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Yashchenko, il grande saltatore ucraino nato troppo tardi e morto troppo presto
La celebre ghirlanda di raggi dell’Eurovisione, accompagnata dalle altrettanto famose prime battute del Te Deum di Marco Antonio Charpentier, apre il video di Ventrale, brano degli Offlaga Disco Pax, dedicato a Volodymyr Yashchenko, saltatore ucraino che ai Campionati europei indoor di Milano del 1978 conquistò il record mondiale con un salto di 2 metri e 35. Quando la sigla dell’Eurovisione cede il passo a un tappeto elettronico a metà tra Kraftwerk e primi Depeche Mode, sotto il quale scorrono immagini d’archivio di Yashchenko, la voce di Max Collini inizia a declamare i primi versi di questa sorta di ode a un ‘eroe del socialismo’.
Agli Offlaga, band reggiana come i CCCP Fedeli alla Linea, manca lo spirito iconoclasta e dissacrante di Ferretti e Zamboni, ma le storie che raccontano si nutrono degli stessi miti.
“La vittoria di Vladimir fu un eroismo da Terza Internazionale/ Una misura strappalacrime ottenuta dall’ultimo grande ventralista della storia / Con tanti saluti a Jacek Wszoła e al suo amico Lech Wałesa” canta Collini con un incedere narrativo che ricorda il recitato dei Massimo Volume, altra formazione dell’underground emiliano.
Agli esordi, quindici anni fa, si era sparsa la voce che gli Offlaga Disco Pax provenissero da Cavriago, comune del reggiano famoso, oltre che per aver dato i natali alla cantante Orietta Berti (conosciuta come l’usignolo di Cavriago), per ospitare nella sua piazza principale un busto di Lenin. Realizzato nel 1922 da alcuni operai di Luhansk e trafugato durante l’occupazione tedesca in Ucraina, il busto giunse in Italia dove cadde nelle mani dei partigiani. Dopo la guerra fu consegnato all’ambasciata sovietica a Roma, ma nel 1970 i sovietici lo donarono al comune di Cavriago in occasione delle celebrazioni per il centenario della nascita del leader bolscevico. Con quel gesto l’Unione Sovietica aveva voluto rendere omaggio a una cittadina dove nel 1919 l’allora Partito Socialista guardava alla Rivoluzione d’Ottobre come a un modello cui ispirarsi.
Ma torniamo a Yashcha, così lo chiamavano i suoi fan, e alla sua triste vicenda. Sì, perché la storia di Yashchenko non è affatto la storia di un eroe sovietico, come si potrebbe pensare ascoltando il brano degli Offlaga Disco Pax. La band, pur non essendo di Cavriago, proviene infatti da una terra dove le narrazioni moscovite hanno spesso fatto breccia nel cuore della gente.
Prendendo a prestito le parole di Vasco Rossi, altro emiliano doc che ha raccontato nelle sue canzoni i miti dell’Emilia dove la pianura padana può improvvisamente trasformarsi in prateria o in steppa, come scriveva Pier Vittorio Tondelli nel suo Weekend Post Moderno, Yashchenko non era né un santo né un eroe. Forse un ribelle senza causa alla James Dean o un angelo fragile come Kurt Cobain.
La sua favola, che si trasformerà presto in una storia di solitudine ed emarginazione, inizia nei primi anni Settanta a Zaporizhzhya, città industriale dell’Ucraina sud-orientale. È qui che nasce il 12 gennaio 1959, terzogenito di una tipica famiglia sovietica, emigrata qualche anno prima dalla vicina Vodyane, villaggio sul Dnipro a settanta chilometri dalla città “al di la delle rapide” (in ucraino, za porihy). Suo padre Ilya Kirillovich è uno dei tanti operai dell’indotto che gravita attorno alla cava di granito situata alla periferia sud-occidentale, la madre, Mariya Ivanovna, è un’impiegata dell’ufficio postale numero 59.
Volodya, così lo chiamano amici e parenti, mostra sin da piccolo qualità fisiche straordinarie.
È alto, ha un fisico ben proporzionato, si muove con un’agilità felina e soprattutto possiede una naturale predisposizione per la corsa campestre. Il fratello maggiore Anatoliy, impressionato da queste qualità, lo convince a iscriversi a una delle sezioni di atletica leggera dell’Avangard, società sportiva che ha sede nel quartiere Leninskiy, attiguo a quello dove abitano gli Yashchenko. Toliya sogna per il fratello un avvenire migliore del suo. Lui si guadagna da vivere come operaio in una fonderia di alluminio a Enerhodar, un agglomerato urbano a un centinaio di chilometri da Zaporizhzhya, creato come città satellite di quella che sarebbe diventata la più grande centrale nucleare d’Europa. Volodya segue il consiglio di Anatoliy e si iscrive al Trasformatore, il club più blasonato dell’Avangard.
Per la sua precoce carriera di atleta la svolta avviene un pomeriggio di primavera del 1970 quando il ragazzo si cimenta per la prima volta in una prova di salto in alto superando senza difficoltà l’asticella fissata a 1 metro e 35. Yashcha, pur ignorando i fondamentali della tecnica – il suo stile è una sorta di ventrale dettato dall’istinto e non dalla conoscenza –, si leva da terra con naturale leggerezza. Non sa che quel giorno, ad assistere alla sua esibizione, c’è il coach più stimato del club, Vasiliy Telegin. L’uomo, colpito da quel gesto atletico, sussurra ad Aleksey Kudinov, l’allenatore di Yashchenko, che il futuro del ragazzo non è quello di mezzofondista ma di saltatore. Di lì a breve Telegin, cultore di uno stile, il ventrale che in Occidente è ormai considerato obsoleto – anche in Unione Sovietica comincia a diffondersi la nuova tecnica dorsale del fosbury flop –, diventa per il giovane Volodya un vero e proprio maestro di vita.
I due condividono l’amore per gli spazi aperti e in particolare per Khortytsya, l’isoletta sul Dnipro, un tempo sede della Sich dei cosacchi, dove in estate Telegin fa allenare i suoi atleti. Da bambino, lungo quelle rive sabbiose, Volodymyr ha trascorso interi pomeriggi a giocare con gli amici d’infanzia. Ora torna in quei luoghi assieme a un team di atleti di cui diventerà presto l’indiscusso leader.
A quattordici anni – ricorda l’amico Ihor Timohin – Yashcha aveva già sviluppato una corporatura da atleta. Alto un metro e novanta, asciutto, dotato di una muscolatura incredibilmente elastica, il ragazzo che, su suggerimento del suo allenatore pratica saltuariamente anche pallamano, pallanuoto e basket, sembra già predestinato al successo.
A sedici anni, grazie ai preziosi consigli di Telegin, Volodya supera la misura di 2 metri e 12 e diventa il primo saltatore dell’URSS nella sua fascia d’età.
Nei ritagli di tempo libero Yashcha affida i propri pensieri a un diario personale in cui annota appunti e dati relativi ai suoi allenamenti e legge con avidità i racconti di Aleksandr Grin, uno scrittore sovietico molto popolare negli Anni Venti, che ambientava le sue storie fantastiche in un’immaginaria terra d’oltremare popolata da avventurieri, marinai e scienziati. A scuola il rendimento è più che discreto nonostante alcune mattine Volodya si addormenti sul banco a causa della stanchezza procuratagli dalle lunghe sedute di allenamento. I professori chiudono più di un occhio perché sanno di trovarsi al cospetto di una giovane promessa dello sport. Forse qualche solerte funzionario di partito li ha già avvertiti che quel ragazzo potrà presto dare lustro al suo paese, dimostrando al mondo occidentale la superiorità del sistema socialista anche in ambito sportivo.
A diciassette anni Yashchenko entra a far parte della grande squadra di atletica dell’Unione Sovietica e inizia a trascorrere alcuni mesi a Mosca per la preparazione.
Con l’ingresso nel team nazionale la sua vita cambia anche dal punto di vista economico. Alla fine di ogni mese, in quanto atleta dell’URSS, riceve un lauto stipendio di 350 rubli, una somma notevole se si pensa che neppure ai magistrati in servizio da tanti anni venivano corrisposte cifre simili. Ma Yashcha, ragazzo schivo e generoso, non si monta la testa e ogni volta che torna a Zaporizhzhya svuota la valigia e regala ai ragazzini più giovani dell’Avangard scarpe della Adidas, tute e magliette con la scritta CCCP.
Il debutto sul grande palcoscenico avviene allo Stadio dell’Amicizia di Leopoli in occasione delle Spartachiadi giovanili del luglio 1976 dove Yashchenko supera i 2 metri e 21, battendo lo storico record mondiale juniores di Valeriy Brumel.
Due mesi più tardi a Erfurt, nella DDR, migliora il record di un centimetro. Eppure nell’autunno di quell’anno qualcosa comincia a incrinarsi. Per la prima volta affiorano in Volodya quell’abulia e quel male di vivere che finiranno per minare il suo equilibrio psichico una volta abbandonato l’agonismo a causa di un grave infortunio.
Yashchenko inizia a disertare gli allenamenti. Telegin, non vedendolo presentarsi in palestra, dopo qualche giorno lo va a cercare a casa e lo trova sdraiato sul divano della sala a leggere i racconti di Grin. Telegin gli spiega che l’età dei giochi è finita e che lui ha il dovere di allenarsi visto che fa parte della nazionale sovietica. Volodya annuisce anche perché non ha il coraggio di confessargli che ha voglia di vivere spensieratamente i suoi diciassette anni. Sa che quell’uomo non capirebbe la sua passione per i Beatles e per le ragazze. Riprende dunque ad allenarsi ma a intermittenza destando non poche preoccupazioni nel suo preparatore atletico.
I suoi bizzarri comportamenti ai ritiri della nazionale in una località montana armena vicino a Erevan suscitano diversi grattacapi ai suoi coach e danno il la a maldicenze e a pettegolezzi da parte degli altri membri della squadra.
All’amico Ihor confessa che il suo problema è il senso di apatia e di accidia che lo attanaglia. Volodya pensa di essere stato arruolato per una guerra più grande di lui. Vorrebbe trovare dentro di sé la voglia di vivere, ma pur non essendo ancora maggiorenne si sente in cuore la pesantezza di un vecchio.
Ihor replica che lui è il primatista mondiale di salto in alto juniores e che lo attende un futuro roseo. Le parole dell’amico gli infondono nuova fiducia. Fiducia che lo sostiene qualche mese più tardi, il 2 giugno 1977, a Richmond negli Stati Uniti.
Di fronte a una folla incredula, Yashchenko migliora il record mondiale di 2,25 metri, detenuto dal collega sovietico Valeriy Brumel, campione olimpico nel 1964, con un salto di 2,27 metri, poi nei salti successivi raggiunge rispettivamente 2 metri e 31 e 2 metri e 33.
Con quest’ultimo salto di 2 metri e 33 Yashcha strappa il record mondiale di 2,32 metri a Dwight Stones, specialista del fosbury.
La cosa davvero straordinaria è che Yashchenko realizza questa incredibile sequenza di salti usando lo stile ventrale (ossia staccando dal suolo con il ventre rivolto all’ostacolo e superando l’asta attraverso un movimento di rotazione del busto sull’asse longitudinale) che si era quasi estinto in seguito alla rivoluzionaria vittoria alle Olimpiadi messicane di Dick Fosbury del 1968.
All’epoca Yaschenko era rimasto uno dei pochi assieme a Rosemarie Ackermann, saltatrice della Germania orientale, detentrice del record mondiale femminile dell’epoca, a impiegare quella tecnica.
Grazie a Dick Fosbury, da cui prenderà il nome il nuovo stile, gli atleti eseguiranno il salto in alto con la schiena rivolta verso l’asticella.
Gli americani applaudono con simpatia questo ragazzo dai capelli biondi e dallo sguardo velato di malinconia, lontano dallo stereotipo degli atleti sovietici dall’espressione gelida e marziale.
Quando Yashchenko torna a Zaporizhzhya, acclamato come un eroe, ad attenderlo ci sono una Zhiguli nuova di zecca appena uscita dalla fabbrica di Togliattigrad e un bilocale tutto per sé nel più elegante quartiere di Borodinskiy.
Qualche tempo più tardi, nell’agosto 1977, Ogoniok, la più celebre rivista illustrata dell’Unione Sovietica gli dedica la copertina. Volodymyr Illich viene immortalato con i suoi boccoli biondi mentre corre nell’isoletta di Khortytsya.
La didascalia, rigorosamente in russo, all’interno del settimanale recita “Новый рекордсмен мира по прыжкам в высоту Владимир Ященко живет в Запорожье. Он любит тренироваться на берегу Днепра” ossia, “il nuovo detentore del record mondiale nel salto in alto Vladimir Yashchenko vive a Zaporozhye. Gli piace allenarsi sulle rive del Dnepr”.
Il regime ha trovato la sua gallina dalle uova d’oro.
Yashchenko è diventato il testimonial di un paese in piena crisi – sono gli anni della stagnazione brezhneviana – che cerca disperatamente di offrire all’esterno una nuova immagine.
Ma i funzionari di partito non hanno compreso fino in fondo che il profilo psicologico del giovane saltatore non è il più adatto a questo tipo di operazione politico-mediatica. Yashchenko ha uno spirito malinconico, ma fondamentalmente ribelle. Uno spirito anarchico, refrattario alle rigide procedure sovietiche.
E il trionfo di Milano nel 1978, quando salta 2 metri e 35 ossia l’equivalente in altezza di una cabina telefonica come scrive entusiasta la Gazzetta dello Sport, rappresenterà a tutti gli effetti il suo canto del cigno.
A causa della rottura dei legamenti crociati del ginocchio sinistro avvenuta a Kaunas l’anno successivo Yashcha perderà l’appuntamento delle Olimpiadi moscovite del 1980 e non riuscirà mai più a ripetersi a livelli d’eccellenza. Nella sua ultima apparizione agonistica nel 1983, riesce a malapena a superare la misura di 2 metri e 10.
Alla fine del 1984, congedatosi dal servizio militare, svolto a Odessa in un battaglione dell’Armata Rossa di soli sportivi, Volodya conclude ufficialmente la sua carriera agonistica e smette di percepire lo stipendio di membro della nazionale di atletica leggera.
L’URSS ha perso il suo testimonial, ma non sembra rammaricarsene più di tanto. A detta degli apparatchiki sovietici la pratica Yashchenko si era rivelata troppo difficile da gestire.
Qualche tempo più tardi, siamo già nei primi anni dell’Ucraina indipendente, Yashchenko spiega in una lunga intervista a Viktor Zharov, uno dei pochi giornalisti di cui si fida, i retroscena del suo grave infortunio.
Volodya racconta della reticenza del regime sovietico a farlo curare in una clinica specializzata in Occidente e di come l’inettitudine dell’equipe di medici coordinati dalla professoressa Zoya Mironova finì per straziare il suo ginocchio. Furono i medici austriaci di una clinica ortopedica viennese, nel 1982, dopo i due maldestri interventi chirurgici eseguiti a Mosca, a consentirgli di tornare a camminare.
Yashchenko muore a soli quaranta anni il 30 novembre 1999 a Zaporizhzhya, dove viveva con una modesta pensione da ex atleta, per un tumore al fegato dopo anni segnati da depressione e alcolismo.
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