Calcio
Ma se Balotelli fosse stato solo Mario?
Dice Billy Costacurta, in una intervista dell’altro ieri a ‘Corriere Tv’, che Mario Balotelli, nel suo Milan, “non sarebbe neanche entrato nello spogliatoio”. Visti i componenti della squadra degli allora ‘Invincibili’ e i tecnici che si sono succeduti su quella panchina – da Sacchi a Capello fino a Zaccheroni e Ancelotti – può non essere difficile credergli. Però, l’insistenza dei media su questo ragazzo – non ultima la classifica dei giocatori di calcio più sopravvalutati stilata dal Telegraph la scorsa estate -, gli articoli sulla sua parabola discendente o quel non lo vuole più nessuno ripetuto sui giornali letti sotto l’ombrellone prima del ritorno a Milanello, un po’ di tenerezza, nei suoi confronti, la fanno provare.
Certo, lui ci mette del suo – le creste più o meno colorate, i selfie, le sparate sui social network, i macchinoni, le parole avventate, l’indolenza in campo, i pochi gol, l’atteggiamento… – però se fosse stato solo Mario e non Supermario, come è stato subito battezzato con sommo slancio di fantasia, sarebbe andata davvero così? Sarebbe rotolato giù in maniera così fragorosa? Che il ragazzo fosse forte a calcio, più forte dei suoi coetanei – vuoi per il fisico, vuoi per doti tecniche – era subito apparso chiaro agli allenatori che lo hanno incrociato, dal Lumezzane a quelli della Primavera interista. Persino a quelli più grandi, se uno come Mancini – che di talento giovanile, lui debuttante in A a 16 anni, dovrebbe intendersi – e pure Mourinho ti fanno giocare a fianco di campioni celebrati. Però, se da quando sgambetti con i tuoi pari età ti etichettano come Supermario, prima ancora di mostrare di essere davvero un fuoriclasse… Già perché – per dirne due a caso – con Del Piero, alla Juve dopo giovanissima gavetta veneta, o con Totti, a salire tutti i gradini delle gerarchie giallorosse, l’enfasi giornalistica non è stata pari a quella profusa per Balotelli. Talenti fatti crescere, tutto sommato, con calma. Soprattutto mediatica. Nessun Super, in giovane età. Nemmeno Messi, la Pulce – mica la Superpulce, quando era ancora ragazzino – malgrado giocate cui non stanno dietro neanche gli sviluppatori dei videogame.
Mario, invece, subito Super. Un fenomeno, scrivono tutti. Persino quando batte un calcio d’angolo che, come lo tira lui. Fenomeno prima ancora di dimostrarlo compiutamente. D’altronde la storia del ragazzo è intrigante: figlio di migranti, adottato da una bella famiglia bresciana, i calci al pallone all’oratorio, l’Inter, la Nazionale, il simbolo perfetto della nuova Italia multietnica. Il successo, anche economico, l’agente dei supergiocatori che fa piovere contratti milionari, la copertina di Time. Tutti gli ingredienti per il perfetto feuilleton. Che tanto piace. E allora, ogni rete è una folgore che squarcia il cielo (fosse pure un tocco di piatto a porta semivuota), il colpo di testa contro l’Inghilterra ai Mondiali brasiliani, una rete normale per un attaccante, un gesto da canto Omerico. Balotelli qua, Balotelli là. Fin da quando è poco meno che maggiorenne. Quasi un Prescelto, nemmeno fosse un Lebron James, lui davvero Chosen One. Poi, si ribadisce, Balotelli ci ha messo del suo. E nemmeno poco. Perché se giochi per l’Inter e dici di avere sempre tifato per il Milan e in una semifinale di Champions League passeggi in campo e butti per terra la maglia davanti a un San Siro ribollente, ecco qualcosina proprio non torna. Ma se fosse stato solo Mario e non la versione calcistica di un videogame vintage, chissà. Ché, talvolta, uno può mica sopravvalutarsi tutto da solo.
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