Calcio

Grazie Avellino, per quel che hai fatto vedere meriti di entrare nella storia

3 Giugno 2015

Dalla traversa di Bertoni alla traversa di Castaldo. La serie A e l’Avellino sono divise da un legno, oggi come 27 anni fa. La traversa impedì ad Alessandro Bertoni, nel 1988, il gol a San Siro che avrebbe permesso la permanenza nella massima categoria, vincendo contro l’Inter; la traversa ha infranto il sogno di una finale play-off al Dall’Ara, contro il Bologna, dopo una partita dalle tonalità epica in quel caleidoscopio di emozioni che, nonostante tutto, riesce a essere il calcio. Una traversa che ha in comune anche il minutaggio: quasi allo scadere, nel momento in cui un gol sa diventare quel momento magico, uno dei pochi in cui ci si può concedere un’esplosione di gioia quasi infantile, priva del timore di “cosa può succedere dopo”.

L’Avellino uscito vincitore a Bologna per 3-2 non è riuscito a conquistare il passaggio all’ultimo atto degli spareggi promozione, perché la gara di andata – in Irpinia – è finita 0-1 per i rossoblu. Così, a parità di reti complessive nelle due sfide, i bolognesi hanno fatto leva sul miglior piazzamento nella classifica di serie B, come vuole il regolamento del campionato. Sarebbe bastato un soffio di vento, con la sfera che va due centimetri più in basso per vedere Gigi Castaldo, bomber della squadra, che esulta per il 4-2 che significa possibilità di promozione, con il sogno di rispolverare i fasti dei Lupi irpini in serie A e di mandare definitivamente in archivio le esultanze di Juary intorno alla bandierina, le punizioni dalla distanza di Dirceu, i gol di rapina di Ramon Diaz. Un aggiornamento della storia.

Ma mi piace credere che l’Avellino della stagione 2014/2015 entrerà comunque nella storia del calcio, magari a fari spenti, senza il clamore delle prime pagine troppo attente a celebrare campioni e relative fidanzate, insieme alle ultime pseudo-notizie di calciomercato. Mi piace crederlo perché in fondo questo Avellino ha saputo raccontare la bellezza del pallone senza l’eccesso patinato dell’ego dei (finti) fuoriclasse e dimostrando che una tifoseria calorosa e sana allo stesso tempo non è una fantasia degli ottimisti né un puro esercizio intellettuale. L’Avellino che ho visto io è una squadra capace di uscire tra gli applausi, scroscianti, di migliaia di tifosi accorsi a Bologna per sostenere un sogno sportivo, un’impresa quasi impossibile come il ribaltamento dello 0-1 patito all’andata da un club formato da molti ex calciatori di serie A come quello felsineo. Applausi piovuti dopo un’eliminazione.

L’Avellino dell’allenatore Massimo Rastelli, nella stagione 2014/2015, ha conquistato i play-off con un gruppo di calciatori sostanzialmente sconosciuti alle platee nazionali. Nomi come Luigi Castaldo, Mariano Arini, Angelo D’Angelo, Fabio Pisacane (che è stato tra i pochi a denunciare  tentativi di combine quando militava altrove) non dicono molto, perché hanno sudato molto su campi di serie minori, lontano dai lustrini dei club di serie A. Così questi ‘sconosciuti’ hanno cercato di conquistare quella serie A con la maglia biancoverde di un club di provincia, dal passato remoto glorioso, che da anni vorrebbe tornare ai fasti di un tempo. Anche per fare un regalo a una tifoseria che finisce in copertina spesso per la sua passione e mai per episodi spiacevoli.

Perciò mi piace immaginare che l’Avellino 2014/2015 possa proiettare nella storia – sempre quella non strillata in prima pagina ma raccontata con la pacatezza della saggezza – la vittoria in inferiorità numerica sul campo dello Spezia, squadra molto più forte che si arrende all’orgoglio di un gruppo che sa di rappresentare una provincia altrettanto orgogliosa. E ancora di più mi piace credere che i genitori appassionati di calcio mostreranno ai propri figli le foto e i video di quei calciatori in maglia biancoverdi, mesti e addirittura in lacrime, salutati dagli applausi commossi dei tifosi della Curva. Spiegando che quelle immagini raccontano di un’eliminazione e di una partita giocata con rispetto verso un sport che, quando vuole, sa essere un esempio di emozione e passione. Nel meridione d’Italia, e non in Germania.

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