Calcio
Trionfo a due stelle. Il dominio sulla serie A dell’Inter campione d’Italia
Una seconda stella è apparsa ieri sera nel cielo piovoso sopra Milano, a illuminare la notte della metà nerazzurra della metropoli lombarda. Un astro atteso da tre anni, il cui viaggio trionfale per la destinazione Piazza Duomo è iniziato lo scorso agosto, per terminare in un insolito freddo fine d’aprile, con ben cinque giornate di anticipo rispetto al termine del campionato. La festa scudetto è arrivata nel modo migliore possibile, che otto mesi fa neanche probabilmente il più ottimista degli interisti poteva immaginare, sul campo dei cugini rossoneri, sopraffatti per la sesta volta consecutiva in sedici mesi. Sintomo di una superiorità cittadina ormai schiacciante, e addirittura imbarazzante per il Milan, giunto al termine di un’altra stagione deludente, e in procinto di attuare una rivoluzione tecnica per il prossimo anno. Ma il confronto con il club di Cardinale è ormai un dettaglio, in un quadro d’insieme nel quale è dipinto un campionato monumentale, dominato dall’inizio alla fine, in cui i ragazzi di Simone Inzaghi hanno totalizzato la bellezza di 86 punti in 33 partite, fatto registrare per distacco il miglior attacco e la miglior difesa, inanellato una serie di dieci vittorie consecutive tra gennaio e marzo, e occupato la casella di capocannoniere, con il capitano Lautaro Martinez, ormai imprendibile dall’alto dei suoi 23 gol. Solo una orgogliosa e tenace Juventus ha saputo reggere il ritmo fino a gennaio, per poi schiantare di colpo, mentre il Napoli campione si è malamente liquefatto, e il Milan, dopo un inizio in cui, nonostante le cinque reti subite nel derby di settembre, si era presentato come la rivale più pericolosa, si perdeva ad autunno inoltrato nei suoi enigmi tecnici e psicologici, per poi riprendere un buon ritmo solo nel nuovo anno solare, facendo crescere i rimpianti per quel che poteva essere e non è stato.
La superiorità della compagine nerazzurra si è dimostrata schiacciante, non solo per i 17 punti di distacco sull’attuale seconda e per gli altri imponenti numeri impressi sulla classifica, ma anche per prestazioni sul campo in cui l’organizzazione tattica, il livello del gioco espresso e le qualità individuali si sono fuse in una perfetta macchina da punti e gol, come raramente si era visto negli ultimi anni in Italia, nemmeno nell’ultima Inter scudettata firmata Antonio Conte. A scorrere i protagonisti di quest’impresa non si può che partire dal reparto difensivo, con Sommer che si è dimostrato una saracinesca dalle qualità ben superiori a quelle attese, a cominciare da una reattività non comune, nonostante i 35 anni all’anagrafe. Non che le sue qualità siano state però messe alla prova oltre misura, verrebbe da dire, perché la linea difensiva, imperniata su Acerbi e Bastoni, e forte del nuovo acquisto Pavard, si è caratterizzata per grande concentrazione e impermeabilità agli attacchi avversari, con i 18 gol subiti in 33 gare che parlano da soli. Non va dimenticato neanche l’apporto di De Vrij, dodicesimo titolare e del giovane Bisseck, piacevole sorpresa tra i nuovi acquisti dell’estate. Sulle fasce i vari Darmian, Dimarco, Dumfries e Carlos Augusto hanno saputo alternarsi non facendo mai mancare spinta e copertura, e, in particolare l’esterno sinistro della nazionale si è rivelato un’arma offensiva micidiale, sia nella costruzione del gioco che nella finalizzazione, alla quale ha contribuito con ben cinque gol all’attivo. Il trio di centrocampo formato da Barella, Chalanoglu e Mkhitaryan è stato il vero motore instancabile del successo, con la sapiente regia del turco, giunto in questo nuovo ruolo a livelli mai visti in passato, e i chilometri di corsa, recuperi, inserimenti e gol dell’interno sardo e dell’armeno. Anche Asllani e Frattesi si sono ritagliati i loro spazi di gloria, dimostrando una sensibile maturazione il primo, e confermandosi una riserva di lusso il secondo, non di rado determinante con i suoi gol nel finale delle partite. Infine l’attacco, che riporta dopo sei anni un interista sopra il trono dei cannonieri, e presenta una coppia gol affiatata e integrata come poche volte la squadra nerazzurra ha avuto. Se Thuram è stata la grande rivelazione della stagione, con le sue galoppate impreziosite da sponde, assist e gol, Lautaro Martinez si è confermato quest’anno come il vero leader della squadra, giunto ai suoi massimi livelli di prestazione e finalmente continuo dall’inizio alla fine. Poco, sebbene non inesistente, è stato lo spazio per Arnautovic e Sanchez, ma i 79 gol segnati dalla squadra fino ad ora dimostrano che problemi ad andare in rete ce ne sono stati pochi.
Eppure, quella che oggi viene descritta come una squadra con un organico largamente superiore alle rivali, la scorsa estate era valutata con non pochi punti interrogativi, in seguito all’improvvisa rottura con Lukaku e alle partenze di altri giocatori importanti come Onana, Skriniar e Brozovic, i cui sostituti non sembravano, secondo molte valutazioni, fornire adeguate garanzie. Non si può comprendere quindi il clamoroso successo di ieri sera senza riconoscere il lavoro tecnico e tattico svolto dal Mister Inzaghi, vero grande protagonista dello scudetto della seconda stella. L’organizzazione di gioco messa in campo quest’anno in Serie A non ha avuto eguali tra le partecipanti al campionato, e per stessa ammissione di colleghi, oltre che di commentatori, rivela una qualità che difficilmente si vede sui nostri campi. La regia di Chalanoglu, le triangolazioni sulle fasce, la verticalità e la velocità di passaggi tra i centrocampisti, le avanzate dei braccetti difensivi e l’intesa dei due attaccanti sono stati tutti fattori frutto di allenamento e aumentata consapevolezza dei propri mezzi, il cui merito va senza dubbio intestato soprattutto al tecnico di Piacenza. Il percorso del gruppo nerazzurro da egli guidato, dopo gli ottimi segnali fatti già intravedere due anni fa e il gran finale di una stagione complicata lo scorso anno, con la bella cavalcata in Champions League interrotta di fronte a Guardiola, è giunto in questa stagione ad un livello di maturazione da pochi immaginato. I nerazzurri hanno oggi raggiunto un perfetto equilibrio tra le fasi difensiva e offensiva, riuscendo ad alternare efficacemente momenti di aggressione alta e azioni di avvolgimento degli avversari con altri di abbassamento di linea e recupero palla finalizzato alla rapida verticalizzazione verso gli attaccanti e la porta avversaria. Pregevoli esempi di tali applicazioni sono state le partite, rispettivamente, con la Juventus a febbraio e con il Milan nel derby di andata di settembre, ma anche negli incontri del girone di ritorno con Atalanta, Fiorentina e Roma la squadra ha dato ampia dimostrazione della capacità di saper mettere in campo tutte le sue conoscenze tecnico-tattiche. Dinanzi a una sintesi così ben ideata dal tecnico nerazzurro, sbiadisce perciò anche la spesso stanca e forzata dicotomia tra allenatori giochisti e risultatisti, come altre improbabili separazioni fatte con l’accetta, frutto di un certo manicheismo applicato al pallone. A completare il quadro è stata una largamente accresciuta consapevolezza nei propri mezzi, maturata a partire dalla scorsa primavera, con l’accesso alla già citata finale di Champions, poi persa contro il Manchester City, che ha lasciato nei nerazzurri le basi per il successo di quest’anno in campionato.
Tra gli artefici del trionfo in campionato non possono infine naturalmente mancare i quadri dirigenziali, guidati dall’ormai pluridecorato Beppe Marotta, affiancato da Ausilio e Zanetti. La costruzione della squadra campione d’Italia è passata infatti anche per l’abilità dell’amministratore varesino e dei suoi collaboratori, che hanno saputo fare di necessità virtù e si sono letteralmente inventati tre campagne acquisti estive praticamente senza poter spendere un euro in cartellini di giocatori, o peggio, dovendo raggiungere consistenti saldi positivi tra acquisti e cessioni. Di fronte alle ristrettezze, dovute alla difficile situazione finanziaria del club e ai sopravvenuti ulteriori guai economici in capo alla proprietà cinese, in Viale della Liberazione sono riusciti a mantenere il nucleo del gruppo squadra e ad innervarlo ogni anno con innesti mirati, andando a pescare soprattutto tra i parametri zero, facendo tesoro di poche ma ben remunerate cessioni di big, e limitando al minimo le uscite di giocatori con valore di mercato per scadenza di contratto, come avvenuto invece nel caso di Skrinjar. Hanno fatto scuola, in questo senso, gli ingaggi, ottenuti senza pagare il cartellino, di giocatori come Chalanoglu, Mkhitaryan, Thuram e, lo scorso anno, Onana, e pure è risultata determinante la capacità di andare ad acquistare a prezzi minimi e rivalorizzare giocatori non più giovani, ma che si sono dimostrati di alta affidabilità e rendimento, come Sommer, Acerbi e Darmian. A due anni dalla cocente delusione per lo scudetto perso e buttato via a favore del Milan, lo scenario tecnico e societario a tinte nerazzurre appare decisamente più tranquillizzante. La situazione finanziaria non è certo buona, ma le perdite di bilancio sono in netto calo e si contano ora nell’ordine delle decine e non delle centinaia di milioni, come nel post-Covid, mentre la famiglia Zhang si destreggia nell’intento di rifinanziare o sostituire il pesante debito contratto con il fondo Oaktree, sembrerebbe con successo, al fine di poter allungare il tempo a disposizione per proseguire il risanamento. Inutile ricordare come questo parziale miglioramento sia avvenuto in parte al prezzo di cessioni di giocatori importanti, ma per altra parte come effetto di importanti risultati in Italia e in Europa e della conseguente crescita del prestigio del club, che beneficerà il prossimo anno della partecipazione al ricco nuovo mondiale per club, in programma a luglio negli USA.
L’Inter di Zhang, Marotta e Inzaghi è oggi dominante in Italia, ed è capace di dire la sua anche in Europa, come avvenuto lo scorso anno con la partecipazione alla finale di Istanbul. L’assenza di conferma nell’attuale stagione, in cui l’eliminazione ad opera dell’Atletico Madrid agli ottavi di finale di Champions League ha ricordato a tutti come il livello in Europa sia decisamente più alto, deve però fungere da stimolo per il prossimo anno, perché ai piani alti della sede nerazzurra sono ben consapevoli che l’equilibrio di conti e gestione tecnica si mantiene solo restando ai vertici, in Italia, ma anche in Europa. L’obiettivo per il prossimo anno sarà quindi, oltre alla non scontata conferma tra i patrii confini (vedi Napoli), il conseguimento di uno step di crescita ulteriore nella nuova Champions League a 36 squadre, richiesto sia ai giocatori che allo stesso Inzaghi, nel confronto con i top team del calcio europeo. Un target, questo, che sembra comunque essere nelle corde della squadra neo campione d’Italia, al cui fine essa ha già iniziato a programmare la stagione ventura, con ulteriori innesti pronti a integrare i titolari e migliorare ancora la competitività della rosa. Quest’anno, tuttavia, l’obiettivo primario era la conquista dell’agognata seconda stella, ed è stato non solo conseguito senza appelli o discussioni, ma con prestazioni che hanno fatto ricredere anche taluni voci solitamente critiche verso la società e la squadra milanese. Il futuro resta quindi da scrivere, ma, se ci si ricorda la situazione di due anni fa, il percorso giunto fino a oggi è una storia di successo. Come scrive oggi il direttore della Gazzetta, Stefano Barigelli, “da tempo l’Inter sarebbe dovuta passare di mano secondo disinformati di professione, economisti per mancanza di prove, insomma quel caravanserraglio che fa da contorno, spesso degradato, al calcio italiano”. “L’Inter di Zhang – prosegue Barigelli – invece è per successi seconda solo a quelle dei Moratti”.
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