Ciclismo
Emozioni in soli 400 metri, ma che bello l’uomo Aru contro la macchina Froome
Tutti noi, malati di bicicletta, stavamo assistendo affranti dal caldo allo scarso spettacolo al Tour de France, nel giorno della tappa del Peyresourde, con arrivo a Peyragudes. Niente scatti, niente azzardi: tutti in coda al trenino Sky, proprio come lo scorso anno. Nemmeno le salite dei Pirenei stavano scuotendo una corsa controllata dai pretoriani in maglia bianca, fedelissimi all’uomo in giallo. Quel Chris Froome, sgraziato ma efficace come sempre in sella. E favorito numero uno, nonostante una condizione meno smagliante.
Poi c’è stato il sussulto: a 400 metri dall’arrivo, sullo strappo che conduce al traguardo la macchina perfetta si inceppa. Non basta il conteggio dei battiti cardiaci e il controllo dello sforzo. L’attacco dell’umano Fabio Aru, oltre ogni calcolo, ottiene il risultato che non ti aspetti: le gambe di Froome non frullano. Sembra che sotto i pedali abbia dei macigni. E intanto gli altri cicilisti lo sopravanzano, arrancata dopo arrancata, fino al superamento della linea finale che emette una sentenza: la maglia gialla passa sulle spalle del Cavaliere dei Quattro Mori. E no, non significa molto: il Tour de France ha superato da poco la metà del percorso e il vantaggio di 6 secondi in classifica generale è meno di un colpo di tosse. Ma il senso è molto più ampio: un po’ di fantasia, accompagnata ovviamente da una grande gamba (come mai avevo visto ad Aru), può riscrivere la storia della Grande Boucle 2017. Magari terminerà come sempre, cioè con Froome in giallo a Parigi, ma avrà dato agli spettatori quel brivido che combatte lo sbadiglio di fronte alla trama tradizionale da qualche anno a questa parte. E non è proprio un thriller avvincente.
Insomma, Aru ha soltanto ricevuto una bella gratificazione: indossare la maglia gialla, la più ambita da qualsiasi ciclista. Ma soprattutto ha lanciato un monito: anche la macchina perfetta della Sky può avere qualche ingranaggio fuori posto. E tanto basta, almeno per ora, a chi pensa al ciclismo come uno sport inguaribilmente romantico.
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