Calcio

Centodiciannove anni di Juventus!

1 Novembre 2016

Centodiciannove anni. Tanti ne compie oggi la Juventus. Si considera che la data di fondazione, sempre difficile da accertare, sia il 1° di novembre. Giorno più, giorno meno, lo Sport-Club Juventus apre i battenti di questi tempi, nel 1897. Tra le squadre italiane ancora attive soltanto il Genoa c’era già, da quattro anni. Chi scrive è fin dall’età prescolare innamorato della Juventus. Se non lo fosse, molto probabilmente, non scriverebbe questo articolo, questa specie di lettera di buon compleanno. Proviamo a fare un gioco, a ricostruire la storia della Juventus a partire dalla sua data di fondazione, se si vuole, a partire dal suo oroscopo. Senza porsi la classica domanda: ci credi oppure no? E’ una domanda senza ragione. Non è questo il punto. L’astrologia non è altro che un linguaggio simbolico assai antico e, se studiato con attenzione, affascinante. Forse uno dei tanti modi possibili per cercare un rapporto intuitivo con alcuni aspetti della realtà, evitando di farsene influenzare e rinunciando a ogni tentazione di prevedere il futuro, cosa evidentemente impossibile.

Come abbiamo detto, questo è un gioco, un divertissement significante. La Juventus nasce con il Sole nel segno dello Scorpione. E agli scorpioncini, ma anche alle scorpioncine, capita di portarsi dietro una cattiva reputazione. Spesso non meritata. E’ già un’analogia. C’è, invece, che chi ha nel tema natale evidenti valori scorpionici, stando alla letteratura astrologica, è persona, in questo caso società, che tende a esasperare e a portare al limite l’esperienza delle cose, a vivere, a sentire e a desiderare in modo estremo, all’eccesso. I più saggi tra i nati del segno imparano a trascendere gli eccessi, a viverli, ma a non farsene travolgere e dominare. A maturare, insomma, una forma distacco, una giusta distanza dalle cose. La Juventus, a modo suo e per quanto è possibile a una squadra di calcio, forse ha questo talento.

E a ben vedere gli eccessi e gli estremi nella storia della Juventus sono molti. A cominciare dal motto “Fino alla fine” impresso sulle maglie, che richiama il limite dell’esperienza. E’ la squadra italiana che ha più tifosi. Almeno, così si dice. Ma è anche, quasi di sicuro, la più odiata. Quella che attira su di sé più ostilità, tensioni antagoniste viscerali e inestinguibili. Persone intelligenti e altrimenti equilibrate possono essere trasfigurate dall’odio verso la Juventus. C’è chi, con una convinzione che sarebbe insostenibile avendo un po’ di buon senso, arriva addirittura a dire che la Juventus compri i risultati delle partite o che spesso vinca anche grazie ad arbitraggi scorretti e manipolati ad arte. Accuse assurde e mai provate. Eccessi, piccole follie collettive, valvole di sfogo sociale, forse. A volte, gli arbitri hanno sbagliato e sbagliano a favore della Juventus. Senza dubbio. Ma anche a sfavore, in Italia e in Europa. Come capita a ogni squadra di calcio.

E, ancora, è la squadra che in Italia, e in Europa, ha vinto più scudetti. Qualunque sia la contabilità che si preferisce. Se si segue quella della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc) sono 32. Mentre per la società, per i tifosi, per quello che è successo sul campo sono 34. A dire il vero, il Benfica ne ha vinti 35. Ma, con tutto il rispetto, si può paragonare la Primeira Liga alla Serie A? E anzi, gli scudetti conquistati sul campo sarebbero 36. Infatti, nel 1908 e nel 1909, quando il campionato era diviso in due tornei, Italiano e Federale, la Juve ha vinto due titoli, mai assegnati. Mentre gli scudetti vinti nel medesimo periodo dalla Pro Vercelli sono stati riconosciuti. E’ difficile, trascorso un secolo e passa, capire come andarono le cose, ricostruire la logica di fatti che affondano in un mondo lontanissimo da quello che conosciamo. Però, sembrerebbe una piccola ingiustizia.

E restando in tema di scudetti, non si può non ricordare che nel 2006 quella che era la squadra più forte d’Italia, la squadra che tesserava otto giocatori in campo nella finale del campionato mondiale tra Italia e Francia, svoltasi il 9 luglio di quell’anno, e altri fuoriclasse come Pavel Nedved, Zlatan Ibrahimović ed Emerson, in seguito a un processo sportivo durato poche settimane è stata privata di due scudetti, retrocessa in Serie B e penalizzata di 30 punti, poi ridotti a nove. Sollevandoci per un attimo sopra le vicende singole e sopra il contesto in cui accaddero, la cosa appare incredibile, eccessiva. Lo scudetto della stagione 2005-2006 venne assegnato all’Inter, la cui posizione processuale, emersa in un secondo momento, non potè essere esaminata dai giudici a causa della decorrenza dei termini di prescrizione. Non c’è spazio qui per tornare in modo approfondito sui giorni di Calciopoli. Quell’insieme di eventi, dopo più di dieci anni, appare strano e anomalo, opaco ed estremo. Appare poco provata, e sinceramente forzata, la tesi giudiziaria secondo cui i vertici juventini dell’epoca avrebbero messo in piedi una specie di associazione per delinquere attraverso cui influenzare le carriere degli arbitri e l’andamento dei campionati. Questo al di là del fatto che la Juventus vinse sul campo gli scudetti, revocati dal giudice sportivo, delle stagioni 2004-2005 e 2005-2006. E però, non si può non riconoscere che erano eccessive e oltremodo insistenti anche tutte quelle telefonate ai designatori degli arbitri, fatte del resto non soltanto dai dirigenti della Juventus, così come sono state troppo aggressive certe azioni, lecite o meno, di sicuro evitabili e censurabili, compiute con l’idea di tutelare i propri interessi. In breve, è difficile ritenere giusto un giudizio così rapido e parziale, nonché verosimilmente influenzato dagli umori, mediatici e non, e dalle voci, dai rumori della piazza e del momento. E c’è la sensazione che anche i processi arrivati dopo in via ordinaria non abbiano potuto superare i difetti del giudizio sportivo e abbiano faticato a dipanare quel groviglio di accadimenti, a valutare in modo corretto ogni condotta. Andiamo oltre e registriamo il dato sorprendente, considerato quello che è successo nel 2006, di una squadra che dalla stagione 2011-2012 a quella appena conclusa ha collezionato cinque scudetti consecutivi.

Guardando all’Europa, la Juventus ha il record di finali di Coppa dei Campioni-Champions League perse. Ben sei, su otto finali disputate. Squadre cariche di gloria, come il Bayern Monaco e il Benfica, ferme a cinque finali perse, non hanno saputo finora fare altrettanto. Un altro primato, un altro vertice, di cui racconto su Gli Stati Generali in questo articolo, all’indomani della finale di Berlino del 2015.

Parlando di Juventus e di Coppa dei Campioni, è giusto richiamare alla memoria il 29 maggio del 1985, la notte dello stadio Heysel, quando 39 persone sono morte per la follia degli hooligans e per la disorganizzazione delle forze di polizia belghe. Una tragedia, che mai sarebbe dovuta accadere, e mai e poi mai in uno stadio di calcio. La partita, giocata e da non giocare, finisce 1 a 0 per la Juventus: rigore di Michel Platini, assegnato per un atterramento fuori area di Zbigniew Boniek. E quel giro di campo con la coppa, pare richiesto dall’Uefa, quei festeggiamenti da dimenticare.

Un fatto eccezionale, direi unico, soprattutto di questi tempi, è che la Juventus è controllata da 93 anni dalla stessa proprietà, riconducibile alla famiglia Agnelli. Edoardo Agnelli, vicepresidente della Fiat, assume il controllo della squadra il 24 luglio del 1923 e trasmette quella cultura manageriale e gestionale che già allora caratterizzava le grandi aziende. La Juventus è la prima squadra italiana a organizzarsi in questo modo. Se ha vinto tanto e così a lungo è per questo motivo.

E un gioco di estremi, di polarità opposte, c’è anche nei colori della maglia di questa squadra. Il bianco, l’eccesso di luce e di colore, e il nero, la negazione del colore. All’inizio la maglia juventina era rosanero e la storia di come diventò bianconera merita di essere raccontata. La Juventus deve i suoi colori a John Savage, detto anche Jim, imprenditore inglese, marchese, nonchè giocatore e socio della squadra. Era il 1903 e c’erano da sostituire le divise ufficiali rosa con il cravattino nero. Il rosa era ormai sbiadito per l’uso e i lavaggi fino a una specie di bianco sporco e opaco. Savage, incaricato di procurare casacche nuove e più adatte all’attività sportiva, si rivolse a un fornitore di Nottingham, che spedì a Torino, ritenendole forse non troppo dissimili quelle della Juventus, le maglie bianconere del Notts County. Ci fu un un equivoco? Può darsi. Oppure Savage e la Juventus, stretto un patto segreto, sapevano che era il momento di voltare pagina, e che conveniva lasciare andare le cose così come potevano, senza controllare i dettagli. In un primo tempo le divise bianconere non piacquero molto, ma non era possibile ordinarne altre: il campionato stava per iniziare. Più avanti ci si accorse che quei colori erano belli, e anche vincenti. Ancora oggi, i tifosi del Notts County allo stadio, quando la loro squadra gioca bene, cantano: “It’s just like watching Juve…”.

Visto che siamo andati tanto indietro nel tempo, è bene chiudere come avevamo cominciato, tornando ai giorni in cui ebbero origine questi centodiciannove anni, che volano a cavallo dei millenni, abbracciano tre secoli e attraversano epoche lontane e diverse tra loro. Si tratta di una storia straordinaria nella sua semplicità. La Juventus è stata fondata da una banda di amici, da un gruppo di studenti del liceo classico Massimo D’Azeglio di Torino, che erano soliti trovarsi attorno a una panchina di corso Re Umberto. Il nome in latino, Juventus, dal significato così forte e luminoso viene da lì. Sapere come e perchè nascono le cose e le imprese è importante. Favorisce un rapporto migliore con quello che viene dopo, e pensieri più sereni ed equilibrati sulle vicende di ogni giorno. Oltre lo sport, oltre il gioco del calcio.

E conviene rileggere le parole di Enrico Canfari, uno dei fondatori, caduto il 22 ottobre del 1915 nella terza battaglia dell’Isonzo, durante la Grande Guerra, scritte in un documento autografo dell’epoca e pubblicate il 26 dicembre del 1915 su Hurra!: “L’anima juventina è un complesso modo di sentire, un impasto di sentimenti, di educazione, di bohémien, di allegria e di affetto, di fede alla nostra volontà di esistere e continuamente migliorare, ma soprattutto di allegria e di cuore”. Oltre le piccole appartenenze, e oltre le rivalità, al di là, e di molto. Eccesso di bellezza, eccesso di vita. Il sorriso diventa smorfia trattenuta, la commozione vira verso qualcosa di più gioioso. Buona Juventus, Juventus infinita, per tutti!

 

Foto di copertina: i fondatori-giocatori dell’allora Sport-Club Juventus negli anni 1897-1898 – Fonte Giorgio Welter, Juventus, in Le maglie dei campioni, Milano, Codice Atlantico, 2011.

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