Arrampicata
SCHMIDT AL CERVINO, UNA NORD LEGGENDARIA PER CARLO COSI E FRANCESCO RIGON
Articolo di Carlo Cosi, tratto da Alpinismi
Ma quanto è grandiosa la Nord del Cervino ? E quanto piace a noi di Alpinismi? La risposta è ovvia, lo sappiamo, ma non altrettanto decidersi a ripetere una storica via come la Schmidt in un soleggiato weekend di primavera. Una via vetusta? Forse fuori moda? Per quanto ci riguarda è un’autentica figata… sentimento condiviso anche da due bravissimi alpinisti veneti, Carlo Cosi e Francesco Rigon, che l’hanno ripetuta non senza difficoltà (condizioni parete) a fine maggio. L’avventura all’ombra della Gran Becca ci viene di seguito raccontata con le parole di Francesco Rigon e quelle (oltre alle immagini) di Carlo Cosi, cui vanno i nostri ringraziamenti, e i complimenti per la ripetizione.
Erano anni che sognavo di salire questa parete e finalmente assieme a Checco (Francesco Rigon) siamo riusciti a ripetere la via Schmidt
Come scrive Francesco nel suo blog:
“era da un po’ di tempo che seguivamo le condizioni di questa parete, nonostante le informazioni raccolte non fossero positive, la voglia di una grande avventura era tanta e non volevamo salirla con la ressa di cordate, come succede quando si sa che le condizioni sono buone.
L’alta pressione è dalla nostra, e venerdì saliamo a Zermatt con una giornata strepitosa. Lasciata l’auto a Täsch, arriviamo in taxi a Zermatt e attraversiamo tutto il paese verso gli impianti di risalita, un primo troncone ci porta a Furi (1867m) e il secondo a Trockener Steg (2939m) – sarebbe molto più comodo salire a Schwarzsee (2583m) più diretta per l’HörnliHütte ma fino al 23 giugno resta chiuso.
Dall’arrivo dell’impianto con un lungo traverso verso ovest, su neve a tratti profonda, si arriva alla base della Cresta dell’Hörnli, che prima con qualche scala e passerella e poi su sentiero porta al Rifugio – ora chiuso, ma con un bellissimo bivacco invernale, con venti posti letto, senza coperte però, ma energia elettrica, luci e toilette.
La notte passa veloce, interrotta da due gruppi di ritorno dalla Normale, uno di quattro rumeni rientrati alle 21:30 e uno di tre bulgari arrivati alle 1:00, mentre per noi la sveglia suona alle 2:30 e troviamo i bulgari che ancora cenano nella sala da pranzo, mentre noi facciamo colazione.
Alle 3:15 lasciamo l’accogliente rifugio e ci dirigiamo sul versante nord. Con un traverso verso ovest, in piano su un pendio glaciale, si arriva sotto la seraccata che si passa senza difficoltà sulla sinistra, su di una lingua di neve. Si continua ad attraversare fino al margine destro della rampa, che da inizio alla via, nell’unico punto dove si riesce a superare agevolmente la terminale – noi ci siamo legati in questo punto, per poi slegarci appena sopra.
La prima parte della rampa è su neve pressa ,che però presto lascia spazio al ghiaccio duro, comunque sempre a 50°/55° per cui non ci leghiamo. Iniziamo ad attraversare verso destra prima di arrivare in cima allo scivolo e ci portiamo sotto una costola rocciosa. Qui ci leghiamo prima di superare verso destra nel punto più debole la costola (numerosi chiodi).
Da qui l’andamento della via è in traverso ascendente verso destra. Subito dopo la costola si vede la rampa inclinata alla base dell’enorme bastione strapiombante che sta sotto la Solvay, che costituisce la parte centrale della via. Non bisogna salire subito alla goulotte, che si vede in alto (difficile M6-M7 anche se ci sono numerosi chiodi), ma attraversare sotto più semplicemente per poi risalire appena dopo aver superato uno spigoletto sempre verso destra (soste presenti). Alla base della rampa c’era una esile goulotte che a tratti lasciava scoperte le rocce a tratti era coperta di neve ma la salita è sempre stata abbastanza agevole. Tutto questo tratto l’abbiamo salito in conserva lunga utilizzando spesso il T-bloc. Le soste sono presenti quasi sempre ogni 50-60m.
All’uscita della rampa si sala un camino un po’ più complicato (M5 difficile da proteggere) e poi si attraversa un canale-goulotte con andamento ascendente da destra a sinistra (da non risalire, ma è evidente visto che la via non va mai verso sinistra). Appena fuori dalla balistica del canale c’è una buona sosta, da cui si attraversa ancora per 30m su misto poi per 70m su neve in diagonale ascendente, indovina un po’: sempre verso destra ahahaha. Si arriva sotto una goulotte a 80°-85° che in alto è quasi strapiombante la si sale per 20m (AI4+ chiodi sulla destra ma difficili da utilizzare, con viti corte ci si protegge discretamente su ghiaccio) dopo di che ad una cengia si attraversa ancora a destra per 30m su roccia (sosta alla base della goulotte, in cima ad essa e a metà del traverso).
Il traverso su roccia porta all’ultimo terzo di via che sale su neve, attualmente non in buone condizioni, spesso solo una decina di cm di neve inconsistente separano dalla roccia. Qui il percorso è abbastanza libero ma sempre tendente a destra fino a raggiungere la cresta di Zmutt, dalla quale raggiungere la vetta è semplice (si aggira sul versante N un unico salta più ripido della cresta, con percorso logico ed evidente). In questo tratto conviene salire in conserva lunga sfruttando le rocce affioranti per piazzare qualche protezione. Per noi questo è stato il tratto più faticoso, sia per il fatto che è tutto sopra i 4000m, sia perché ho dovuto battere la traccia nella neve inconsistente. La cresta di Zmutt l’abbiamo raggiunta a circa 4300m.
Anche se la stanchezza era tanta, alle 16 quando abbiamo raggiunto la croce sulla vetta italiana del Cervino, l’emozione è stata indescrivibile. Una piccola pausa per assaporare la salita, bere l’ultimo sorso d’acqua e mangiare l’ultima barretta, e poi alle 17 iniziamo la discesa, per la lunga, lunghissima cresta dell’Hörnli.”
La discesa ce la aspettavamo complicata e vista la stanchezza ci siam promessi di fermarci alla Capanna Solvay. Così Scendiamo veloci lungo la cresta e con l’aiuto dei canaponi (le corde fisse che ci sono sotto la vetta) in poco meno di due ore siamo alla Solvay. Siamo stanchi morti, le condizioni non buone della Nord sommate alla quota ci hanno provato abbastanza. Non vedo l’ora di mangiare, bere e farmi una dormita. Entrati alla Solvay riempiamo il Jetboil per far sciogliere neve ed idratarci e come per magia l’accendino esplode in mille pezzi. Il sogno di bere un goccio d’acqua e finalmente mangiare un pasto caldo svanisce in un secondo.
Un primo momento di sconforto poi raccogliamo le ultime energie rimaste e decidiamo di scendere verso il bivacco dell’Hornlihutte con la speranza di trovare una scintilla.
Tra una cosa e l’altra partiamo dalla Solvay alle 20 sprofondiamo nelle neve marcia fino alla cintura ma comunque scendiamo veloci (se così si può dire) la prima ora con le ultime luci della sera poi con il buio rallentiamo e cominciamo a sbagliar strada. Sbaglia uno, sbaglia due, sbaglia tre e finalmente risolviamo la faccenda alle 23 con un traverso esposto su marcio, con doppia su un chiodo e una risalita (sempre su neve marcia fino alla cintura) su un canale prima di arrivare alla giusta traccia.
Alle 23:30 siamo al rifugio stanchi, affamati e assetati.
Riusciamo ad idratarci grazie alla neve che si scioglie e scende dalla grondaia del rifugio ma per quanto riguarda il cibo dovremo aspettare le 11 del giorno dopo quando incontriamo due escursionisti, che salgono da Furi ai laghetti di Schwarzsee, che ci offrono una tavoletta di cioccolato con le nocciole… Dopo la cioccolata ultimi metri di discesa, tappa obbligata al McDonald di Zermatt, bagno in fontana a Tasch e grigliatone spaziale a Gravellona Toce a casa di Basa un caro amico di Checco
Che avventura!
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