Calcio
Ci manca davvero il calcio?
Sembra passato un secolo da quel Derby d’Italia dell’Allianz Stadium o dal posticipo di Reggio Emilia. Eppure, l’ultima partita di Serie A è datata 9 marzo, appena quaranta giorni. Solitamente, dopo la fine del campionato, nei tifosi cresce quel sentimento di “smarrimento” che culmina con il conto alla rovescia dei giorni mancanti all’inizio della nuova stagione. Potrà sembrare esagerato, ma la lunga pausa estiva per gli appassionati rappresenta (anche) una rottura di quella routine settimanale che fa parte di loro, di noi. Da quell’infausto lunedì che registrò un aumento di oltre 1500 contagi e 97 deceduti, l’interesse verso il calcio ha cominciato giustamente, e finalmente, una parabola discendente. Da un lato c’era l’Italia, in condizioni che non serve ricordare. Dall’altro c’erano gli stati generali del pallone: Lega, Federazione, AIC e tutte quelle sigle che alla popolazione interessano poco, per non dire nulla.
Doverosa premessa: gli altri paesi non hanno fatto necessariamente meglio di noi, ma di sicuro non hanno fatto peggio. In una dichiarazione a Sky Sport, Matteo Marani ha dichiarato che «il calcio non viene prima del Paese». Parole sante. Eppure… Da metà marzo sono iniziate battaglie sul come/dove/quando riprendere il campionato, dimenticando però un’altra W ossia il why, perché ripartire? Nel frattempo, in quei giorni i media avevano già cominciato a stilare un bollettino medico in stile Borrelli ma applicato ai giocatori della Serie A. Per nostra grazia è durato poco meno di una decina di giorni, dai primi casi della Fiorentina e della Sampdoria è progressivamente scemato anche l’interesse verso i calciatori contagiati, ma com’è giusto che sia.
Si è parlato di porte aperte, porte chiuse, senza arrivare mai ad una linea comune e soprattutto non mettendo mai al centro della discussione il tifoso. Tempo fa si diceva che il sistema-calcio è lo specchio del nostro Paese. A mio avviso è ben peggiore. Se neanche di fronte ad una situazione così tragica, che segnerà le vite di tutti i cittadini per i prossimi lustri, il mondo del pallone ha saputo trovare una univoca comune senza mettere davanti i propri tornaconto allora significa che di fondo qualcosa non funziona e forse non funzionerà mai.
In questo momento storico l’Italia non ha bisogno del calcio. Non ha bisogno dei teatrini tra le varie società interessate, da un certo punto di vista anche giustamente, ai propri interessi economici e non. Com’è stato detto da molti, quando questa emergenza finirà, tutto andrà rivalutato. Andranno (ri)valutati gli stati maggiori, ma soprattutto andranno riviste le nostre priorità. Questa dieta detox dal pallone e da tutti i suoi intrighi marci ci sta facendo senza dubbio bene. Dall’alto c’è stato un comportamento che ha dimostrato il totale scollamento dalla vita reale, ecco dunque che la popolazione sta ripagando quelle “politiche” con la stessa moneta, disinteressandosi di tutto e di tutti. La salienza del sistema-calcio diminuirà post crisi? Magari. E in fin dei conti sarebbe giusto così.
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