Calcio

Uefa, il fair play finanziario non c’è più

19 Luglio 2015

Questo faiplay finanziario non s’ha da fare. O comunque è tutto da valutare secondo i criteri della Corte di Giustizia europea. Il ricorso contro la normativa Uefa che regola i bilanci, presentato dall’avvocato Jean-Louis Dupont, ha sortito pesanti effetti: il regolamento deve essere sottoposto all’esame del diritto comunitario. E intanto è stato sospeso. Del resto Dupont non è nuovo a battaglie del genere: è noto per aver curato gli interessi di Jean-Marc Bosman, quello della “sentenza Bosman” che ha stravolto nel 1995 il sistema di calciomercato con la libera circolazione dei calciatori.

Cos’è il fair play finanziario

Il fair play finanziario è uno dei fiori all’occhiello della presidenza di Michel Platini. Sin da subito l’ex campione della Juventus ha messo le cose in chiaro: il calcio europeo avrebbe dovuto badare a bilanci. “Quando abbiamo dato il via a questo processo, le perdite finanziare erano a 1,7 miliardi di euro all’anno, ora è nella forchetta tra 400 e 500 milioni di euro. In un breve lasso di tempo, il fair play finanziario sta ottenendo quello che voleva: ripristinare il benessere finanziario del calcio europeo e gettare delle basi finanziare migliori e più solide”, ha affermato Platini in un’intervista pubblicata a maggio sul sito della Uefa. Il percorso è stato abbastanza chiaro. Dopo aver individuato gli obiettivi, nel 2011 la normativa è entrata in vigore imponendo dei limiti nel deficit di bilancio: inizialmente è stato di 45 milioni di euro all’anno e della prossima stagione avrebbe dovuto scendere a 30 milioni, calando a 5 milioni dal 2018.

“La situazione è tutta in divenire: bisogna vedere cosa deciderà la Corte di Giustizia”, spiega a Gli Stati Generali l’avvocato Francesco Giuliani, socio dello studio Fantozzi ed esperto di fiscalità nel mondo del calcio. “La Commissione europea aveva espresso un parere positivo di massima sulla normativa del fair play finanziario e Michel Platini aveva salutato la cosa come un grande successo. Ma nei fatti era noto che occorresse il pronunciamento della Corte di Giustizia. Così sta avvenendo un forte ridimensionamento del regolamento, o almeno dei suoi effetti”, aggiunge Giuliani. Eppure il principio è nobile: un club non deve avere debiti insoluti verso altre parti e controllare il proprio deficit, il rapporto tra entrare e uscite. Chi viola la normativa subisce delle sanzioni, che vanno dal semplice avvertimento alla squalifica dalle competizioni europee. In mezzo ci sono altre pene come la multa o la limitazione di iscrizione dei calciatori alle liste Uefa.

I grandi vanno alla guerra

Nel 2014, Paris Saint Germain e Manchester City hanno dovuto sborsare 60 milioni di euro di multa e subire la riduzione a 21 elementi utilizzabili nelle coppe europee. Una pena che sembra pesante, ma che in realtà diventa facilmente digeribile per chi – come gli sceicchi – ha una potenza economica quasi illimitata. Ciò non toglie che questi club stiano esercitando delle forti pressioni affinché la Uefa decida di rivedere il regolamento, che rischia di rappresentare un fastidioso laccio agli investimenti dei titolari delle società. Peraltro, in casa Platini c’è un derby: papà Michel vuole il fair play finanziario, il figlio Laurent lavora per il Paris Saint Germain e vuole eliminarlo.

“Il punto debole del fair play finanziario è che nessun settore dell’economia europea può avere delle limitazioni”, ammette Giuliani, che spiega così il possibile effetto-boomerang di questa normativa: “Una società piccola, per diventare grande, ha bisogno di fare investimenti magari prevedendo delle perdite di bilancio che saranno ammortizzate negli anni. Appare chiaro che bloccare questo tipo di strategia, significa anche impedire una potenziale crescita. In pratica diventa penalizzante per le stesse società che dovrebbero beneficiare della regolamentazione. Si tratta di un sistema che va profondamente ripensato”. Insomma, Platini è stretto nella morsa dei grandi club pronti alla guerra contro le limitazioni pensate dalla Uefa e dall’altra parte contro le squadre emergenti che puntano a crescere: per farlo hanno bisogno di sforare il deficit. E non basta la clausola, da sempre in vigore, di escludere dal calcolo gli investimenti i costi per gli stadi, quelli delle infrastrutture per gli allenamenti e del settore giovanile e femminile.

Le Roi Michel e la trasparenza

Michel Platini non esce certo rafforzato da questa diatriba. L’ambizione di acquisire un maggior potere nella Fifa, dopo il passo indietro (seppur posticipato) di Sepp Blatter, rischia di essere seriamente danneggiata. La cavalcata trionfale per riportare il fair play nei bilanci potrebbe così naufragare, perché non era stato contemplato il possibile stop della Corte di Giustizia europea. Anche l’Associazione dei Club Europei (Eca) non ha propriamente avviato una battaglia ideologica sul tema del fair play finanziario.

L’organizzazione, presieduta dal tedesco Karl-Heinz Rummenigge, si è detta formalmente favorevole a questo approccio. Ma di fronte ai fatti concreti, l’ex attaccante della Germania ha lasciato intendere che occorre flessibilità: “Ci sono gli statuti chiari, rigidi ma dobbiamo rifletterci, per non danneggiare troppo le squadre. Quasi tutte le società dell’Est soffrono perché non hanno troppi ricavi da televisioni, sponsor, merchandising”, ha affermato. “Quindi dobbiamo studiare come si potrebbe dare una mano a questi club, ma pure ad alcuni big dell’Ovest che adesso si trovano in difficoltà”, ha aggiunto. Non proprio la linea dura di Platini. La questione trasparenza si arricchisce anche di un altro aspetto: la presenza dei grandi fondi di investimento. “Nessuno sa quale sia la provenienza di questi soldi”, sintetizza l’avvocato Giuliani. E la battaglia della trasparenza, forse, deve partire da qui parallelamente al fair play finanziario.

E l’Italia dov’è?

Nello scacchiere europeo, l’Italia risulta la grande assente. La finale di Champions League raggiunta dalla Juventus è un segnale di ripresa, ma i problemi del sistema sono palesi. E non solo per gli addetti ai lavori. Sulla questione, l’avvocato Giuliani racconta la sua diretta esperienza: “Stiamo portando avanti una ricerca insieme ad alcuni colleghi e con l’associazione Italiadecide presieduta dall’ex presidente della Camera, Luciano Violante, proprio per proporre dei criteri di riforma del calcio italiano”. Il punto di partenza è logico: capire come mai sia rimasto così arretrato rispetto al calcio spagnolo, inglese e tedesco. “Dopo numerose audizioni – prosegue – è emerso che l’Italia ha pagato la gestione miope delle società, mentre il calcio europeo andava in tutt’altra direzione. Inoltre, gli organismi di controllo, come la Co.Vi.Soc, non hanno potuto evitare il caso-Parma e in precedenza quelli di Fiorentina e Napoli, che hanno vissuto dei fallimenti. Il fatto è che le leggi consentivano di fare un controllo formale e non sostanziale: loro valutavano i bilanci, se questi erano truccati non avevano il potere di investigare”.

Per questo il presidente della Figc, Carlo Tavecchio, ha annunciato un cambiamento radicale con un controllo più stringente. Ma al momento resta un annuncio in attesa di prendere una forma precisa. Il tutto in un clima difficile: anche la Uefa di Platini sembra costretta alla resa di fronte alla giustizia e alla forza di fuoco dei petrodollari degli sceicchi sbarcati nel calcio.

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