Calcio

Sul tetto d’Europa, l’Esodo verso Barcellona e la conquista della coppa

24 Maggio 2019

Barcellona 24 maggio 1989.
Cominciamo a dire che c’ero e con me altri 90.000 rossoneri.
E’ il giorno in cui il Milan ha vinto la Coppa dei campioni, quella con le doppiette di Gullit e Van Basten, quella di una squadra incredibilmente forte in tutti i reparti, quella in cui Angelo Colombo da Mezzago era titolare.
Il percorso di avvicinamento era stato turbolento (la partita di Belgrado decisa ai rigori dopo la sospensione per la nebbia), le due gare con il Werder Brema e l’andata a Madrid contro il Real: tre gol regolari in quattro partite che non furono concessi. Il più clamoroso contro la Stella Rossa al Marakanà (con la K) quando la palla rimbalzò oltre la linea. Poi, cambiò qualcosa e il trionfo entrò nel nostro vocabolario grazie al ritorno con il Real vinto per cinque a zero, e con i giocatori che segnarono che sulla maglia avevano il numero 7,8,9,10,11.

Scattó, immediata, l’ansia da finale, ovvero come trovare il biglietto, c’era ancora il muro di Berlino e dalla Romania non si potevano muovere, così si materializzò un ticket surplus per i tifosi rossoneri ormai ebbri per quello che stava accadendo. Non va dimenticato, che solo sei anni prima, contro la Pistoiese, giocammo la nostra ultima partita in serie B.

I tagliandi furono messi in vendita a San Siro nei giorni in cui all’Ansaldo c’era il convegno socialista, credo quello iconico con la piramide di Craxi.

Craxi e il Muro sembrano echi lontani, a essere ancora fortissimo è invece il rumore dei clacson che hanno accompagnato il popolo milanista sino a Barcellona.

L’ingresso nello stadio è stato adrenalinico per me, immagino per i calciatori. Arrigo negli spogliatoi lesse un pezzo dell’articolo che Gianni Brera (la firma più prestigiosa del giornalismo italiano e, va detto, nemico del sacchismo) dedicò alla presentazione della gara. Il succo era che i romeni bravi palleggiatori vanno aspettati e uccellati in contro piede. Arrigo chiese alla squadra se era d’accordo, Gullit rispose “mister noi usciamo e li attacchiamo dal primo all’ultimo minuto”. Il profeta a quel punto sapeva già che avrebbe vinto.

Si inizia e pum, pum, pum ne buttiamo dentro tre prima dell’intervallo, io sono dietro la porta giusta e mi gusto l’esultanza dei due olandesi. Entró anche Pietro Paolo e i suoi compagni cercarono di farlo segnare in tutti i modi, ma purtroppo non ci riuscirono. PPV lo avrebbe meritato.

In un colpo solo siamo diventati campioni d’Europa e il paradigma per il gioco del futuro, all’improvviso quello che c’era prima sembrava polveroso. Estetica, tecnica, bravura, spettacolo hanno portato la vittoria, cosa che col pallone, vista la sua imprevidibilità, avviene raramente.

Anche Albert Camus, cantore dei sentimenti del calcio, sarebbe stato felice nel vedere la felicità di novantamila milanisti. Il resto, come si dice, è storia. Di quella coppa non se ne parlerà solo per i trent’anni della ricorrenza. Se ne parlerà per sempre.

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