Ciclismo
Aru, Bardet, Huran. E naturalmente Froome. Quel che resta del Tour dopo Chambery
Richie Porte, Gerain Thomas, Alejandro Valverde. Alla prima giornata di riposo il Tour ha già perso in maniera drammatica tre protagonisti assoluti, che nei pronostici della vigilia sembravano i più indicati a contendere il successo finale a Chris Froome. Anche Alberto Contador è di fatto fuori dalla lotta per la vittoria finale. In forte ribasso sono inoltre le quotazioni di Nairo Quintana, che sin qui ha confermato la scarsa forma vista al Giro. Resta in lizza Daniel Martin, che ieri ha lottato come un leone per recuperare quanto perso in due cadute consecutive in discesa. A sorpresa si rivede nei primissimi posti della classifica Rigoberto Uran, che ha vinto la tappa arrivata a Chambery. Ma gli unici che paiono davvero in grado di dire qualcosa per la maglia gialla sono Fabio Aru e Romain Bardet.
Questo in sintesi il verdetto della prima settimana di gara, che al percorso troppo facile delle tappe seguite al cronoprologo ha fatto poi succedere due frazioni in sequenza oggettivamente troppo dure, con il risultato di aver mandato già a casa metà dei big della classifica. La stessa sorte è toccata peraltro ad alcuni dei corridori più brillanti negli arrivi di tappa, dal campione francese Démare, giunto ieri con 58 minuti di distacco (così come Matteo Trentin) a Robert Gesing, caduto rovinosamente proprio quando le sue credenziali erano in rialzo dopo la bella prova sul Giura.
In particolare il “tappone” di ieri ci è parso disegnato in maniera scriteriata, con l’accoppiata Col de la Biche-Grand Colombier a 90 chilometri dal traguardo e il temibilissimo Col du Chat che aveva già mandato in cottura i corridori al Criterium del Delfinato. Le difficoltà del tracciato sono state enfatizzate dalla condotta di gara della compagine francese AG2R La Mondiale, che ha mandato i propri uomini all’attacco sin dal chilometro 0, tra i 40 fuoriusciti della fuga di giornata.
Anche altre formazioni erano rappresentate in forza (in primis la Sunweb, con Barguil-in fuga anche nella tappa precedente, Michel Matthews e Simon Geschke). Ma l’azione degli uomini di Romain Bardet sembrava studiata per far saltare la corsa, al punto che durante la discesa del Col de la Biche ci si è trovati con un gruppetto di sette ciclisti in testa, di cui ben tre AG2R (Vuillermoz, Domont e l’iper-combattivo Bakelants, che in quest’edizione del Tour è sempre in fuga), mentre nel gruppo della maglia gialla ancora le maglie della compagine transalpina hanno preso la testa nel tentativo di produrre una frattura. Ne ha fatto le spese Geraint Thomas, finito per terra come già al Giro, stavolta procurandosi la frattura della clavicola. In quella che doveva essere la sua stagione il gallese si è così trovato fuori gara nelle due corse a tappe regine già nella prima settimana.
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Ma la miccia che ha fatto esplodere definitivamente la corsa è stata innescata a 32 km dal traguardo da un inconveniente meccanico occorso a Chris Froome. Nel momento in cui il keniano ha alzato il braccio segnalando un problema al cambio, Fabio Aru gli è scattato in faccia, seguito da Quintana, Porte, Bardet e Martin. Il campione tricolore ha chiesto un cambio, che nessuno ha voluto dargli. Questione di fair-play rispetto alla maglia gialla? Paura di scuscitare l’ira dello stesso Froome? O ancora, più semplicemente, assenza di gambe? Fatto sta che nel frangente nessuno ha dimostrato di saper supportare il sardo. “Ghe voren i garun”, ammoniva Alfredo Binda. Ma lì, sulle pendenze del Col du Chat, nessuno li ha avuti. E quando il capitano del Team Sky è rientrato, scortato da Nieve, Landa e Henao, sul rilancio dopo un tornante Aru ha provato a sorpassarlo. Froome ha però scartato improvvisamente sulla destra, toccando l’alfiere dell’Astana. Una spallata vera e propria più che un gomito alto “alla Sagan”. Fabio ha rischiato di finire sul pubblico. Poco dopo la maglia gialla con un gesto della mano è sembrato scusarsi, forse intendendo che il suo gesto apparentemente volontario era stato dettato da una perdita di equilibrio. Aru ha abbozzato. Senza eccedere in dietrologie, nessuno dei due ha eccelso in cavalleria.
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L’ascesa al terzo e ultimo colle hors catégorie della giornata evidenziava anche le difficoltà di Alberto Contador e, a sorpresa, Nairo Quintana. Il capitano della Trek-Segafredo si è staccato quando ancora era Nieve a fare il passo per Froome, perdendo due minuti in tre chilometri. Albertino ha ormai 34 primavere sulle spalle e non sale sul podio alla Grande Boucle dal 2010. Tenterà nelle prossime tappe con una delle sue azioni da lontano di ridurre il passivo, che ora è superiore ai cinque minuti. O forse si accontenterà di inseguire i successi parziali. Certo è che la Spagna, dopo la caduta di Valverde nel prologo, esce da questa prima settimana con le ossa rotte. Gli atleti iberici di rendimento più sicuro sono i due luogotenenti di Froome, Landa e Nieve, impossibilitati a fare classifica. Il rischio è di arrivare a Parigi con nemmeno un iberico in top ten. Di Quintana abbiamo già detto: i limiti caratteriali mostrati nel Tour 2015, quando si limitò a “scortare” la maglia gialla, senza mai attaccarla frontalmente, sono stati il preludio di un ridimensionamento della sua caratura prima e di uno scadimento di forma poi. Nairo appare meno brillante, sempre a ruota, mai propositivo. E la Movistar a questo giro, complice anche la caduta del campione iberico Herrada e la tattica poco comprensibile che ha mandato allo sbaraglia Betancour, non ha messo a sua disposizione una squadra che ne sapesse mascherare i limiti.
Ma il fatto capitale è avvenuto nella discesa successiva, quando il tasmaniano Porte, sbagliando completamente traiettoria, è transitato su di una fettuccia sconnessa di sterrato che divideva la strada asfaltata dal bosco. É stato così disarcionato dalla bici, scivolata nella vallate, finendo proiettato contro la roccia sul lato a monte della carreggiata. Daniel Martin, che lo seguiva, gli è caduto involontariamente addosso. Porte si è rotto clavicola e bacino, riportando anche una commozione cerebrale. Martin è risalito in sella, per cadere di nuovo poco dopo, nel tentativo di rientrare sul gruppo.
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Nel finale convulso un eccezionale Warren Barguil, rimasto all’avanguardia tra i fuggitivi di giornata è stata ripresa da Froome, Aru, Bardet, Huran e Fuglsang. La volata sembrava aver premiato Barguil e i suoi sforzi, ma il fotofinish ha decretato Uran vincitore. Per la Cannondale si apre così una seconda settimana ricca di prospettive inattese. Rigoberto infatti è un buon cronoman, e di solito dà il meglio di sé nella parte finale delle corse a tappe. La squadra al suo servizio è buona, da Rolland a Talansky. Ci sono insomma gli elementi per puntare al podio di Parigi.
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Allo stesso modo, la coppia composta da Aru e dal rinfrancato Fuglsang può ambire a isolare Froome su Pirenei e Alpi. Non avere più in corsa Porte è un vantaggio e un limite assieme. Il tasmaniano costituiva la vera alternativa per la maglia gialla, per la sua forza nelle prove contro il tempo e la tenuta in salita. Però Aru sa che ora può andare al confronto diretto con il keniano, senza temere di scivolare indietro rispetto agli altri aspiranti al top della classifica. “Talvolta per vincere un grande giro devi essere pronto a perdere tutto”, ha detto ieri sera in sede di commento Greg Lemond. Vero, ma Fabio forse da domani potrà in tal senso correre con ancor più leggerezza. Bardet ieri ha mostrato pregi (la combattività e le qualità di discesista) e difetti (poco acume tattico e una reattività relativa agli scatti).
Lo stesso Froome ha di fatto cambiato la maniera di correre in salita. Ieri ha inseguito tutti, lasciando perdere i dati forniti dal suo computerino, e puntando sulla progressione più che sulla proverbiale “frullata”. Fa un po’ meno paura, insomma, e con la caduta di Thomas ha perso il “suo” Fuglsang, ossia un corridore capace di dettare il passo sulle salite da passista. Lo stesso fatto che tra i suoi avversari le gerarchie siano dopo Chambery piuttosto precise non lo agevola: non può contare insomma sul marcamento reciproco. Ci aspettano due settimane di Tour più anarchiche. O almeno così vogliamo credere, per consolarci della crudeltà di una corsa che ha già mandato a casa più della metà dei suoi protagonisti annunciati.
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