Calcio
Il calcio, Stradivialli e l’importanza di rischiare
In una partita del 1987 della Nazionale contro la Svezia, giocata per ottenere la qualificazione per il campionato europeo dell’anno successivo, Gianluca Vialli, convergendo verso la porta da sinistra, lascia partire un tiro che passa proprio sotto l’incrocio dei pali e va in rete. Voleva tirare? Oppure pensava di crossare? Io credo che volesse tirare, ma non è questo il punto. La cosa certa è che Vialli, pur di fare gol, mette tutto se stesso in quel gesto, senza avere paura di sbagliare, come faceva sempre in campo, in ogni azione, in ogni partita. Questa mi sembra la caratteristica che lo racconta meglio come giocatore. Più ancora delle numerose tappe del suo eccezionale percorso calcistico, delle vittorie e delle sconfitte, di quel sorprendente e meritatissimo scudetto con la Sampdoria, unico nella storia del club genovese, della Coppa delle Coppe e della finale di Champions persa a Wembley contro il Barcellona di Johan Crujiff, sempre con la Samp, anche perchè quella sera sbagliò due gol piuttosto facili per uno come lui, e poi della Coppa Uefa, dello scudetto e della Champions, finalmente vinta, con la Juventus, di un’altra Coppa delle Coppe e di una Coppa d’Inghilterra con il Chelsea e di altri trofei. Oltre a questo, conviene ricordare la sua completezza tattica, unita a un’esuberanza fisica, dimostrata per tutta la sua carriera, lunga quasi vent’anni, che lo rendeva capace di svariare in ogni parte del fronte di attacco, nonché di fare il terzino, quando era opportuno o necessario.
E le parole del discorso di Theodore Roosevelt del 1910 alla Sorbona che Vialli legge agli azzurri nell’estate del 2021 prima della finale degli europei non sono che la proiezione o, se si vuole, la prova del nove del suo modo di stare in campo: “Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio. L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue. L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze. L’uomo che dedica tutto se stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo e che si spende per una causa giusta”.
Lo descrive bene Stradivialli, il soprannome che gli aveva dato Gianni Brera, richiamando il nome del grande liutaio Stradivari, di Cremona come lui, e suggerendo l’anima smisurata e straordinaria del suo gioco, la sua generosità, il suo coraggio e la sua capacità di cercare il limite, di rischiare, e al tempo stesso di governare, di controllare, anche grazie a un talento superiore a quello che a volte gli veniva riconosciuto, questa tensione ad andare oltre l’ostacolo.
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