Calcio
Sarà una minoranza di tifosi, ma il calcio violento sembra la normalità
Parleremo del Torino che torna a battere la Juve nel derby della Mole, del Napoli che vince ancora e della Roma che fa risorgere l’Inter. Parleremo di calcio, della serie A, come se nulla fosse, come se intorno fossero accaduti giusto eventi collaterali. Ed evidentemente tali consideriamo, perché vengono raccontati – tra un gol e l’altro – dimenticando quello che è successo giusto una settimana fa. Per non dire della lunga e nefasta tradizione del binomio calcio/violenza.
Allora, per dovere di informazione, dovremmo giusto ricordare che nella giornata di sabato 18 aprile ci sono stati due eventi, tanto lontani geograficamente quanto vicini per gravità. A Varese lo stadio è stato devastato in segno di contestazione contro la società e l’ormai inevitabile retrocessione dalla serie B alla Legapro, portando allo slittamento di un giorno della partita contro l’Avellino e costringendo i tifosi avversari – giunti dall’Irpinia – a cercare un pernottamento di fortuna in terra lombarda. A Cagliari, qualche ora prima, un gruppo di ultras aveva già minacciato alcuni calciatori per lo scarso rendimento che rischia di far precipitare la squadra sarda in serie B. Non dobbiamo andare troppo indietro per menzionare gli infami striscioni esposti nella curva della Roma contro la madre di Ciro Esposito.
La sensazione è che il ‘pallone’ in Italia funzioni così ma finisca in primo piano soloquando ci scappa il fatto grosso. Il senso del fallimento del sistema è nelle parole che Zdenek Zeman, prima di andare via da Cagliari, ha pronunciato peraltro senza nemmeno un intento realmente polemico. Gli sono uscite spontanee:
Episodi simili in carriera me ne sono capitati tanti, si è sempre cercato di risolvere, ma non è facile.
Il fenomeno, dunque, esiste da decenni. Dalle affermazioni del tecnico boemo arriva l’ennesima conferma che non è qualcosa di recente: qualsiasi ‘uomo di calcio’ li vede come una ‘parte del gioco’. Addirittura l’integerrimo Zeman si è arreso di fronte a questa evidenza. Questi fatti sono vissuti con tale normalità da essere archiviati nel giro di poche ore, condannati alla casistica di questioni minori e oscurati dai peggiori lutti che hanno funestato il calcio italiano.
Così, una settimana dopo Varese e Cagliari, a Torino c’è il derby con il pullman della Juventus – non proprio una squadra di terza categoria – che viene aggredito da alcuni facinorosi, secondo la logica che vede l’avversario sportivo come un nemico. Tutto normale, in fondo. Si tratta della solita minoranza. Certo, a Belgrado per il derby Stella Rossa-Partizan gli ultras hanno fatto di peggio con il lancio di fumogeni e gli scontri con la polizia che hanno costretto l’arbitro a posticipare l’incontro di 45 minuti. Ma il calcio serbo non è da prendere proprio come modello.
Le immagini di Torino sono scioccanti, perché frutto di un vero e proprio agguato: hanno suscitato un po’ indignazione e sicuramente provocheranno l’ennesimo dibattito sulla ‘violenza negli stadi’ e sul ‘calcio malato’. Il ministro di turno produrrà la nuova idea, qualche bozza di provvedimento e l’annuncio di una nuova era per l’italico pallone. In fondo anche lui, insieme alle Istituzioni tutte, è rassegnato all’andazzo generale, che vede gli stadi come uno sfogatoio trasferendo il problema su un piano sociale.
Perciò ho la sensazione che sarà anche una minoranza di tifosi a rovinare lo spettacolo, ma il calcio violento è ormai una parte del sistema stessa. Così diventa difficile provare a confutare la teoria esposta da Massimiliano Allegri quando ha detto che è da «folli» portare bambini allo stadio. I bambini, infatti, non devono assistere alle guerriglie senza motivo. Per quello c’è tempo.
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