Ciclismo
Eravamo giovani e incoscienti
Parlare e curiosare nella vita degli altri ha sempre fatto parte dell’animo umano.
Quando, però, si deve andare in profondità, come per le immersioni in apnea, ci vuole un po’ più di respiro e di bravura
La vita di cui si occupa Eravamo giovani e incoscienti è quella di Laurent Fignon, campione di ciclismo francese che vinse due Tour de France, un Giro d’Italia e due Milano-Sanremo, solo per citare le vittorie più prestigiose. Ma anche la vita di chi ha conosciuto sconfitte atroci che lo hanno marchiato a fuoco.
Tutto in un’epoca in cui lo sport del pedale stava subendo un cambiamento di pelle in tutti i sensi, dall’ingresso degli sponsor con sempre più pretese al gigantismo delle corse principali, dalle vitamine al doping più spinto.
Fignon, come si direbbe oggi, era un personaggio divisivo o lo amavi incondizionatamente per la sua classe cristallina, oppure non lo sopportavi perché pensavi fosse un arrogante e basta.
La biografia ha il pregio di restituirci l’uomo, al di là dello sportivo.
Un uomo con un profondo senso dell’amicizia e della lealtà, ma sempre con un velo di malinconia dovuta all’amarezza per sconfitte che lui riteneva di aver subito ingiustamente.
Come ogni grande corsa a tappe, anche il libro parte con un prologo in cui si parla di un distacco: otto secondi, esattamente quelli per cui Fignon perse il Tour del 1989, classificandosi alle spalle di Greg Lemond.
Il minor distacco mai registrato tra il primo e il secondo alla Grand Boucle.
Fu una gara durissima con molti chilometri da correre contro il tempo.
Fignon soffrì molto ma si presentò in testa prima dell’ultima tappa, la cronometro con la l’arrivo su Champs Elysees. Il francese era convinto che sarebbe riuscito a vincere il suo Terzo tour forte di un vantaggio di cinquanta secondi.
Ne uscì battuto, ma ci fu una polemica, mai sopita, legata al regolamento e all’attitudine di un altro personaggio chiave della vita di Fignon, Cyril Guimard (il suo direttore sportivo).
Lemond in quel tour fu il primo a utilizzare le prolunghe sul manubrio nelle gare a cronometro, questa innovazione consentiva sia di avere una maggiore aereodinamicità sia di appoggiare gli avambracci e di aumentare la spinta.
Quando alla formazione di Laurent fu proposto di utilizzare quello stesso tipo di manubrio, sorsero dubbi sulla regolarità e sull’affidabilità di quel nuovo strumento.
Da quel 23 luglio 1989, il “Professore” (come era soprannominato perchè correva con occhiali da vista con la montatura in metallo sottile) si trovò a ripetere a chi continuava a tormentarlo per gli otto, famigerati, secondi che lui di Tour ne aveva vinti due, nel 1983 e 1984.
Chiarito questo punto cruciale, la voce del corridore parigino ci riporta alla sua infanzia, a quel momento in cui scoprì il dono: essere nato per il ciclismo. In tutte le gare giovanili della sua zona era lui il dominatore.
Non si percepisce, però, mai un punto di vista di superiorità, intesa come supponenza o tracotanza, semmai si comprende come avesse la consapevolezza di avere dei mezzi fisici e tecnici fuori dal comune.
Laurent vinceva sempre, si impose giovanissimo (e alla prima partecipazione) al Tour nella stessa squadra di Bernard Hinault (un’icona del ciclismo di tutti i tempi), nel team Reanault fu capace di non farsi risucchiare dal fascino del Boss . Bernard, nel 1983, diede forfait e la squadra puntò su di lui che dimostrò di avere personalità da vendere.
Nel suo bagaglio di corridore oltre alla forza in salita, alla velocità a cronometro, aveva un’altra caratteristica fondamentale per i pedalatori, la capacità di soffrire, di resistere al dolore e alla fatica.
Insomma, aveva classe.
Quella che sarebbe piaciuta al Numero uno (il personaggio di Lee Marvin ne L’imperatore del nord).
Quella classe che, forse, per il codino, gli occhialetti e l’atteggiamento quasi hippye non tutti gli riconoscevano: Laurent era decisamente fuori dagli schemi.
Nella sua vita, l’Amicizia ha avuto sempre una grande importanza, gli amici (per lo più colleghi) presero il posto della famiglia durante i periodi delle corse e della preparazione.
Laurent la onorava in modo commovente, abbiamo già accennato a Guimard (con cui ebbe un sodalizio lunghissimo, che però finì male).
Questo sentimento lo ritroviamo nella tristezza per la morte di Pascal Jules con lui sin dagli inizi giovanili (scomparso per un incidente d’auto); nel rispetto per Hinault, nella limpidezza nei confronti di Sean Kelly e nell’affetto smisurato per Alain Gallopin il suo massaggiatore/psicologo..
Qua non ci soffermiamo, ma nel testo scorre tutta la toponimia del ciclismo che conta, dall’Izoard all’Alpe d’Huez, dai passi alpini in Alto Adige al Tourmalet,, località dove alla fine della carriera decise di stabilirsi.
A ogni fiamma rossa è legato un ricordo un episodio di gara, oppure una bevuta, una corsa in macchina a velocità folle.
L’uomo è, però, sempre al centro della storia, quello stesso uomo, capace di imprese impossibili, si trova di colpo e, di sorpresa, alle prese con un cancro. Un brutto cancro all’apparato digerente.
Di questo, però, ne troviamo traccia solo nel finale, in un capitolo aggiuntivo scritto per l’edizione economica.
Laurent diventa più umano dell’umano, la sofferenza è per le cure e per chi incontra durante le terapie. Un ritorno tra gli uomini normali, fuori dalla bolla del ciclismo professionistico in cui aveva abitato per oltre dieci anni.
“Era escluso che mi lasciassi andare, che abbassassi la testa. Non era il mio caso. Non mi sarei fatto fottere in questo modo. Subito ho capito che non ero un malato particolare: ce ne erano molti come me.
Bisogna andare nei centri oncologici per comprendere la fortuna di essere sani, per prendere coscienza della realtà”
Lo stesso Fignon parlandoci dei suoi trattamenti, non può non finire a parlare di Armstrong, e di come lui e sua moglie stettero vicino al texano la sera dopo la conferenza stampa in cui annunciò che era costretto a interrompere la carriera per curarsi, altrimenti sarebbe rimasto solo.
Anche per Fignon ci furono speculazioni sulla sua malattia con la continua ricerca di un nesso causale con il doping. Ma l’uomo resistette anche a quello, oltre alle sofferenze quotidiane, mentre commentava il Tour de France 2009. Stravolto lo concluse e pochi mesi dopo si spense sfinito.
“Tutti, prima o poi, dovremo morire. Se a me dovesse succedere a breve, avrò avuto l’incredibile fortuna di andarmene senza rimpianti. Forse un po’ troppo giovane, certo. Ma senza rimpianti. Ho vissuto la più bella vita che si potesse immaginare.
Non trovo altre parole per dirlo”.
La consapevolezza, come una candela che brucia da due lati, più brillante ma anche più veloce nel consumarsi, è stata la compagna di vita di Laurent, prima con la sensazione di avere un talento superiore e poi quella fredda della morte che si avvicinava.
Un libro secco come uno scatto e struggente come “Cesare, perduto nella pioggia che aspetta il suo amore ballerino”.
Un libro non soltanto per appassionati di ciclismo, questo grazie alla traduzione di Gino Cervi che è riuscito a riportare tutte le emozioni che Fignon ha voluto lasciarci.
Si parte parlando di secondi e si finisce riconoscendo l’importanza della vita e dell’essere umano.
Laurent Fignon è morto di cancro il 31 agosto 2010 a Parigi, la città in cui è nato, a poco più di cinquant’anni. E’ sepolto a Père-Lachaise insieme ad altri grandi.
Laurent Fignon
Eravamo giovani e incoscienti
Traduzione di Gino Cervi
Pagine al Vento – Mulatero
pp. 291
21€
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