Calcio

Bye Bye, Mister B. Senza di te ci saremmo annoiati (pure noi interisti)

14 Aprile 2017

“Allora il 14 sera, al ‘Manzoni’, si festeggiano i 25 anni di Berlusconi alla guida del Milan. Ci vai tu, sei già accreditato”. Per la regola non scritta della redazione che, ‘se tifi Inter, ti tocca il Milan’, così sei più obiettivo, di partite e di cose dei ‘cugini’, in quegli anni meneghini, ne ho seguite parecchie. E al Diavolo di Silvio – non che ne avesse bisogno, a dire il vero – non ho portato neanche male. Anzi. Da nerazzurro – pure se, quando si scrive, poco mi importa chi ci sia in campo – mi è toccato celebrare scudetti, un sacco di coppe – Champions League e Supercoppe europee, di solito, ma pure un Mondiale per Club -, vittorie assortite dell’altra sponda del Naviglio.

Raccontare, qualcuno di quei 29 hurra e  le gesta di campioni e allenatori che, puntualmente, facevano finire i ‘miei’, di beniamini, lontani in classifica. Mi è toccato, tra le altre cose, scrivere in mezzo alla bolgia di Piazza Duomo della rivincita con il Liverpool, ad Atene, dopo lo schiaffo di Istanbul; dagli spalti di Yokohama di Inzaghi che doma il Boca e fa tornare a Milano la vecchia Intercontinentale; di Ambrosini che sul pullman scoperto srotola lo striscione ‘lo scudetto mettilo nel c…’ a irridere il tricolore appena vinto da ‘noi’ e pure di Ibra che arriva al Milan e si riprende lo scudetto nel primo anno del dopo-Mou. Tutto per colpa di Silvio.

Che adesso lascia. E che chiude – come si dice in maniera più che abusata – un’era. Lunga lunga. Vincente e splendente. Una reggenza – vissuta insieme a Galliani e alla sua cravatta gialla – che ha marchiato a fuoco il calcio e lo sport italiano. L’addio di Mister B, non è un semplice addio. E’ qualcosa di più. Di diverso rispetto a quello pronunciato qualche anno fa da Moratti (a proposito, visto che, da scrivere comunque ce ne era per tutti, mi sono seguito parecchio anche l’Inter, anno di grazia 2010 e Triplete compreso) : da quando calò sull’arena in elicottero, con in sottofondo la ‘Cavalcata delle Valchirie’, il calcio non è stato più lo stesso. Miliardi di lire, poi milioni di euro, investiti per prendere i migliori – da Gullit-Rijkard-Van Basten, a Savicevic, Shevchenko, Kakà, Weah, Pirlo, Donadoni, Seedorf, Ibrahimovic, per snoccialarne giusto una manciata – e fonderli con un vivaio da urlo – da Maldini a Costacurta, da Galli a Evani e Albertini  a Baresi, per snocciolarne qualcun altro – per dare corpo a un gioco nuovo e bellissimo, come quello di Sacchi, o redditizio, come quello di Capello (inventato allenatore da manager che era) e fluido e vincente nel segno di Ancelotti e poi di Allegri.

Costringendo gli altri club a cercare di restare al passo, portando in Italia campioni da ogni parte del pianeta, intessendo la trama di quello che fu ‘Il campionato più bello del mondo’. Pagine di storia del pallone, fuse con la figura di un presidente (con smanie da allenatore dalla Edilnord in poi) capace di intrecciare il suo giocattolo rossonero, con il racconto – oggi diremmo storytelling -, anche politico, dell’Italia. E della sua parabola.

Quella sera del 14 marzo 2011, sul palco del ‘Manzoni’, Berlusconi, ‘gigioneggiando’ con il microfono in mano e Gerry Scotti al fianco, aveva regalato buffetti e carezze ai suoi ‘ragazzi’, dagli Invincibili di Sacchi e Capello, ai seguaci di Allegri (allora sulla panca milanista e chissà, oggi, quanto rimpianto); aveva annodato i fili rossoneri a quelli azzurri del Paese, ironizzando, da presidente del Consiglio, sulla politica nazionale. Nel festeggiare il quarto di secolo sullo scranno più alto del Milan, aveva scandito per bene: “adesso altri 25 anni di successi, che devono fare il paio con i primi”. Non è andata proprio così. Silvio ha fatto 31, saluta e se ne va. Si chiude un’epoca. In cui, tutto sommato, calcisticamente ci siamo divertiti. Game Over, Mister B. E, comunque, grazie di tutto.

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