Calcio
Le dimissioni necessarie di Lotito e la rifondazione del calcio italiano
Davanti alle parole di Claudio Lotito non ci sarebbe bisogno di tanti discorsi: dovrebbe lasciare il ruolo di consigliere della Figc, senza inutili isterismi o polemiche, evocando chissà quali disegni oscuri e risparmiandoci l’esautoramento deciso dall’alto.
Per chi non conoscesse i fatti, sintetizzo: secondo il presidente della Lazio (registrato a sua insaputa) Carpi e Frosinone non dovrebbero andare in serie A, perché non favorirebbero la vendita dei diritti televisivi del campionato. Una presa di posizione alquanto preoccupante per chi ricopre – seppur gratuitamente – un incarico importante. Peraltro in serie A c’è da un bel po’ di tempo il Chievoverona, la classica “favola” che almeno dà un senso di speranza a un pallone disperatamente sgonfio. La passione per lo sport vive anche grazie a queste storie.
Da spettatore interessato alla serie B (essendo avellinese), il mio sgomento è doppio e non posso negare che sorge qualche retropensiero su alcune cose viste durante le partite. Poi, però, voglio allontanare sgradevoli sensazioni e trattare l’argomento in un’ottica meno complottista.
Il problema gigantesco è che una figura influente nella Federcalcio usa toni inaccettabili, che in un Paese appena appena serio avrebbero provocato un terremoto ai vertici, mentre il presidente della Lega Beretta subito è accorso a minimizzare. Del resto sin dall’elezione di Tavecchio alla presidenza della Figc, si è avuta la conferma che il calcio italiano puntava a tutelare se stesso da qualsiasi ipotesi di rinnovamento. In fondo è solo l’ennesimo di una commedia all’italiana che non fa più ridere.
Ormai non chiediamo più rottamazioni, perché in altri settori non hanno portato esiti prorompenti. Ma di fronte a certi scandali il tentativo di preservazione del sistema diventa quasi nauseante. Perché è vero: il sistema non regge più, come ha sostenuto Lotito. E la colpa è di chi lo ha portato sull’orlo del baratro, quindi dell’attuale “classe dirigente”.
La rifondazione non deve risparmiare nulla e dovrebbe cominciare prima di tutto dalle regole e proseguire sui nomi. Tra tante affermazioni discutibili (per usare un eufemismo), Claudio Lotito ha detto un’altra cosa giusta: la serie A e la serie B devono essere avere meno squadre. In uno scenario del genere è effettivamente inutile l’accanimento con la bulimia da pallone: meglio una “sana dieta”, con norme rigide sulle iscrizioni, per scongiurare un nuovo caso-Parma.
La rivoluzione ha anche un buon paradigma: la Lega Pro, l’ex serie C, che ha tagliato due campionati, eliminando la distinzione tra C1 e C2 e creando solo tre gironi. Se è stato un bene, lo si vedrà. Di certo c’è stata un’inversione di rotta che ha interrotto un meccanismo perverso (con grappoli di società che fallivano). In A e B basta meno: togliere almeno due squadre per campionato.
Quindi noi tutti siamo pronti a far felici Claudio Lotito: facciamo tesoro del suo consiglio, a patto che esca di scena (come protagonista in Federazione, si intende, perché come dirigente della Lazio può fare che vuole) e permetta un effettivo rinnovamento del calcio che già di per sé richiede tempi lunghi. Ma se i protagonisti restano questi, potrebbe non bastare l’eternità.
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