Calcio

L’anima rossonera muore con Silvio, coi cinesi solo rapporti di lavoro

5 Agosto 2016

A 30 anni dall’esordio nel calcio, Silvio Berlusconi ha ceduto il Milan a una cordata di investitori cinesi partecipata da privati e dal governo di Pechino, che pagherà 740 milioni di euro per  il 99,93% della società.

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Se c’è una vera colpa, probabilmente l’unica ma di un certo peso, è aver trasformato il popolo rossonero da casciavit che era – anima popolare e sofferente, e per buttarla in politica: anche di sinistra – in autentico bauscione, rubandone primato e diritti ai bauscioni d’origine ch’erano poi i subalterni nerazzurri, indaffarati da sempre a spararla grossa (alla Guido Nicheli, per dire). Nessuno poteva sapere in quel momento, era la stagione sportiva 86/87, che quella mutazione tifo-antropologica, sulla carta estremamente rischiosa e, onestamente, anche un filo fastidiosa, avrebbe consentito a tutti noi ragazzi rossoneri di vivere, per un ventennio abbondante, ampiamente sopra le nostre possibilità.

Oggi che il Presidente mette il suo «Sì» al preliminare di vendita ai cinesi, il trauma sportivo è francamente relativo, assorbito ormai da anni di vacche magre, da fantasmi in panchina, da ovetti freschi serviti in camera (Seedorf), da “troppe cravatte sbagliate” (gialle e tutte di Adriano Galliani), da bresaole che volano (Inzaghi), da allenatori che non lo erano (Brocchi) e che invece lo sarebbero stati (Tassotti). E al fondo, dobbiamo persino ringraziarlo, il signor Galliani: la sua infaticabile incapacità di questi anni ha ossidato anche i sentimenti rossoneri più tenaci, rendendo il distacco molto meno doloroso.

È il distacco da Berlusconi che non potremo colmare. Che quando prese il Milan, aveva già pensato di prendere l’Inter, e poi non lo fece, mostrando una capacità straordinaria di cambiare cavallo in corsa e far credere a tutti che era per una questione affettiva. In realtà, gli unici veri rossoneri di quell’epoca Fininvest erano il Fidel, che vedevamo regolarmente allo stadio con tanto di abbonamento e poi Cesarone Cadeo, dalla chioma argentea e dal moto ondoso femminile piuttosto effervescente. Quando nell’87 Giussy Farina, inseguito da un ordine di cattura della Gdf, decise di passare una vacanzina lunga in Namibia, fu proprio Cesarone Cadeo, uomo immagine e comunicazione di B., a entrare per primo a Via Turati 3, terzo piano, “scala a sinistra”, ti avrebbe indicato il portinaio. Berlusconi divenne padrone del Milan in modo estremamente semplice, decisamente più semplice di questa infinita vendita ai cinesi. C’erano da saldare sei miliardi e rotti di Irpef non pagata da Farina e lui staccò il suo assegno, con la benedizione di Sordillo, all’epoca presidente della Federazione. Sei miliardi di lirette, un nulla. Chi scrive, quella stagione lì era proprio al Milan come capo della comunicazione. Appena spuntarono gli uomini Fininvest in sede, presi le mie quattro cose tornandomene a «Il Giorno», il quotidiano per cui scrivevo. Ci tornai, sapendo molto del Milan, dei suoi giocatori e del suo ambiente. Tesoretto prezioso, che infatti di lì a breve mi costò l’espulsione da Milanello: con un comunicato ufficiale, la società fece sapere che non ero cronista gradito (sempre lui, quello delle cravatte gialle). «Il Milan è la nostra casa», scrissero e così me ne dovetti trovare un’altra per lavorare (l’Inter del Trap che quella stagione portai naturalmente allo scudetto).

Ci sarebbe da capire perché Silvio Berlusconi è stato uno straordinario presidente del Milan. La questione non è poi così complessa, soprattutto se evitiamo di considerare la cosa sotto il profilo squisitamente sportivo (facile, direte voi, le coppe traboccano dalle bacheche) e consideriamo la storia imprenditoriale e politica. L’uomo ha una dote unica, molto rara, che non abbiamo più ritrovato nel panorama italiano: è decisamente il più veloce a imparare il nuovo gioco. Non solo a impararne i meccanismi, le pieghe più nascoste, le furbizie, le acrobazie. È il più veloce a ridurre i tempi tra sè, e cioè il momento in cui decide di buttarsi in una nuova avventura, e la vittoria. Un parallelo con quel dinosauro di Massimo Moratti, che ci mise quasi un paio di lustri per alzare mezza coppa, è persino impietoso. La capacità (e la velocità) di Berlusconi di assimilare il patrimonio di conoscenze necessarie alla riuscita di un’impresa è impressionante. Qui stiamo parlando del Milan, ma pensiamo per un momento anche alla sua vicenda politica. Anche in questo caso “un nuovo gioco” che in un certo momento della vita decide di intraprendere. Tra pensiero, ideazione, progettazione, ed edificazione quanto tempo passò? Il Cav. staccò da Publitalia i suoi uomini migliori, li sigillò in laboratorio dove cominciarono a lavorare alla nuova creatura, che lui aveva già deciso si sarebbe chiamata «Forza Italia». Era metà del ’93. Bene, il 27 marzo 1994 viene proclamato vincitore delle elezioni nazionali e diventa presidente del Consiglio.

Periodicamente un “gioco nuovo”. Ecco quale è stato il segreto che ha tenuto vivo Silvio Berlusconi. Prima Milano 2, poi le televisioni, il Milan e la politica. La politica poi è durata troppo, ha logorato persino una persona vitale come lui, gli ha tolto cellule, forza, lo ha costretto a non decidere, a mediare. Alla fine, in queste quattro e più vite, un filo rosso c’è stato: la gnocca. Il Cav. ne ha fatto un elemento distintivo, un ordine di servizio aziendale, al punto che i consigli di amministrazione dovevano iniziare invariabilmente con una barzelletta zozza raccontata da ogni componente del cda. Il cerimoniale prevedeva crasse risate, certo, ma poi un obbligo: che quelle più crasse, esibite, e percentualmente più sonore, fossero rivolte a quella che aveva raccontato lui.

Già, le barzellette. Visto che siamo agli addii, e qualche lacrimuccia rossonera andrà pure sparsa, ricordo ancora con affetto quella volta che lo feci grandemente incazzare perché trascrissi in un pezzo per Il Giorno una delle “sue” barzellette, che la sera prima aveva raccontato nella riunione con i suoi deputati. Era più o meno questa, fate conto che lui ne faceva un lunghissimo siparietto e che qui invece riassumerei per grandi linee (immaginate la faccia delle deputatesse presenti).

«Ragazzi, ieri sera ho fatto impazzire mia moglie. A un certo punto l’ho tutta ricoperta di cioccolato e ho cominciato a leccarla, leccarla…. sono partito dai piedi, poi sono risalito per le gambe e leccavo, leccavo….Ecco poi sono arrivato lì, avete capito no….? Ecco, secondo voi quando si è messa a gridare…?». Naturalmente, nessuno proferì parola. Né gli uomini, né tantomeno le signore. Per cui, guardando la platea dei suoi deputati, finalmente si liberò: «Ma cacchio, quando mi sono pulito la bocca sulle tende!!», urlò il Cavaliere. Il giorno dopo venni avvicinato dal suo assistente personale, il caro Niccolò Querci, il quale mi rivelò che la signora Veronica aveva letto e che si era incazzata (con lui) come una bestia. E lui, di conseguenza lo fece con me. Gli scrissi una lettera affettuosa, in cui mi dicevo dispiaciuto per la situazione, ma allo stesso tempo gli consigliavo di essere più discreto in quelle riunioni e soprattutto di evitare di tirare in ballo la signora, seppur in barzelletta.

Tornando al Milan, Silvio Berlusconi è riuscito soprattutto in un’impresa: trasferire in tutti i tifosi, anche gli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo, il sentimento di identificazione. Il Milan non era più l’A.C. Milan, ma il Milan di Berlusconi. Questo è stato il suo capolavoro. Adesso con i China, ognuno può riprendersi quello che il nostro straordinario Presidente ci ha tolto.

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