Calcio

I tiri Mancini di Erik Thohir: giusto esonerare Mazzarri?

15 Novembre 2014

L’anno prossimo l’Inter spenderà 7.5 milioni di euro netti alla voce ‘allenatore’.

La cifra deriva dai 4 di Roberto Mancini, appena accolto trionfalmente al ritorno sulla panchina dei nerazzurri, e dai 3.5 di Walter Mazzarri, sempre che il tecnico toscano non si trovi una nuova panchina in vista della prossima stagione e liberi Thohir da un ingaggio molto pesante.

L’Inter è al primo e secondo posto, infatti, in quanto a remunerazione de(i) propri tecnic(i). Spende la stessa cifra che il Real versa sul conto di Carletto Ancelotti, per intenderci, con la piccola differenza che sulla fascia del Bernabeu corre Gareth Bale e su quella di San Siro Yuto Nagatomo (sia letto con affetto).

Chi scrive è un abbonato nerazzurro che, da diverse settimane, vive allo stadio la strana sensazione di essere perennemente in trasferta: ne sia simbolo l’esultanza di Icardi, dopo il goal al Verona, con il gesto del silenzio a zittire un intero anello di tifosi fischianti.

I suoi.

Ha fatto dunque bene Thohir a prendere questa decisione? Per l’Inter sarà la vera svolta?

Nella letteratura economica, sempre più ricercatori si occupano del calcio come di un laboratorio naturale di analisi e diversi articoli scientifici hanno affrontato la questione del timing giusto di un esonero.

Guardando dati e spulciando qua e là, purtroppo, non sembrano però esserci buone notizie per l’Inter: due applicazioni al campionato belga (Balduck e Buelens nel 2007) e a quello olandese  (Bruinshoofd e terWeel, 2003) mostrano che le squadre che cambiano allenatore in corsa peggiorano la propria performance. Si tratta di correlazioni spesso viziate da grossi problemi di metodologia d’analisi, ma uno studio fatto da italiani e relativo proprio alla serie A, di De Paola e Scoppa nel 2008, con una rigorosa analisi statistica arriva a una conclusione piuttosto robusta: il cambio di allenatore ha un effetto molto marginale sui risultati della squadra, il che porta gli autori a concludere che i tecnici tendono a equivalersi in quanto a capacità.

Ma è così vero? Non è il sogno di ogni presidente ingaggiare l’uomo dei miracoli o, quanto meno, dotarsi di strumenti di analisi che consentano di cogliere l’attimo e esonerare l’allenatore al momento giusto?

Chissà se Erik Thohir ha titubato, pensando non tanto al derby del 23, ma a quello interno del 21, in cui l’assemblea dei soci voterà un aumento di capitale in cui non è affatto certo che Massimo Moratti, sempre più disinnamorato della sua Inter, versi la quota di competenza (15 milioni circa) per restare al 30%.

Tornando alla questione del valore di un allenatore, alcuni ricercatori italiani, replicando uno studio fatto in Inghilterra, si sono serviti di un modello normalmente utilizzato in finanza per cercare di trovare una qualche evidenza empirica.

L’idea, per parlare potabile, è piuttosto semplice: come il Capital Asset Pricing Model (CAPM, per gli amici) consente di stimare il valore aggiunto di un manager di un fondo di investimento che gestisce un portafoglio di titoli, è altrettanto ragionevole ipotizzare che questo modello possa essere applicato per capire se un allenatore (manager della sua squadra) sia in grado di gestire i suoi titoli (i giocatori) e ottenere un rendimento da essi (i punti) superiore a quelli del mercato (gli altri allenatori disponibili su piazza).

L’articolo considera un centinaio di partite della serie A, quelle degli ultimi 3 campionati (2011-2012, 2012-2013 e 2013-2014), e stima le determinanti dei punti di ogni squadra, in primis tenendo conto del valore di mercato della stessa, della spesa in acquisto dei giocatori, del numero di infortunati e dell’impegno in coppe europee. A questi fattori si aggiunge un effetto fisso che è dato, per l’appunto, dal valore dell’allenatore.

Il secondo passaggio è quello di utilizzare i risultati della prima stima, con i pesi di ciascuna variabile che concorre a determinare la forza della squadra, e azzerare, invece, l’effetto dell’allenatore. Con 10 mila iterazioni, poi, si crea artificialmente una distribuzione casuale dei punti che la stessa squadra avrebbe ottenuto se non avesse avuto l’allenatore in panchina, ma si fosse semplicemente affidata al caso.

Un allenatore è dunque considerato valido se, confrontato con i risultati simulati, ottiene una performance migliore.

Ebbene, i risultati dello studio per l’Italia sono piuttosto impietosi: dei 55 allenatori analizzati, soltanto due, Conte e Guidolin (e Garcia, in parte, anche se per lui è disponibile un solo campionato) superano la prova del confronto con i risultati casuali.

Per tutti gli altri, l’esito è che non ci sarebbe differenza tra avere in panchina il tecnico o una monetina da tirare in mezzo al campo. Per carità, solo pochi sono addirittura dannosi (nel senso di avere un valore aggiunto negativo per la squadra): tra di essi spicca Delneri.

Ma Benitez, Allegri, Montella sono semplicemente allenatori normali, che non migliorano né peggiorano le prestazioni della squadra.

E Mazzarri?

Il tecnico livornese non è tra i migliori, ma è in linea con il gruppo: nelle 10 mila iterazioni, l’allenatore esce sconfitto dal simulatore nel 38.4% dei casi.

Lo studio sulla premier League inglese ottiene risultati molto più interessanti rispetto alle capacità dei coaches britannici: almeno 15 sono considerati out-performing se confrontati con le simulazioni.

E qui viene una piccola flebilissima fiammella di speranza per l’Inter: gli allenatori migliori, spesso, sono anche quelli che hanno un’attitudine davvero manageriale (come in Premier League), nel senso che partecipano attivamente alla scelta dei giocatori sul mercato.

E questo è senz’altro il caso di Mancini.

Non giovava, certo, a Walter Mazzarri, una professionalità un po’ deresponsabilizzante, in cui il tecnico livornese accettava le scelte della società un po’ supinamente, come se il lavoro del direttore tecnico fosse da tenere ben separato rispetto all’incarico di allenatore.

Ma cosa succederà all’Inter, dunque?

Non è facile predirlo. Come detto, dopo l’iniziale honeymoon effect che, tradizionalmente, concerne gli allenatori chiamati in seguito a un esonero, le prestazioni di una squadra tendono a tornare al livello precedente all’esonero stesso (ahimè, è statistica).

Bene, quindi, se pensiamo al derby e alla partita con la Roma prossime venture.

Un po’ meno bene se l’Inter non dovesse, alla fine della stagione, centrare la qualificazione alla Champions League, unica possibilità di evitare, a questo punto, una sanzione UEFA per lo sforamento delle regole del Financial Fair Play.

Certo è che San Siro, da domenica prossima, avrà decisamente un’altra atmosfera e che i nuovi mini-abbonamenti messi in vendita dalla società sono l’indice concreto, quanto meno, della speranza di un rinnovato entusiasmo. E della possibilità che lo speaker torni a urlare il nome del tecnico dell’Inter.

Non me ne voglia, dunque, Walter Mazzarri, la cui professionalità è fuori discussione e cui non avrei voluto dedicare un articolo critico.

Poi, però, si è messo a piovere.

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