Basket
Larry&Magic. E da quel giorno l’Nba non fu più la stessa
La Nba – in quei giorni – non era certo una scintillante macchina da soldi e da spettacolo. La summa di talento, energia e agonismo; il ricettacolo di giocate al limite dell’incredibile – ammirato oggi in tutto il mondo – non era che una Lega sull’orlo del tracollo finanziario, incapace di trascinare sotto canestro i telespettatori americani e di farli volare con la fantasia. Non erano giorni allegri, quelli. Poi, d’incanto, tutto cambiò. Fanno giusto quarant’anni oggi da quando – era il 12 ottobre del 1979 – due ragazzi, che più distanti proprio non potevano essere, scendevano sul parquet, dando vita a una rivalità entusiasmante capace di risollevare un campionato, quello della National Basketball Association, rilanciato – da loro – per sempre nell’empireo. A debuttare sulle assi di legno del torneo di basket più noto del pianeta, erano due matricole, due ‘rookies’ che avrebbero segnato, da lì in poi, tutta la storia del ‘gioco’: Larry Bird e Earvin Johnson.
Baciati – entrambi – dal talento ma diversi come il giorno e la notte. Uno, Bird, bianco. L’altro Johnson, nero. Uno, Bird, introverso e timido, figlio dell’Indiana rurale, noto come ‘The Hick fron French Lick’, il contadino di French Lick. L’altro dal sorriso largo e dall’esuberanza incontenibile, figlio del Michigan che allora produceva auto a rotta di collo, noto come ‘Magic’, per la magia che scaturiva dalle sue mani di play-maker alto 2 metri e 6.
Uno, Bird, finito ai Celtics di Boston – città operaia dalla forte etica lavorativa – per risollevare la più vincente delle squadre della Lega, a dir poco appannata ma pronta a rinascere. Perfetto per far lievitare la concretezza di Parish, Ainge, McHale e Walton, ‘soldatini’ nell’ingranaggio ‘lacrime e sangue’ messo a punto da coach K.C.Jones. L’altro, Johnson, finito ai Lakers di Los Angeles – città dei sogni, frizzante come nessun’altra – per dare linfa ai giallo-viola smaniosi di tornare a primeggiare. Perfetto per innescare le giocate di Kareem Abdul-Jabbar, Scott, McAdoo e Worthy, ‘stelle’ nell’ingranaggio dello ‘showtime’ messo a punto da coach Pat Riley.
Uno, Bird, che, appena finita la partita, era già pronto a ‘sgobbare’ in palestra. L’altro, Johnson, che, appena finita la partita, era già pronto a ‘festeggiare’ con i tanti Vip di L.A. seduti a bordo campo al Forum di Inglewood.
Diversi come il giorno e la notte. Ma uguali nell’amore per il basket. Nella voglia di competere. Nel desiderio di primeggiare anche al piano di sopra dopo essersi scontrati nella finale Ncaa, con ‘Magic’ a portare gli Spartans di Michigan State alla vittoria sui Sycamores di Indiana State capeggiati da ‘Larry Legend’.
Uguali nel trascinare i propri compagni a marchiare a fuoco un decennio, quello degli Anni 80, che ha visto il bostoniano portarsi a casa tre titoli Nba e il losangelino a indossare cinque anelli. Uguali – a suon di canestri, assist e rimbalzi – nel prendersi sulle spalle una Lega, mezza derelitta, trasformata nella Lega dei sogni da consegnare, tutta luccicante, a Michael Jordan, Kobe Bryant, Shaquille O’Neal, Tim Duncan, Lebron James, Kawhi Leonard e compagnia bella.
Identici nell’ambizione del sorpasso reciproco tanto da diventare amici fraterni e icone inseparabili di un movimento cestistico divenuto inarrestabile. In campo. E fuori. Sublimato nel Dream Team delle Olimpiadi di Barcellona nel 1992. La squadra di basket più forte di sempre con Larry e Magic padri nobili all’ultimo passo di una carriera leggendaria.
Iniziata giusto quarant’anni fa, il 12 ottobre del 1979 nel giorno dedicato a Cristoforo Colombo che scopriva l’America. Quell’America che, almeno nel basket, da quel giorno non sarebbe stata più la stessa.
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