Calcio

Quel senso di “non so che” provato ogni volta che Zeman viene esonerato

24 Dicembre 2014

L’esonero di Zdenek Zeman dovrebbe essere ormai un non-notizia, perché è una sorta di déjà vu. Anche a Cagliari, seppure per poco, «non ha mangiato il panettone»: è stato cacciato dopo la recente crisi di gioco e risultati. Dall’inizio degli anni Duemila, il boemo colleziona esperienze negative: dalla breve parentesi con il Napoli (datata 2000) in poi ha subito altri quattro esoneri (Lecce, Stella Rossa, Roma e Cagliari), più una retrocessione in C1 (con l’Avellino nella stagione 2003/2004). Un cammino fallimentare che avrebbe portato qualsiasi altro tecnico alla disoccupazione perenne.

Eppure Zeman ha delle peculiarità che lo rendono sempre appetibile. In primo luogo è il simbolo di un calcio affascinante che cerca il successo attraverso lo spettacolo, attuando una severa disciplina sportiva. Sono ormai leggendari i suoi allenamenti durissimi, spesso indigesti ai grandi calciatori (per informazioni rivolgersi a De Rossi e Osvaldo).

La sua filosofia è un tema di discussione. «Per coprire il campo in modo razionale, il 4-3-3 è la miglior disposizione: è il modulo perfetto», ha sempre teorizzato l’allenatore cercando di smentire la tesi di chi lo ritiene troppo spregiudicato (e magari gli suggeriva qualche accorgimento tattico). Allora molti presidenti, l’ultimo in ordine cronologico è stato quello del Cagliari, Tommaso Giulini, subiscono il fascino di queste idee molto coraggiose. Infine, sia detto per inciso, Zeman è attento ai bilanci delle società, preferendo puntare sui giovani, che sono meno costosi e più disposti ad ascoltare i suoi dettami tattici. L’auspicio di chi ci scommette è che possa riproporre la Zemanlandia di Foggia, che negli anni Novanta ha incantato l’Italia.

Il boemo, insomma, rappresenta una promessa molto attraente con il mix tra la possibilità di bel gioco e di risparmio in termini economici. In aggiunta offre la garanzia di un’immagine pulita (la sua crociata contro il doping nel calcio è entrata nella storia) e di valorizzazione dei talenti più giovani.

Il guaio, però, è un altro: il perfetto 4-3-3 richiede un’esecuzione sempre perfetta degli interpreti in campo. Tale perfezione diventa una chimera durante il terribile “inverno zemaniano”, probabilmente a causa della durezza della sua preparazione atletica. Ogni squadra guidata dal tecnico boemo, infatti, subisce un calo pesantissimo tra novembre, dicembre e gennaio. Chi lo assume dovrebbe saperlo bene (forse a Cagliari avrebbero dovuto avvisare il presidente…), perché altrimenti si rischia la prematura rottura del rapporto.

Il meccanismo del 4-3-3 finisce così per incepparsi e, da integralista puro, Zeman prosegue lungo la sua rotta, senza alcuna modifica, sbattendo contro il muro di sconfitte disarmanti. I calciatori, in deficit di condizione fisica, non riescono a soddisfare le sue richieste.

Perciò, ogni volta che Zeman viene esonerato c’è una sensazione di perplessità inspiegabile, quel senso di “non so che” per un fatto che innesca domande sul senso più profondo della tattica nel Calcio.

C’è l’amara constatazione di filosofia calcistica che le perfette teorie possono rivelarsi pratiche inattuabili.

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