Calcio
La solitudine dell’arbitro
Saremo una trentina sugli spalti di metallo freddo. La pioggia batte sulla tettoia, il campo è una melma che incolla i tacchetti, la palla rotola e si gioca. Partita di prima categoria. Sono in transfert agonistico: in campo gente che avrei saltato a occhi chiusi (la memoria ti fa sempre fare un figurone).
Le due sparute sezioni di tifosi ai lati opposti. Sempre pieni di sputi e consigli, cantava dei vecchi Baglioni, ma la strofa sarebbe da riciclare per i tifosi.
Rigore per la squadra di casa. Calciano insieme, si toccano duro, uno va giù rantolando. La squadra che ha subito circonda l’arbitro, che avrà meno di trent’anni, l’assalto copre la sua casacca fosforescente. Resta impettito. Spiega e aspetta che diradi il branco famelico. E ci vuole un po’. Sugli spalti, l’onda di epiteti, che edulcorerò: Rigore inventato, fatti visitare pirla!, Ma chi ti ha dato la patente? (vabbè, questa perché mi fa ridere). Dall’altra parte un paio di battute, ma a bassa voce, tra colleghi, sulla legittimità della decisione: rigore netto. Passa un po’, e ci sono due fuorigioco fischiati alla stessa squadra che ha goduto del rigore. Giusto? Sbagliato? Non lo sapremo mai. È un lampo. Solita aggressione di capitano e tre centurioni dell’ingiustizia, accompagnata dalla raffica sugli spalti, parte inversa stavolta, per i quali l’arbitro è venduto (non si usa più, parola troppo gentile, ma ho già detto, qui userò eufemismi).
Ormai senza VAR, o più umanamente moviola, la verità non esiste. L’arbitro vede e decide in un flash. Come la fa, la sbaglia. Timidamente penso che il calciatore può fare la differenza. Se è un uomo. E non un soldatino caricato a bile. Così come dovrebbe il nuovo blabla opinionista creato dal VAR: ma anche qui, è quasi sempre l’arbitro il pirla da flagellare. Ma almeno è un professionista, ha la sua protezione mediatica, alla pari della fustigazione.
Qui però, nelle periferie del football, sotto il fuoco di un manipolo di spettatori infreddoliti e rancorosi, l’arbitro è solo, la causa della sconfitta, nemico di tutti. Mi sfugge cosa spinga un ragazzo a decidere di mettersi a tracolla un fischietto e nel taschino un mazzo di carte(llini) e andare in culo ai lupi a farsi massacrare. Senza possibilità di alcuna, minuscola gloria. Masochismo? Ci sono metodi più rapidi ed efficaci, per compensare.
Alla mia destra, dal tifo per la squadra ospite, spicca la voce ininterrotta di una donna non più giovane: incita ripetendo frasi fatte: Forza ragazzi, Tutti sotto, Dai che lo facciamo, Non molliamo! Prendiamola subito eh! Buttiamoci con la testa! Quest’ultima è l’unica originale, riferita a un corner da battere. In alternanza ripete Rigori inventati!, perché a metà secondo tempo saranno due, qualche insulto all’arbitro, ma docile, rispetto a quello che partoriscono i suoi vicini. Non riesco quasi più a guardare la partita, davvero brutta, di palla lunga e pedalare, testa sul pallone, sempre troppi tocchi, sceneggiate a terra, rese più enfatiche dal fango dappertutto. Continuo invece a registrare questa schizofrenia rabbiosa del tifo. Quello dei puarètt. In una recente intervista il grande vecchio Agroppi diceva che salva solo gli arbitri, del calcio che c’è. Sì, anche quando sono pessimi. E mi manca il coraggio di alzarmi e urlare: Ma che cassius volete da questo ragazzo, merdacce (Fantozzi docet)? Se non fosse così pazzo da fare questo strano mestiere i vostri scarsi giovanotti non potrebbero coltivare questa passione che brucia, che conosco, che ho pagato, che amo! Non sarebbe però un intervento così potente, e doloroso, come quello di un signore, che dopo una partita in cui l’arbitro era stato insultato pesantemente, a dieci minuti dalla fine si alza in piedi, sugli spalti, e urla: Adesso basta! Smettetela!
Ma tu chi sei? Ma cosa cazzo vuoi? Ma per che squadra tifi?
Sono il padre dell’arbitro.
Silenzio. Sipario.
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