Calcio
I diritti tv, ennesimo scandalo di un calcio sempre più marcio
Ogni maledetta domenica milioni di italiani varcano i cancelli di uno stadio o accendono la televisione con la serena consapevolezza che passeranno un’ora e mezza a rovinarsi il fegato. Per Pasolini il pallone è «l’ultima rappresentazione sacra» del nostro tempo, e in effetti, ormai, seguire il calcio è più un atto di fede che una questione di passione. Insomma, noi tifosi continuiamo a far finta di niente, ma gli scandali – dai campetti di periferia ai vertici della Fifa – ormai non si contano più e la sensazione è di essere spettatori non solo di una partita, ma anche di altro.
L’ultima inchiesta è saltata fuori dalle agenzie di stampa ieri pomeriggio, poi questa mattina ci hanno pensato i giornali a raccontarci meglio di cosa si tratta. Il tema riguarda i diritti televisivi, i nomi finiti al centro dell’attenzione della procura di Milano sono, tra gli altri, quelli del presidente del Genoa Enrico Preziosi, del presidente della Lazio Claudio Lotito e di quello del Bari (nonché ex arbitro) Gianluca Paparesta. Nel mezzo c’è la Infront di Marco Bogarelli, «la società leader in Italia nella gestione dei diritti sportivi».
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastalla – leggendaria e molto bene informata coppia milanese di cronisti giudiziari in forza al Corriere della Sera – scrivono: «È come quando nel bel mezzo della partita accorre in campo dalla panchina il massaggiatore e con lo spray miracoloso fa risorgere il calciatore azzoppato». Il meccanismo, secondo la procura di Milano, funzionava insomma così: se una squadra di calcio era consapevole di avere il bilancio disastrato tanto da rischiare di non passare l’esame della Covisoc (e, quindi, di non potersi iscrivere al campionato), si scatenava un perverso meccanismo di pronto soccorso finanziario, con operazioni che, passando per società riconducibili a Infront e a un’altra società chiamata Tax and Finance, andavano a iniettare liquidi nei conti per far tornare tutti i valori nella norma. «Doping finanziario», si è detto.
Il motivo? Per gli inquirenti è presto detto: il conto delle cure del bilancio si pagava in sede di asta per i diritti televisivi. Qui Infront sarebbe riuscita in qualche modo a guidare il bando verso Mediaset. Le prove sono tutte da vedere, naturalmente, e c’è la dopotutto considerevole ipotesi che anche questa volta, come accaduto in molte altre inchieste sportive, assisteremo a un buco nell’acqua, o ci troveremo davanti a una situazione così incasinata da diventare incomprensibile. Fatto sta che il registro degli indagati riporta nomi illustri, oltre a Preziosi, Lotito e Paparesta, ci sarebbero anche i dirigenti di Mediaset Giorgio Giovetti e Marco Giordani, Marco Bogarelli, Andrea Locatelli e Giuseppe Ciocchetti (Infront), Riccardo Silva (di MP&Silva, la società che piazza all’estero i diritti della Serie A). Le ipotesi di reato sono turbativa d’asta e turbata libertà degli incanti, ma c’è anche in piedi un versante che parla di ostacolo all’attività degli organi di vigilanza. E, in fondo, quelli entrati nelle casse delle società per mettere in ordine i bilanci sarebbero finanziamenti clandestini, non fatturati o mascherati. Il giro d’affari intorno alle tv è di quasi un miliardo di euro a stagione, tanto per parlare di cifre.
Ma questo è soltanto l’ultimo capitolo del grande romanzo criminale chiamato calcio. Non serve avere una memoria da elefante per ricordare le recenti inchieste sulle scommesse, era il 2011, ma si ebbero nuovi sviluppi anche negli anni successivi. Fu un gran casino all’inizio: intercettazioni, terrificanti aneddoti dagli spogliatoi, autogol tremendi per aggiustare i risultati, gol sbagliati in palese malafede. Alla fine non è successo niente, anzi: uno di quelli che ha patteggiato per essersi venduto due partite adesso allena la Nazionale, mentre il ragazzo che rifiutò dei soldi per una combine non gioca più a calcio dal 2012 (si chiama Simone Farina, faceva il difensore a Gubbio in serie B, alla fine l’Aston Villa l’ha messo sotto contratto come allenatore dei bambini). Poi le agenzie di scommesse hanno cominciato a quotare persino le partite di Serie D, come se niente fosse. Nota bene: nei campionati dilettantistici lo stipendio medio è di poche centinaia di euro al mese (e il pagamento arriva se la società non fallisce, cosa che accade di frequente): quanto può fruttare una forte puntata sulla propria sconfitta?
In un libro pubblicato in Italia qualche tempo fa da Isbn («Io sono il calciatore misterioso»), una anonima vecchia gloria del calcio inglese (c’è chi dice Michael Owen e chi dice Frankie Lampard, ma non importa) racconta in maniera piuttosto divertente la vita di quelli che portano al pagnotta (e qualcosa di più) a casa tirando calci a un pallone. La cosa più inquietante però è la prefazione di Gianluca Vialli, che esordisce così: «Questo è il genere di libro che non scriverei mai». Perché? Non perché l’ex stella di Samp e Juve sia un raffinato poeta stilnovista che mai si occuperebbe di questioni tanto volgari, ma perché lui ha «sempre pensato che ciò che accadeva tra le quattro mura di uno spogliatoio, sul prato verde di uno stadio o di un campo di allenamento, dovesse rimanere proprietà esclusiva di coloro che ne erano stati i protagonisti. E neppure oggi vedo la necessità di divulgare cose del mio passato di calciatore, private e protette dal segreto professionale che è un caposaldo del codice etico (non scritto) degli appartenenti alla mia categoria».
Adesso, parlare di cose come il forte sospetto di doping, dell’oscuro dottor Agricola, delle accuse di Zeman e delle ammissioni di Zidane, non è importante. Ma come può sembrare normale che qualcuno teorizzi in questo modo l’omertà nel mondo del pallone? Non è questione di segreti di squadra, fratellanza e amicizia. No, è questione di non disturbare i manovratori, di pensare al gioco e far finta di non sapere che potrebbe (il condizionale qui è una forma di cortesia) essere truccato. Insomma, è un po’ come dire ai tifosi: voi continuate a pagare biglietti e abbonamenti alla pay tv, ma fatevi gli affari vostri, lo spettacolo non vi riguarda. E così accade sempre, dalle scommesse al doping, dai diritti tv ai settori giovanili in cui paghi per giocare: sono cose che si sanno, ma che nessuno può dire. Il caso Farina insegna, la pena è l’ostracismo.
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