Calcio

Il cacciatore di giovani calciatrici

18 Ottobre 2019

“La loro passione ha alimentato la mia. Non ho mai visto una bambina saltare gli allenamenti; magari hanno la febbre ma non lo dicono ai genitori, altrimenti non le fanno giocare la domenica.” Giuseppe Lussana l’ha visto crescere, in tutti i sensi, il calcio femminile: da più di vent’anni fa l’osservatore del settore giovanile, un percorso che da Almenno San Salvatore, nella bergamasca, l’ha portato all’Inter. “Se il maschio avesse la volontà, l’ostinazione che ha una bambina… ” butta lì con convinzione e ironia. Una bambina che il primo ostacolo ce l’ha in casa. “Ma i genitori poi cedono, quasi sempre è così, perché non puoi fermare una ragazzina che ha deciso di mettere i tacchetti. E quegli stessi genitori poi si caricano del peso degli spostamenti. E diventano eroici. Ci sono tre bambine di Entratico, nella bergamasca, che ho selezionato per l’Inter, e che per andare ad allenarsi a Sedriano devono fare 108 km andare e altrettanti a tornare, tre volte alla settimana.” Però adesso parteciperanno alle finali della Danone Nations Cup in Spagna, torneo intercontinentale per ragazze del 2006, grazie anche alla strada dei genitori. Vengono dallo stesso paese, Entratico, dove Lussana aveva scoperto Valentina Giacinti, centravanti della nazionale e del Milan.

“Aveva dieci anni. Giocava anche lei, come tutte, con i maschi. Andai con mia moglie la sera. A noi pareva ci fossero altre bambine, invece erano bambini con i capelli lunghi, un paio con il cerchietto: a dieci anni li puoi confondere. Lei era il centravanti, con i capelli corti. E niente: la vedevi subito. E la portai con me all’Atalanta” Come si riconosce chi farà strada? “Come si muove. La convinzione. Ci sono poi quelle con la fascia di capitano di una squadra tutta maschile, e quelle hanno il destino scritto.” Sono state ben undici le ‘sue’ ragazze, nella squadra azzurra che ha partecipato alle finali Mondiali. “Ragazze che avevano dieci, dodici anni. Vederle in nazionale è il mio orgoglio. La più grande delle gratificazioni, e delle giustificazioni. Anche se poi il mio rapporto con loro finisce quasi subito. Io le porto in società, e da quel momento cessa. Con i genitori invece, il rapporto rimane nel tempo; sono più consapevoli, di quelli che hai fatto.” Da quando le figlie si cambiavano nello spogliatoio dell’arbitro. “Certo, è così per tutte. Anche se due ragazzine di Castione della Presolana che andai a visionare, tanti anni fa, si cambiavano tranquillamente nello spogliatoio con la squadra; tutti in doccia con le mutandine. Si conoscevano dall’asilo, e a dieci anni sono innocenti. Erano due ragazzine che vivevano di pane e pallone. Tanto per capirsi: una sera nevicava di brutto, e chiamo per avvertire che non ci si poteva allenare. Invece erano già a metà strada, partiti due ore prima. Il genitore di turno al volante mi ha pregato di dirglielo io al telefono, che non c’era allenamento, altrimenti non ci credevano.”

La lunga storia di Lussana con la passione femminile per il football inizia 22 anni fa ad Almenno San Salvatore. Allenava una squadra di allievi maschile, il suo presidente aveva una figlia che giocava nel Milan. E volle fare un’amichevole con queste bambine. I dirigenti del Milan, che avevano apprezzato ‘lo stile’ della squadretta di Lussana, gli proposero di andare ad allenarle. Ma Lussana accettò solo per le partite: andava in panchina la domenica e in qualche amichevole. Un anno così, e ha cominciato a conoscere l’ambiente. Fino a quando il suo presidente decise di fare una squadra femminile ad Almenno. E lui ha cominciato ad andare in giro a cercare ragazze calciatrici. Negli oratori. Nei paesini. Passaparola. “Ti fai conoscere, parli con le società, poi con i genitori. E alla fine abbiamo tirato su una squadra che riuscì a vincere il campionato di serie D. Partite che si giocavano nella regione, e girando ti trovavi queste bambine che chiedevano: ‘Ma non c’è una squadra per me?'” E allora ecco la prima squadra di giovanissime, 12/14 anni. Ma non aveva un portiere. “Ho trovato una ragazza che giocava a pallavolo e gli abbiamo proposto di fare il portiere: sapeva usare le mani e saltare, bastava per cominciare. Adesso quando vado a visionare il portiere mi chiedono quanto è alta, quanto sono alti i suoi genitori…”

Poi sono diventati Atalanta, ma con il logo di Almenno San Salvatore.

Quindi la chiamata del Brescia, per costruire il settore giovanile. Quando la prima squadra era allenata dalla Bartolini, oggi commissario tecnico della nazionale. E qui Lussana apre una sua personalissima parentesi, quasi un tarlo. “La federazione Australiana aveva impedito alle sue ragazze di venire nel campionato italiano, come a dire che avrebbero disimparato a giocare a calcio. Invece le abbiamo battute.”

Dopo i cinque anni a Brescia, per avvicinarsi a casa Beppe Lussana accetta le proposte del Mozzanica. Minuscolo paese, che era ai vertici del campionato di serie A. “Quando hai un bel settore giovanile può succedere” risponde tranquillo di fronte al mio stupore. L’ABC del calcio. Adesso è da quattro anni all’Inter, che sta credendo fortemente nel settore femminile. “Anche i media ci stanno credendo. C’è una battaglia tra Rai e Sky, che adesso fa vedere due partite di serie A in diretta, una al sabato e una alla domenica. Poi però sono le società che devono investire. Io mi sono permesso di suggerire una piccola cosa, per esempio. Hai 30.000 paganti la domenica, per la serie A casalinga? Fai pagare un euro in più. Soldo da mettere nelle casse della squadra femminile, e nel suo settore giovanile. E poi le fai giocare all’una: chi vuole va allo stadio prima, e poi alle tre si guarda la casalinga della serie A maschile. Due partite con l’aumento di un euro.” Sembra semplice. Forse troppo. Un’immagine che ti accompagna e con la quale chiudere. “Una Pasqua. Le ragazze hanno la prima comunione, e alle quattro c’era la partita del torneo. Ma dopo la messa partono i banchetti di festeggiamento. Beh, loro fanno un tale casino con i genitori che mi metto sul pulmino e vado a prenderle alle tre, vestite di bianco, con la sacca della divisa e delle scarpe.” Come spose bambine, sporche in viso di cioccolato, i volti che salutano dal finestrino. Felici come può esserlo solo chi sta per andare a giocare a pallone. Non riesco a immaginare uno spot più bello.

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