«Caro Coppi ed egregio signor Bartali, […] da quest’incompetente che sono, lasciate che vi rivolga una domanda: ma l’avete vista bene, attraversando la Calabria, la gente che vi aspettava? […] Voi intanto amministravate saggiamente le vostre energie secondo un calcolo impeccabile […] Ma quella gente, quelle anime semplici […] credevano ciecamente in voi […] Non concepivano che voi non foste in testa, soli, lanciati a una rapida fuga. Siete i più bravi, non è vero? E allora perché non correvate avanti?
Era insensato, lo so. […] Non ragionavano. Un poco come l’orecchiante che vorrebbe dai campionissimi di scacchi a ogni partita delle geniali combinazioni, mentre si sa che proprio i duelli fra i grandi scacchisti sono un’epopea di noia, con un esoso risparmio di ogni rischio e slancio».
Buzzati aveva intuito il senso della noia nel ciclismo. Capiva che era assurdo pretendere continuo spettacolo, da parte dei grandi campioni, e riconosceva l’immane fatica fatta da tutti i corridori, quotidianamente. Contestualmente, però, comprendeva le legittime aspettative del pubblico, della gente comune.
Perché Buzzati conosceva bene il senso dell’attesa: il consumarsi del tempo aspettando che qualcosa succeda. Intorno a questo tema aveva già costruito il suo romanzo più celebre: “Il deserto dei Tartari” (1940).
Questa centoduesima edizione del Giro d’Italia rischia di trasformarsi, per tutti noi, nella Fortezza Bastiani del romanzo di Buzzati: un avamposto che domina un deserto da cui ci si attende sempre una sfida vitale, fondamentale, che però non arriva mai.
Basta sfogliare il “Garibaldi” di questo Giro, cioè il libro che descrive nel dettaglio tutte le tappe, per rendersene conto. Dopo le discrete emozioni di ieri, dopo l’attimo fuggente di oggi, ci attendono una cronometro individuale e due tappe di piattezza impressionante. Il grande ritorno della noia, per il pubblico non esperto.
È ragionevole ipotizzare che il primo confronto diretto tra i “big” della classifica generale, i pretendenti alla vittoria finale, vada in scena solo giovedì 23 maggio, in occasione della dodicesima frazione (Cuneo-Pinerolo). Più probabilmente, dovremo aspettare il giorno successivo, quando si andrà da Pinerolo a Ceresole Reale: un profilo altimetrico severo, il primo arrivo in salita del Giro. Da lì in poi, sarà sempre montagna, in ogni tappa: un dislivello mostruoso fino alla cronometro finale di Verona. Da lì in poi sarà sempre battaglia e spettacolo. Forse. Speriamo.
Perché il vero problema, per i pretendenti alla maglia rosa finale, per i beniamini che catturano l’attenzione del grande pubblico, sarà arrivare a giovedì prossimo senza imprevisti: schivando cadute, infortuni, problemi meccanici, intemperie e malanni, eccetera.
Sembra un apocalittico elenco di sfighe, ma non lo è. Solo ragionevole preoccupazione, pensando alla sorte già patita dal povero Tom Dumoulin nei pressi di Frascati. O pensando al Tour del 2014 vinto da Nibali.
Forse, da parte degli organizzatori, sarebbe stato più saggio proporre una prima metà di Giro più varia e impegnativa, dal punto di vista dei percorsi e delle altimetrie, come spesso accaduto nell’ultimo decennio. In questo modo, il pubblico avrebbe potuto godere fin da subito di qualche sfida tra scalatori e tra uomini da classifica generale. In questo modo, il gruppo si sarebbe potuto sgranare più volte, limitando – almeno un po’ – il rischio di cadute.
Il Giro d’Italia, nell’ultimo decennio, è sempre stato un contesto di sperimentazione, dal punto di vista del disegno delle tappe. Soprattutto nel corso della prima settimana: in controtendenza rispetto al tradizionale modello del Tour de France, che prevedeva quasi esclusivamente frazioni per velocisti. Alla fine, è stato il Tour a doversi adeguare: negli ultimi anni ha cercato di somigliare un po’ di più alla “corsa rosa”.
Non so cosa ci sarà da imparare, alla fine, da questa edizione del Giro.
Non lo so davvero.
Lo scoprirò insieme a voi.
Riferimenti
Buzzati D. (1981), “Dino Buzzati al Giro d’Italia”, Mondadori, Milano
Credits immagine di copertina: https://www.facebook.com/giroditalia
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