Calcio
Il Pogbusiness del Pogback
Il Manchester United, assicurandosi l’ex juventino Paul Pogba, sta effettuando il più oneroso investimento della storia del calciomercato stanziando una cifra stellare intorno ai 200 milioni di euro: la società torinese incasserà circa 75-80 milioni, contributi di “solidarietà” e commissioni costeranno circa 30 milioni, il giocatore riceverà tra stipendio e diritti di immagine 20 milioni all’anno per 5 anni. Un terremoto finanziario anche per il dorato mondo del pallone.
Finita da un pezzo l’epoca dei presidenti ricchissimi e follemente appassionati, disposti a svenarsi per acquistare fuoriclasse che conducessero alla gloria gli amati colori, i top club del calcio oggi sono delle vere e proprie multinazionali, dotate di piani aziendali articolati che mirano a sviluppare patrimoni, asset e valore commerciale. I Red Devils sono stati tra i capofila dell’espansione del football verso il business: quotati in borsa dal 1991 e proprietà americana dal 2005, sono da tempo attivi nella valorizzazione del loro brand. L’annuale report del sito Brand Finance ha confermato anche per il 2016 il Man Utd come il brand calcistico di maggior valore al mondo, (davanti al Real Madrid, Barcellona, Manchester City e Bayern di Monaco), grazie anche a una consolidata presenza di fan negli USA e nel sud-est asiatico che rimpinguano le casse alla voce diritti televisivi e merchandising.
Non a caso nel 2015 il club inglese, che conta già 64 partner tra sponsor e fornitori, ha sottoscritto un contratto decennale del valore di quasi un miliardo di euro più le royalties sulla vendita dei prodotti del marchio con la multinazionale produttrice di articoli sportivi Adidas. L’accordo consentirà a quest’ultima, che duella con la storica rivale Nike per la leadership nel segmento dei prodotti tecnici per il calcio, di recuperare terreno rispetto ai concorrenti sui fiorenti mercati asiatici dove appunto fa faville il brand Man Utd.
Difficile pensare pertanto che un club calcistico gestito attraverso i canoni del business management si sia lanciato in un’operazione di mercato spericolata. La valutazione economica che può sembrare eccessiva dal punto di vista tecnico per un centrocampista da dieci gol a stagione, nonostante l’indubbio talento e la proiezione di altre dieci stagioni di carriera ai massimi livelli, va riconsiderata nell’ottica di una imponente strategia di marketing e di comunicazione che interessa i progetti di sviluppo commerciale del Manchester United e di Adidas. Il marchio tedesco vede riunirsi nel Pogback il più importante investimento a livello di sponsorizzazione e uno dei suoi testimonial principali, forse quello con il maggior potenziale pubblicitario.
Pogba infatti, nei quattro anni trascorsi alla Juventus, è cresciuto esponenzialmente sia sul campo che sul red carpet. Se la maturazione tecnica lo sta scolpendo come il centrocampista totale (box-to-box direbbero gli inglesi) di riferimento per questa generazione, una sorta di mix tra Yaya Touré e Steve Gerrard con qualche arabesco ti troppo, Pogba si è imposto via via secondo i canoni della celebrity, ottenendo risalto mediatico non solo per le prestazioni sportive, ma anche per la ricercatezza del look, tra improbabili capigliature e giacche sgargianti, e le esultanze coreografiche come la dab dance. Insomma un personaggio appetibile per le strategie di marketing, con un’immagine adatta ad essere valorizzata nell’era di Instagram.
Non può infatti passare inosservato che il trasferimento più costoso di ogni tempo si sia rivelato probabilmente anche il più social di sempre: l’ufficializzazione del Pogback ha visto i corporate account del Manchester United e di Adidas immediatamente inondati da una pubblicazione di videoclip originali e immagini ad altissima risoluzione del giocatore con indosso la prima e la seconda maglia del Manchester, il tutto con un linguaggio molto più vicino alla pubblicità che a quello della comunicazione istituzionale. Insomma, tutti i segnali sembrano dirci che il Pogback è un grosso Pogbusiness, in cui il club calcistico più ricco del mondo si è assicurato a peso d’oro una star utile sia al riscatto sportivo dopo due stagioni decisamente deludenti sia allo sviluppo commerciale del proprio brand.
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