Calcio
Red Bull: tra marketing e lotta al calcio moderno
Lo sport rappresenta un ambito di enorme interesse per le campagne promozionali, vista la sua capacità di attirare un pubblico molto ampio e con un’ampia stratificazione sociale. A maggior ragione, fa gola ad aziende con prodotti particolarmente a target, come ad esempio gli energy drink.
Il brand più famoso di questo settore, Red Bull, ha infatti una presenza massiccia in diverse discipline. Oltre a sponsorizzare numerosi eventi, come il Red Bull Flugtag, l’azienda di Salisburgo si è spinta fino ad assumere il controllo di vari team, che hanno assunto il marchio della bibita come loro simbolo identitario.
In Formula 1, dal 2005 esiste la Red Bull Racing, che grazie a Sebastian Vettel ha vinto quattro titoli mondiali consecutivi dal 2010 al 2013. Di un anno più giovane, la Scuderia Toro Rosso è il suo satellite italiano (come si intuisce anche dall’inconsueta traduzione del nome) ed ha principalmente lo scopo di allevare giovani talenti, per poi lanciarli nella Red Bull.
Nell’hockey su ghiaccio, controlla la squadra di Salisburgo dal 2000, anche se solo dal 2007 le ha dato il proprio nome, e quella di Monaco di Baviera. Le partecipazioni nel calcio sono più numerose e variegate. Dal 2008 al 2014 è stata attiva la Red Bull Ghana, una squadra che, dopo la retrocessione nella seconda serie, ha preferito fondersi con la società satellite del Feyenoord per dar vita alla West African Football Academy. Red Bull Brasil, fondata nel 2007, ha sede a Campinas e partecipa al campionato paulista. Nel campionato statunitense ci sono i New York Red Bulls, così chiamati a partire dal 2006, quando l’azienda austriaca ha assunto il controllo della franchigia un tempo chiamata MetroStars. Nonostante il nome, la squadra rappresenta in realtà tutto il New Jersey e gioca le sue gare casalinghe alla Red Bull Arena, che si trova ad Harrison.
La stessa operazione, ovviamente, è stata effettuata nella propria città, dove nel 2005 il munifico sponsor ha cambiato nome alla storica Austria Salisburgo, che fino ad allora vantava tre Scudetti e una finale di Coppa Uefa giocata nel 1994 e persa contro l’Inter. Inizialmente, i tifosi non hanno preso bene il cambiamento, ma poi hanno fatto buon viso a cattivo gioco, anche perché in dieci anni la squadra ha vinto la bellezza di sette Scudetti e quattro coppe d’Austria. Il primo campionato di questa serie è stato vinto grazie anche all’ingaggio di Trapattoni (con Matthäus come vice), che grazie al titolo austriaco ha raggiunto quota dieci Scudetti in quattro Paesi diversi, un record condiviso con Happel e Mourinho. Al trio potrebbe aggiungersi Ancelotti, visto che il suo Bayern è fortemente indiziato di vittoria del campionato tedesco.
Proprio in Germania, la Red Bull sta trovando difficoltà sorprendenti con l’ultima tappa del suo percorso: l’acquisizione della squadra di Lipsia. L’operazione è partita nel 2009 rilevando l’SSV Markranstädt, una formazione di quinta divisione. La scelta era caduta su questo club dopo aver trovato difficoltà con le altre opzioni valutate in precedenza. Decisa a puntare su una squadra dell’ex Germania Est, dove le difficoltà economiche avrebbero facilitato la propria penetrazione, l’azienda di Dietrich Mateschitz aveva inizialmente puntato la gloriosa Dinamo Dresda, salvo cambiare idea per via di uno stadio troppo piccolo e di una tifoseria particolarmente accesa, che difficilmente avrebbe digerito un cambiamento così drastico.
Spostatasi a Lipsia, Red Bull ha cercato di acquisire il Sachsen, ma anche in questo caso le vibranti proteste dei tifosi hanno suggerito un ripensamento. Tre anni dopo, anche i sostenitori del Markranstädt hanno provato a mettersi di traverso, sia gettando del diserbante sul campo, sia distruggendo dei cartelloni pubblicitari della nota bibita. Tuttavia, Mateschitz ha tenuto duro ed ha ribattezzato il club “RasenBallsport Leipzig”, un modo furbo per aggirare la norma tedesca che vieta di dare alle squadre il nome dei propri sponsor: adesso tutti si riferiscono al club come RB Lipsia, se non proprio come Red Bull Lipsia o al massimo come “Die Roten Bullen”, che poi è la traduzione teutonica della ragione sociale. Lo stemma, neanche a dirlo, è praticamente identico a quello della bibita.
Il nuovo sodalizio ha scalato la piramide del calcio tedesco, fino a raggiungere la promozione in Bundesliga al termine della scorsa stagione. Non si può dire che le altre regine del calcio germanico abbiano dato un caloroso benvenuto all’ultima arrivata. Osteggiata da tutte le altre tifoserie, la squadra allenata dall’austriaco Hasenhüttl è stata oggetto di una particolare forma di protesta in occasione della recente trasferta a Colonia. Il pubblico locale ha ritardato l’inizio della partita di un quarto d’ora, organizzando un sit, con cartelli e striscioni, che ha temporaneamente impedito l’ingresso nello stadio del pullman dell’RB.
Siamo abituati a contestazioni ed intemperanze di ogni genere, ma se solitamente si protesta per rigori non dati e trasferimenti mal digeriti, il capo d’accusa nei confronti della squadra di Lipsia è ben più sofisticato: non avete storia, non avete blasone, avete comprato il vostro posto nel grande calcio e non lo meritate. Non si tratta, peraltro, di un inedito. “You have no history” è il dileggio che viene rivolto anche al Manchester City, da quando i petroldollari dello sceicco Mansur hanno colmato un palmarès non entusiasmante. Gli stessi mal di pancia ci sono stati quando il più glorioso United è stato comprato dalla famiglia Glazer, giunta dagli Stati Uniti, o quando il Cardiff City ha cambiato il colore delle maglie da blu a rosso, perché la nuova proprietà asiatica lo considerava più consono ai mercati dell’est, dove è ritenuto beneaugurante. Le proteste dei tifosi non sono state lievi: il Cardiff è dovuto tornare alla livrea tradizionale e i tifosi duri e puri del Manchester United hanno fondato una nuova società, l’F.C. United of Manchester.
A Lipsia l’aria sembra ancora più pesante, perché la contestazione è diffusa ed incarna anche un po’ di invidia. Squadre un tempo di vertice come Werder e Amburgo non vedono di buon occhio la possibile crescita di un nuovo competitor. Dal punto di vista del marketing, bisogna soprattutto soppesare i possibili effetti di questa particolare situazione per la popolarità del brand Red Bull. La partita è ancora tutta da giocare e su questo ha ragione il difensore Compper, ex Fiorentina: “Se continueremo a giocare con coraggio e forza di volontà ci guadagneremo il rispetto. Noi continueremo in questo modo”.
I risultati possono incidere molto sull’umore dei tifosi, ma non bisogna sottovalutare la loro presa di posizione, che ha basi ben più solide. Il movimento che si oppone, genericamente, al “calcio moderno” è attivo ormai da diversi anni ed ha ramificazioni in tutta Europa. Più le istanze moderniste e speculative si fanno forti, più si stimola una reazione uguale e contraria da parte di chi, sentendosi portatore dei valori tradizionali dello sport più amato del mondo, può identificare come nemico chiunque miri ad altri obiettivi.
Sono certo che i responsabili del marketing di Red Bull sapranno comprendere la profondità di questi aspetti ed i relativi rischi. La presenza di aziende decise ad investire nel mondo dello sport è sempre da accogliere con favore e anche in Italia, negli ultimi anni, stiamo abituandoci all’internazionalizzazione di alcuni storici club.
Perché gli investimenti diano i frutti desiderati, bisogna però riuscire a calarsi nella specificità dell’ambiente dove si sceglie di operare. Vi sono sport con una vocazione molto più aperta nei confronti del business, come la Formula 1 o il basket, dove ci siamo abituati a chiamare le squadre con il nome dei propri sponsor. Nel calcio, al contrario, il rispetto per la tradizione è percepito come un valore fondamentale e bisogna tenerne conto.
Nei primi anni Ottanta, quando gli sponsor conquistarono il diritto di apparire sulle maglie delle squadre di calcio, l’unica regola era “essere presenti”. L’importante era piazzare il marchio sul petto degli eroi della domenica, per essere immediatamente visibili da milioni di appassionati. Oggi, la presenza non è più sufficiente: entrare a gamba tesa può essere controproducente e bisogna usare strategie più sottili e raffinate.
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