Calcio

Il business non può fare a meno dello sport nemmeno nella Superlega del calcio

19 Aprile 2021

La proposta di una Superlega del calcio fatta da dodici grandi società europee ricche di storia e di tradizione ha scatenato commenti in ogni parte del mondo e polarizzato il dibattito sia nell’universo dei social sia in diversi contesti istituzionali. Proviamo a fare qualche considerazione, più o meno a caldo.

Un supercampionato europeo potrebbe anche avere un senso. Economico-finanziario, come si vede, in primo luogo. Spettacolare, in alcuni casi. E di immagine, con il tutto e il niente che questa parola può significare. Le formule, in fondo, esistono anche per essere cambiate, ogni tanto. Quello che disturba, che stona, che non si può accettare è il circuito chiuso, l’elite immutabile decisa a priori di dodici, o quindici, squadre, a cui se ne aggiungerebbero altre cinque ammesse con una specie di wild card in virtù di criteri non ancora ben precisati. In sostanza, un club di privilegiati, un circolo di eletti, un Olimpo di ricchissimi separati per sempre dal resto del mondo del calcio.

Il recinto dei partecipanti a un ipotetico campionato lo si può restringere, come vogliono fare i fondatori della Superlega, oppure lo si può allargare, come, per esempio, aveva pensato di fare Michel Platini, ma in ogni caso deve essere aperto. Non si può immaginare un campionato le cui porte non siano aperte sia in entrata sia in uscita. Qualunque squadra dovrebbe poter essere ammessa in presenza di determinati risultati sportivi a un’eventuale Superlega, così come è normale che qualunque squadra debba poter essere esclusa dalla Superlega, a vantaggio di altre, in caso di risultati sportivi deficitari.

Inoltre, la strategia del colpo di mano, ovvero la politica del braccio di ferro e dello scisma, inevitabilmente viene a creare squilibri ulteriori e disarmonie, regolamentari e di comunicazione, che invece andrebbero risolte con il dialogo, cercando un consenso diffuso. Il calcio non esisterebbe se non fosse anche, e molto, fatto di business. E le cose stanno così ormai da molto tempo. Sarebbe miope e ingenuo nasconderselo. Ma è importante tenere insieme sia le esigenze dei bilanci e gli appetiti della grande finanza sia i principi dello sport, il senso e l’apparenza della giustizia, o di una democrazia possibile. Conviene, in sintesi, non perdere di vista il principio della competizione, più o meno libera. Ha sempre fatto parte, pur attraverso fasi diverse e qualche possibile opacità, della storia del calcio. Senza il giocattolo si rompe, e il gioco finisce.

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