Calcio

Il Kosovo sta affermando la propria indipendenza anche attraverso il calcio

2 Novembre 2019

Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008 e da quel giorno ha iniziato la sua lunga lotta, che dura ancora, per il riconoscimento internazionale. A lungo regione autonoma prima della Jugoslavia, poi della Serbia e Montenegro e, per breve tempo, della Serbia, il Kosovo ha ricevuto nei primi giorni della sua esistenza il riconoscimento di diversi Paesi dell’Europa occidentale e, soprattutto, degli Stati Uniti, che hanno così posto la propria influenza in una zona di interesse della Russia, la quale storicamente “protegge” la Serbia. Anche l’Italia ha riconosciuto il Kosovo il 21 febbraio 2008.

Negli scorsi anni sono stati molti gli incidenti diplomatici che hanno caratterizzato i rapporti fra Kosovo e Serbia, già profondamente complicati per via del tributo di sangue cui le popolazioni civili sono state costrette dalla guerra della seconda parte degli anni Novanta. Fra negoziati politici mandati in frantumi e provocazioni volte a soddisfare le rispettive parti più nazionaliste dell’opinione pubblica, il Kosovo è riuscito a raggiungere alcuni traguardi ragguardevoli sul piano politico, nonostante sia stato guidato da personaggi discutibili e spesso sospettati di attività criminali. Inoltre, il potere politico è stato gestito a lungo da ex militari dell’UCK (Esercito di liberazione nazionale), come Hashim Thaçi, Agim Çeku e Ramush Haradinaj. Una nuova fase sembra aprirsi proprio in queste settimane, dopo che le elezioni del 7 ottobre hanno premiato dei candidati non compromessi con l’UCK: Albin Kurti (sinistra nazionalista) e Vjosa Osmani (centro-destra moderato). Il Presidente del Kosovo resta, però, Hashim Thaçi, che continua a influenzare profondamente i rapporti con la Serbia, offrendo frequenti prove di forza nei confronti di Belgrado.

Non sono stati solo i politici a lavorare in favore del riconoscimento del Paese, ma anche personaggi appartenenti ad altre sfere hanno utilizzato il proprio potere in favore della causa kosovara. Uno di questi è stato Fadil Vokrri, primo presidente della Federazione calcistica kosovara (FFK) e ex-stella di Prishtina e Partizan Belgrado.

LA DIPLOMAZIA DI VOKRRI

Vokrri è stato un grande attaccante, che è riuscito a conquistare anche i cuori dei tifosi serbi del Partizan, dove ha giocato fra il 1986 e il 1989, prima di completare la sua carriera in Francia e Turchia. Tornato in Kosovo dopo l’indipendenza del Paese con una laurea in Economia e Management, Vokrri ha diretto il Prishtina, prima di diventare presidente della FFK, una federazione di calcio che al tempo non faceva parte di FIFA e UEFA. Con un’accorta strategia, descritta molto bene nel podcast Trame, Vokrri ha evitato lo scontro diretto con chi si poteva opporre all’entrata del Kosovo in queste istituzioni internazionali e ha cercato di crearsi lentamente uno spazio sfruttando anche le proprie amicizie nella FIFA. Nel 2016, questa attività di Vokrri ha avuto il suo coronamento con l’accoglienza della FFK nelle due più importanti associazioni calcistiche internazionali, ottenuta anche grazie ad alcune deroghe ai regolamenti. Per proporre un paragone con il mondo della politica (con le dovute proporzioni), il traguardo raggiunto potrebbe equivalere all’entrata nell’ONU, che il Kosovo sta ancora aspettando. Poco dopo questo grande successo, Vokrri è morto improvvisamente, nel 2018, entrando definitivamente nella storia, non solo calcistica, del suo Paese.

Se la politica spesso invade la sfera calcistica, negli ultimi anni abbiamo visto come anche il percorso inverso sia possibile: il calcio può influenzare la politica. Il riconoscimento di FIFA e UEFA ha permesso al Kosovo di costituire una propria squadra nazionale, con tanto di bandiera e inno da esibire in giro per il mondo, al pari di ogni altro Paese pienamente riconosciuto. La sola presenza di questa squadra e la sua partecipazione alle competizioni internazionali mette tutti di fronte al fatto che il Kosovo è da tempo uno stato de facto indipendente e affermato. Questo ha generato grandi difficoltà all’opinione pubblica serba. Le partite della neonata selezione non sono generalmente trasmesse dalle televisioni serbe e c’è un forte imbarazzo nell’illustrarne i risultati ottenuti: l’emittente Sportklub, di recente, nell’indicare il risultato della sfida con l’Inghilterra, valida per le qualificazioni al prossimo Europeo, ha parlato di “cosiddetto Kosovo”. Problemi maggiori potrebbero verificarsi se il Kosovo riuscisse a qualificarsi all’Europeo 2020: come sottolineato in Trame, le partite di questa competizione si svolgeranno in dodici paesi del continente, fra cui Azerbaigian, Russia, Spagna e Romania, che non riconoscono questo piccolo Paese balcanico. Nel caso il Kosovo fosse portato a giocare in uno di questi, si andrebbe a creare una forte tensione fra la sfera politica di queste nazioni (che non vorrebbero probabilmente omaggiare bandiera e inno di uno stato che non riconoscono) e la sfera della politica sportiva dell’UEFA, che farebbe pressioni per un regolare svolgimento della competizione.

Il Kosovo ha effettivamente la possibilità di qualificarsi a questo Europeo. La squadra si trova al terzo posto nel proprio girone di qualificazione, a un punto dal secondo, che garantisce l’accesso alla competizione. Anche nel caso la nazionale balcanica non riuscisse a qualificarsi in questo modo, avrebbe una seconda opportunità attraverso la fase finale della Nations League, cui ha avuto accesso dopo aver superato brillantemente la prima fase. Per i tifosi kosovari è senz’altro confortante vedere che la loro nazionale gioca molto bene, soprattutto in casa, allo stadio Fadil Vokrri di Prishtina. Dopo aver faticato a convincere molti grandi calciatori di origine kosovara a scegliere la maglia del Paese dei genitori (fra cui Granit Xhaka, Xherdan Shaqiri e Adnan Januzaj), la FFK ha allestito comunque un’ottima selezione, fatta di ragazzi molto giovani, prevalentemente formati all’estero, che hanno mostrato finora, oltre a una qualità sorprendente, un attaccamento davvero incredibile a questa squadra. Guardando le due partite giocate nel settembre di quest’anno, contro Repubblica Ceca e Inghilterra, mi è parso di vedere un gruppo di persone che giocavano con uno spirito di unione fuori dal comune, percepibile anche attraverso la televisione, e che davano un’importanza enorme all’evento. Anche quando, al 45′ della partita con l’Inghilterra, il Kosovo sembrava destinato a una disfatta (sotto di 5:1), i calciatori hanno continuato a giocare con una forza straordinaria, raggiungendo un decoroso 5:3 e rischiando di riaprire la gara nel secondo tempo. Anche i giornalisti inglesi del Guardian si sono accorti di questo spirito. Il podcast Football Weekly ha sottolineato che molti tifosi piangevano di gioia dopo il gol del 5:2. Come se tutte le sofferenze, le tragedie e le frustrazioni degli anni passati avessero trovato una soddisfazione in un banale gol in una partita persa, segnato, però, contro l’Inghilterra, in mondovisione, con la bandiera del proprio Paese sul petto. Dopo tutto quello che è successo, per i kosovari non è cosa da poco.

L’ULTIMO INCIDENTE DIPLOMATICO: STELLA ROSSA-TREPČA

Per comprendere un incidente particolare come quello del 9 ottobre scorso, è necessario conoscere Kosovska Mitrovica. Si tratta di una cittadina della parte settentrionale del Kosovo, nella quale è concentrata la maggior parte della popolazione serba del Paese. Kosovska Mitrovica è una delle tante città divise in due, sulle quali, di recente, un mio caro amico ha scritto alcuni pensieri molto belli, che spiegano probabilmente anche il mio interesse per i confini e le divisioni. Il fiume Ibar, che taglia la città a metà, è il confine: a Nord i serbi, a Sud gli albanesi. Prima della guerra degli anni Novanta, la società di calcio principale della città era il Trepča. Oggi, invece, ci sono due squadre, derivate dalla scissione su base etnica della vecchia società, dal nome quasi identico: KF Trepça e FK Trepča. Le piccole differenze fra i due nomi sono dovute al fatto che il primo è formulato in lingua albanese e il secondo in lingua serba. Il KF Trepça milita nella Superliga e Futbollit të Kosovës, organizzata dalla Federazione calcistica del Kosovo; il FK Trepča gioca, invece, nelle serie minori serbe, organizzate dalla Federazione calcistica della Serbia. La squadra serba, però, risiede in un territorio che è rivendicato dal Kosovo ed è separato dalla Serbia da un vero e proprio confine nazionale, dove la polizia kosovara controlla gli ingressi e le uscite dal Paese. Solitamente, le piccole squadre serbe che giocano in casa del Trepča attraversano il confine dopo un controllo e senza grossi problemi.

Nello scorso mese, però, il sorteggio del primo turno della Coppa di Serbia ha decretato lo scontro fra Trepča e Stella Rossa. Da subito è stato chiaro che ci sarebbero state delle tensioni, visto che la Stella Rossa, oltre a essere una delle società più rappresentative della Serbia, è seguita da una tifoseria che è un autentico polo di aggregazione del nazionalismo e dell’estremismo di destra serbo. La FFK era chiamata a dare il permesso allo svolgimento della partita, visto che questa doveva essere giocata dentro i confini del Kosovo. Dopo alcuni tumultuosi giorni in cui è parso che l’UEFA premesse per lo svolgimento della partita (fatto poi negato dalla FFK), il permesso non è stato concesso. I calciatori della Stella Rossa, preceduti dal presidente Terzić, si sono comunque diretti verso Kosovska Mitrovica, ma sono stati fermati al confine e rispediti a Belgrado. La partita si è giocata il giorno seguente sul campo neutro di Stara Pazova, in territorio serbo, e ha visto la Stella Rossa passare facilmente il turno.

L’esito politico di questo piccolo incidente diplomatico è stato un rafforzamento dell’idea del Kosovo come Paese sovrano sul proprio territorio. Secondo Belgrado, il Kosovo è una regione appartenente ancora alla Serbia e quindi i calciatori della Stella Rossa avrebbero potuto giocare una partita a Kosovska Mitrovica come in ogni altra parte del Paese. La FFK (che è solo un’associazione sportiva, seppur supportata dagli organi di governo del Kosovo), con una decisione chiaramente politica, ha invece impedito l’accesso alla squadra di Belgrado, affermando i confini del proprio stato. È interessante anche il fatto che molti media serbi abbiano definito il confine di Jarinje, dove è stato fermato l’autobus della Stella Rossa, come un “confine amministrativo”. Nei fatti è risultato che quello fosse, a tutti gli effetti, un confine di stato.

I governi del Kosovo degli ultimi anni hanno puntato su una strategia di forza nei confronti della Serbia, affermando senza compromessi la propria sovranità sul territorio. Non penso che ci saranno variazioni in questo atteggiamento neanche con l’arrivo del nuovo esecutivo, visto che il vincitore delle elezioni, Albin Kurti, non appare ben disposto nei confronti della controparte serba. I comportamenti della Federazione calcistica sembrano seguire questa linea, rappresentata bene dall’azione di forza messa in atto contro la partita Trepča-Stella Rossa. La FFK sta contribuendo, grazie a un’attività anche politica, ad affermare la sovranità del Kosovo.

(L’immagine di copertina è stata realizzata da natanaelginting / Freepik.)

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