Calcio
Shakhtar e Qarabag: profughi
L’occupazione militare può sembrare, a prima vista, un concetto lontano dalla realtà odierna europea, ma non lo è. Ci sono diversi territori occupati sul suolo del Vecchio Continente, posti tutti ai suoi margini geografici e politici: si tratta perlopiù di regioni contese militarmente da alcuni stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica. In particolare, nell’oblast’ dell’Ucraina orientale di Donec’k e nel territorio azero del Nagorno-Karabakh sono attive due fra le società calcistiche più importanti dell’Est europeo, che hanno dovuto spostarsi dalle città di origine per via della guerra: lo Shakhtar e il Qarabag.
SHAKHTAR E DONEC’K
Donec’k (o Donetsk) è ufficialmente il capoluogo di una delle regioni orientali dell’Ucraina, ma di fatto è la capitale della cosiddetta Repubblica Popolare di Donec’k, autoproclamatasi indipendente nel 2014. A seguito di un referendum non riconosciuto dal governo ucraino, gli indipendentisti hanno occupato le strutture di governo della regione, mentre si andavano intensificando gli scontri militari fra le due parti.
Donec’k è un importante centro industriale, grazie soprattutto alle sue miniere, che negli scorsi anni hanno registrato diversi gravi incidenti sul lavoro, portando alla morte di molte decine di minatori. L’importanza e la diffusione di questa attività è testimoniata anche dalla principale squadra di calcio della città: lo Shakhtar (“il minatore”), che sul proprio stemma porta due martelli incrociati, un simbolo che si trova all’entrata di ogni miniera.
Il club è oggi noto in tutto il mondo grazie all’ottima gestione del magnate Rinat Achmetov, che ha rilevato la società nel 1996. Lo Shakhtar è stata l’unica squadra ucraina che è riuscita a contendere il primato alla Dinamo Kiev, vincendo 11 dei 27 campionati nazionali giocati dall’indipendenza del Paese. Un’interessante amalgama di ottimi brasiliani e solidi calciatori dell’Est, guidati dal 2004 al 2016 da Mircea Lucescu, ha permesso alla società di essere competitiva anche in campo europeo, raggiungendo spesso, negli ultimi anni, le fasi finali della Champions League e soprattutto vincendo la Coppa Uefa nel 2009. Pochi mesi dopo questo straordinario successo, lo Shakhtar ha inaugurato la Donbass Arena, il nuovo stadio costruito per i campionati europei del 2012.
Dal 2014, però, lo Shakhtar non ha più una casa, per via della guerra scoppiata nella regione fra gli indipendentisti filorussi e le truppe governative ucraine. La società è stata costretta a spostarsi nei territori sotto il controllo del governo centrale, giocando le proprie partite prima a Leopoli e poi a Charkiv: lo Shakhtar è ancora oggi un profugo, nel vero senso della parola. Anche la Donbass Arena, nel frattempo, è stata danneggiata da due ordigni esplosi nelle vicinanze.
Nonostante tutto, la squadra ha continuato a ottenere ottimi risultati sia in campo nazionale che internazionale, vincendo i campionati del 2017 e del 2018, oltre a mettere in grande difficoltà sia Napoli che Roma nella Champions League dell’anno scorso (battendo entrambe sul suolo ucraino).
Il periodo di maggiore crisi per lo Shakhtar è stato, ovviamente, quello immediatamente successivo allo scoppio del conflitto. Mentre la squadra conquistava il titolo nazionale del 2014, gli scontri armati erano già cominciati da qualche mese e lo Shakhtar era già fuggito da Donec’k. Nei successivi due anni i risultati sono stati positivi ma più altalenanti e ciò ha permesso alla Dinamo Kiev di tornare a conquistare il campionato per due volte.
Lo Shakhtar ha avuto un discreto successo nel riuscire a trattenere i calciatori, soprattutto stranieri, che temevano per la propria vita: in particolare i brillanti brasiliani Marlos, Taison e Fred non hanno lasciato la società. Quest’ultimo, arrivato nel 2013, ha lasciato il club solo nel 2018, andando al Manchester United per 60 milioni di euro. Questo trasferimento ha confermato la bontà della selezione dei calciatori dello Shakhtar, in grado, dopo l’esperienza a Donec’k, di giocare ad alti livelli nelle migliori squadre europee. Fra i tanti passati per la maglia arancio-nera ci sono anche Douglas Costa, Fernandinho, Willian e Mkhitaryan.
Interessante è anche la storia di Darijo Srna, terzino croato che ha giocato nello Shakhtar per 15 anni, portando a lungo anche la fascia da capitano. In un’intervista al Guardian, ha raccontato di ricordare l’ultimo giorno a Donec’k, una città che avrebbe potuto avere un bellissimo futuro secondo lui. Srna, come tanti altri, ha perso la casa, rimasta nel territorio controllato dai filorussi, ma non ha lasciato l’Ucraina. Sopravvissuto da bambino a un’altra guerra, quella svoltasi nei Balcani nei primi anni Novanta, ha rifiutato diverse offerte importanti, restando allo Shakhtar fino al 2018, quando è arrivato il trasferimento al Cagliari.
La lontananza dalla Donbass Arena ha impedito allo Shakhtar di avere un pubblico importante nelle partite in casa. La situazione era particolarmente difficile durante il “soggiorno” a Leopoli, che dista oltre 1000 km da Donec’k. La squadra oggi gioca le partite interne a Charkiv, lontana quasi 250 km, ma le continue tensioni militari comportano ancora molte difficoltà. Di recente, lo Shakhtar ha dovuto disputare alcune partite a Kiev, a causa della temporanea introduzione della legge marziale a Charkiv.
La squadra di Donec’k è però molto seguita nelle grandi partite europee, quando il numero di spettatori è molto alto anche a Charkiv, Kiev o Leopoli. Si tratta di un tifo che trova forse la propria ragione nella comune identità nazionale ucraina, la cui causa lo Shakhtar ha sposato, decidendo di trascorrere il proprio esilio nelle zone controllate dal governo di Kiev e rappresentando il Paese.
Lo Shakhtar è un club profugo dal 2014, ma, viaggiando per quasi 1500 km a Sud-Est di Donec’k, si può incontrare un’altra società con una storia analoga, il cui esilio dura da molto più tempo: il Qarabag.
IL QARABAG
Il Qarabag ha oggi sede a Baku, ha vinto tutti i campionati nazionali dell’Azerbaigian dal 2014 ed è controllato dalla Azersun Holding, la principale azienda di prodotti alimentari del Paese. Si tratta di una società ricca e stabile, che ha costruito la sua fortuna in campo soprattutto grazie all’impiego di buoni calciatori azeri e sudamericani. Dal 2008 sulla panchina siede Qurban Qurbanov, che è stato il principale artefice del progetto Qarabag. In questi anni, Qurbanov ha sviluppato un calcio veloce e bello, basato sul possesso palla e su veloci combinazioni fra i giocatori, tanto che il Qarabag è chiamato anche il “Barcellona del Caucaso”.
Sullo stemma del club figurano due cavalli, che richiamano i caratteristici cavalli della regione del Nagorno-Karabakh, situata nel Sud dell’Azerbaigian, al confine con Iran e Armenia. Qui, più precisamente nella cittadina di Ağdam, nel 1951, è stato fondato il Qarabag.
Il territorio del Nagorno-Karabakh appartiene oggi all’Azerbaigian, a cui è stato assegnato nel 1920 per volere di Stalin, ma è abitato in prevalenza da armeni. Negli anni della dissoluzione dell’Unione Sovietica, la locale popolazione armena, con l’aiuto della vicina Armenia, ha proclamato la Repubblica dell’Artsakh, che non è stata riconosciuta da alcun membro dell’ONU. L’Azerbaigian ha poi rivendicato il territorio, appartenuto alla Repubblica Socialista Sovietica Azera, di cui il Paese è diretto erede. Le operazioni militari intraprese dal governo azero hanno acceso il conflitto nel 1992, che si è protratto fino al 1994. In una guerra molto violenta, della quale ha fatto le spese soprattutto la popolazione civile, i due eserciti hanno compiuto diversi atti di pulizia etnica, peraltro verificatisi già dal 1988. Uno di questi è avvenuto il 25 e il 26 febbraio 1992, a Khojaly, non lontano da Ağdam, dove sono morti circa 200 civili azeri, oltre a 4500 persone che risultano ancora oggi disperse. Le responsabilità di questa strage sono oggetto di discussione fra il governo armeno e quello azero, che oggi sottolineano gli uni le colpe degli altri. Quello che mi sembra abbastanza verosimile, vista la dinamica dei fatti, è che i primi responsabili siano stati i militari armeni.
In questo contesto di guerra ha combattuto anche Allahverdi Bagirov, che era stato allenatore del Qarabag negli anni Settanta. Durante il conflitto Bagirov è stato un ufficiale dell’esercito azero e ha trovato la morte nel 1992, quando il veicolo con cui si muoveva è incappato in una mina anticarro. Il ricordo di questo personaggio è forte nell’immaginario delle persone legate al Qarabag, che non ha potuto proseguire la sua attività nella regione di origine. Nel 1993, anno in cui il club ha vinto il primo titolo nazionale, Ağdam è passata sotto il controllo armeno e lo stadio Imarat ha conosciuto un destino anche peggiore della Donbass Arena, finendo in macerie sotto i bombardamenti. Il Qarabag si è spostato allora a Baku, dove i primi tempi sono stati durissimi. Una crisi economica ha impedito al club di trovare la stabilità necessaria per ottenere buoni risultati fino alla fine degli anni Novanta. Il momento decisivo, però, è arrivato nel 2001, quando la Azersun ha rilevato la società e ha cominciato lentamente a costruire quello che oggi è un gigante del calcio azero.
Il Qarabag è una società molto solida. La squadra partecipa regolarmente alle coppe europee e l’anno scorso ha disputato anche la fase a gironi della Champions League: due i punti ottenuti dagli azeri, grazie a due pareggi contro l’Atletico Madrid, che hanno anche facilitato il passaggio del turno alla Roma. La società possiede anche un’ottima infrastruttura e ha a disposizione tre stadi diversi in cui disputare le partite interne, fra cui lo stadio Olimpico di Baku, dove fra qualche settimana si giocherà la finale di Europa League.
Il Qarabag, però, è profugo da 26 anni. Il ricordo di Ağdam rimarrà per sempre un tratto importante nell’identità del club, che porta in giro per l’Europa il nome della regione da cui viene (“Qarabag” è il nome in lingua azera della regione che in italiano chiamiamo “Karabakh”, che è invece armeno) e la sua tragica storia. La cittadina di Ağdam è ormai un fantasma: fondata nell’Ottocento e divenuta un importante centro nel secolo scorso, oggi è disabitata e in macerie. Nel 2010, la Repubblica dell’Artsakh ha deciso anche di cancellare il nome Ağdam, cambiandolo in Akna.
Data la situazione, è difficile pensare che il Qarabag possa mai più tornare a giocare ad Ağdam ed è difficile anche sapere se lo Shakhtar potrà mai più giocare alla Donbass Arena o se dovrà, invece, seguire la strada del lungo esilio tracciata dal club azero.
(L’immagine di copertina è stata realizzata da Cole Patrick.)
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