Calcio

Maurizio Sarri non è mai stato un rivoluzionario

17 Giugno 2019

Da ieri è ufficiale: Maurizio Sarri sarà il nuovo allenatore della Juventus.

Tanto basta ad alcuni per gridare allo scandalo, vedendo nella firma di Sarri per la Juve il tradimento delle idee del tecnico toscano, e forse finanche la conferma che il potere, alla fine, ha sempre la capacità di corrompere i suoi oppositori.

Il problema, però, è che questa visione nasce da un travisamento della figura di Sarri, che nella sua fase a Napoli è finito col rappresentare un modo di intendere il calcio moderno, a livello mediatico prima ancora che tattico, che va oltre quello che lui ha affermato in prima persona.

Sicuramente la filosofia di Maurizio Sarri è, per molti versi, il contrario di quanto fatto vedere dalla Juve negli ultimi anni. Da una parte abbiamo una società che ha sempre messo la vittoria al primo posto nella scala dei valori, e che ha dato a volte la sensazione di volersi sentire al di sopra delle regole, come dimostra la reazione e i ricorsi alle sentenze di Calciopoli, e la tendenza dei sostenitori a considerarsi ancora i legittimi vincitori dei campionati revocati. Dall’altra, abbiamo un ex impiegato in banca divenuto allenatore, che entra sempre in campo in tuta per marcare la differenza dal suo lavoro precedente e che ha esplicitamente affermato di avere come obiettivo la bellezza del gioco.

Apparentemente la contrapposizione non potrebbe essere più totale, e infatti tanto è bastato a molti, negli anni, per vedere in lui e nel suo Napoli l’anti-Juve per eccellenza, nel pensiero più che in classifica.

Ma, per citare figure più in linea con un certo pensiero, Sarri non è Zeman: non si è mai opposto per principio a certe grandi squadre, non ha mai sfidato i poteri forti per partito preso o per ardore rivoluzionario. Sicuramente lui stesso talvolta si è presentato come l’anti-Juve, ma questo anche per via della situazione contingente dell’essere l’allenatore della squadra che poteva insidiare l’ennesimo scudetto dei bianconeri. Un fenomeno dettato da ragioni mediatiche prima che da una filosofia di vita. Di sicuro, il “sarrismo” ha visto nell’allenatore più di quanto l’uomo autorizzava a vederci. Sarri non è un rivoluzionario, ma uno che, un po’ per responsabilità sue un po’ per ardore della tifoseria, è divenuto simbolo di un’opposizione estemporanea più che di un progetto (e infatti è bastato cambiare squadra per veder crollare tutta questa visione). Masaniello, più che Che Guevara.

Anche nella famosa intervista dove parla della bellezza, afferma che per lui è uno strumento per fare risultato (vincere, in fondo, interessa anche a lui). Non a caso, lasciato il Napoli è andato a Londra sponda Chelsea, un club che per storia e risorse non può certo considerarsi una piccola squadra (e il Napoli stesso, in fondo, non lo è mai stato).

Più che una figura anti sistema, Sarri è stato finora fuori dal sistema. Il suo aver firmato per la Juve non è il fallimento della sua filosofia, semplicemente perché questa filosofia non è stata fino in fondo la sua. Se da oggi potrà allenare una delle rose migliori del mondo, sperando di vincere la Serie A e la Champions League, questo non può essere visto come come un tradimento della sua storia, ma mostra in una luce diversa la fase napoletana. Maurizio Sarri non perde firmando con la Juve, ma al contrario vince se insegna ai bianconeri la bellezza.

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