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Urlatori e genuflessi: il giornalismo sportivo di oggi

29 Agosto 2022

Non so, ma provoca l’effetto rimozione sentire le telecronache di calcio oggi o leggere un quotidiano sportivo: un palato fine viene storpiato e contagiato.
Tra gli anni ‘70 ed ‘80 si ascoltava calcio alla radio, attraverso una rubrica storica: “tutto il calcio minuto per minuto”.

La conduceva Roberto Bortoluzzi e le voci radiofoniche -cavalli di razza- erano rappresentate da Enrico Ameri e Sandro Ciotti. Il primo possedeva un tono chiaro, squillante, ed il suo linguaggio era piano, asciutto. E non urlava quando si faceva gol, semplicemente accompagnava con una voce stentorea la descrizione dell’evento clou della partita.
L’altro, Ciotti, aveva il dono della parola: qui il tono della voce era arrochito ed era perciò soppiantato dalla ricerca semantica, dalla sinfonia della sinonimia e dallo scorrere di un fiume catartico di lingua inclita e costituita da neologismi inventati ad hoc: per esempio un terzino come Maldini o Cabrini erano definiti fluidificanti, un centrocampista come Rivera regista rifinitore.
Furono inserite da lui nel gergo calcistico.

La sua “Domenica Sportiva” era un salotto di letteratura sportiva, con i racconti di Beppe Viola.
Se compravi, poi, la “ Gazzetta dello Sport” leggevi gli editoriali sontuosi di Candido Cannavò: cultura del congiuntivo, descrizione epica del fatto sportivo. Ho ancora conservato i ritagli dei suoi articoli riferiti alle imprese ciclistiche di Marco Pantani, il pirata che si inerpicava come uno scoiattolo sull’ Alpe d’Huez nel Tour de France, o stendeva i suoi rivali sul passo del Mortirolo, pregno di pendenze proibitive.
Il Corriere dello Sport era diretto da Giorgio Tosatti, altra penna lussuosa capace di indicare come uno scienziato dati e statistiche dei rendimenti degli atleti. E non ti stancavi nel leggerlo.
E su “ Repubblica” trovavi gli articoli di Gianni Brera, Giovanni Mura, poesia pura.

Si fermava tutto, il lunedì era come la Domenica, perché le imprese degli atleti di qualsiasi sport li potevi leggere in cronache sportive come racconti di fiabe.
Brera era un altro inventore di parole e di aggettivi: Gigi Riva era “Rombo di tuono” per la violenza e la forza del suo mancino, Rivera, l’abatino, perché non correva, ma aveva classe quando deliziosamente toccava palla e faceva lanci da quaranta metri.
Paolo Rossi “Pablito”, in ricordo del “suo” mondiale del 1982.

Ora senti telecronisti urlatori, con racconti zeppi di parole sgrammaticate ad uso di bar dello sport: goffamente tentano di imitare la TV sudamericana.
Ed i dopo partita fatti di riflessioni banali o provocatorie per scatenare risse e fari ascolti, alla ricerca dello scontro contro il mister che ha perduto o genuflessi con piaggerie pleonastiche e frasi complimentose.

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