
Calcio
Confessioni di un bauscia
Lo sfogo di un bauscia, un tifoso dell’Inter, che dopo una stagione esaltante vede il baratro di un finale mortificante.
Abbiamo un guardaroba allestito con i saldi. Mentre Milan e Juve hanno comprato a iosa, uno dietro l’altro, noi abbiam fatto i conticini e racimolato calciatori in scadenza. E pure stagionati. Questo è un fatto, e non si presta a opinioni, cari tifosi delle due rivali nordiche. Potete però godere del nostro declino, quasi fisiologico, come io ho goduto da misero per le sconfitte storiche della Juve che fu. Con i cugini meno, sento il legame familiare di una città, e quando leggo l’astio del milanista, la sua satira feroce provo tenerezza, come per tutto ciò che lampeggia frustrazione. Il Napoli? Ha un killer in panchina, una partita alla settimana, uno scozzese che adoro. E lo scudetto sotto il Vesuvio vale una resurrezione. Provo simpatia. Punto. Torniamo a noi.
Gli applausi del Meazza alla squadra di nuovo sconfitta, e bollita, sono lo sfogo naturale di chi non poteva certo smettere la speranza, ma dentro temeva, o sapeva, che il momento del tilt sarebbe arrivato. Riconosceva una fila di uomini che aveva dato tutto. Fino all’impotenza. Gli anni contano, la benzina gocciola. Come se fossimo pronti al bel destino da tragedia greca. L’illusione di potenza, le ali di Icaro. L’interismo che mi sento di incarnare non è poi così bauscia (anche se lo sbruffone meneghino me lo tengo stretto, e lascio a voi la gobba e i cacciaviti.) Non mi vien mai da dire Siamo i più forti! Rimango piuttosto ancora e sempre stupito nel vincere, verbo che vivo come una conquista, che deve essere meritata e lampante. L’Inter, per me, è amore da scettico. Da disincantato. Solo quando splende, mi avvolge.
Continuo a deprimermi per i centinai di passaggi al portiere, e quando la Roma ha fatto il suo gol meritato, sbagliandone poi altri tre, ero contento almeno del fatto che se stai perdendo non puoi continuare con la melina insopportabile del turna indrèe. Non ho mai amato Inzaghi. Succede. Non è questione di meriti. I suoi sono tanti. Ma la sua figura, i suoi demoni, non mi scaldano il sangue. Intravedo sempre la macchietta. E me ne vergogno anche, ma così è, non posso fingere a me stesso. La vedo, certo, l’eleganza nel suo gioco, i lampi di bellezza, ma quando ci si avvicina al sole le ali si sciolgono e si precipita. E temo che a Barcellona si vada all’inferno. Facce da oratorio che danzano la macumba. E il Torres che sostituisce Lewandowski mi fa quasi rimpiangere la presenza del polacco. Se il nerazzurro sarà trafitto come un San Sebastiano, sono pronto. Non soffro più. Se poi, invece, sarà miracolo, vivrò finalmente un’estasi religiosa.
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