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Totti e Bryant, due modi opposti di dire addio

21 Febbraio 2016

Tirare troppo la corda, si sa, non è mai una bella idea. E così una leggenda del calcio come Francesco Totti, tuttora apprezzata da pubblico e colleghi ma ormai palesemente inadatta a calcare un rettangolo verde (quantomeno al livello a cui gioca la Roma), finisce per implorare maggiori attenzioni a tecnico e società attraverso un’amara e persino umiliante intervista al Tg1, di sabato sera, a poche ore dal turno di campionato che la Roma disputa all’Olimpico col Palermo, che Totti avrebbe dovuto giocare e che invece non giocherà, vista la decisione di Spalletti di mandarlo a casa dal ritiro.

Un’agonia sempre più dolorosa: nulla a che vedere con la emozionante e allegra passerella che accompagna quasi tutte le partite di Kobe Bryant, stella Nba anche lei al tramonto agonistico che ha dichiarato, già a inizio stagione, che questa sarà la sua ultima da cestista dopo aver conquistato cinque titoli in una carriera che ha segnato un’intera generazione a suon di record e vittorie. Da un lato applausi e sorrisi, dall’altra mugugni e recriminazioni, al massimo intervallati da qualche nostalgico tributo della stampa estera, dai selfie pieni di rispetto con i campioni del presente (Messi e Modric gli ultimi) e da episodi più simpatici e distesi come il palleggio a bordocampo con il raccattapalle durante Sassuolo-Roma.

La differenza tra i due campioni, che in comune hanno poco se non la conoscenza della lingua italiana, e il loro modo di dire addio sta proprio in questo: la stella dei Los Angeles Lakers ha avuto il coraggio di dire basta e lo ha fatto con una lettera scritta di pugno e indirizzata direttamente a lui, il basket, ringraziandolo di tutto. Una poesia più che una lettera, parole d’amore puro che farebbero venire i brividi anche a chi il basket neanche lo segue. E che hanno ottenuto il rispetto di tutta l’Nba: quasi tutte le squadre che hanno giocato nelle ultime settimane contro i Lakers stanno dedicando video-tributi commoventi a Bryant. Lo stesso Michael Jordan, nella partita contro Charlotte (di cui è proprietario) ne ha registrato uno. Persino a Philadelphia, sua città natale che in passato gli ha spesso riservato dei fischi, è stata standing ovation. Addirittura a Boston, rivale storica dei Lakers e dove Bryant ha vinto il suo ultimo titolo Nba, nel 2010, dopo una tiratissima serie finita a gara-7, il pubblico gli ha riservato un significativo abbraccio. La coerenza del Mamba è arrivata al punto di escludere un ritorno in Italia, teoricamente possibile per concludere la carriera in maniera soft: “Il mio fisico non me lo consente”, ha sentenziato – senza appello – su se stesso.

Il tour d’addio di Totti non c’è, dunque, semplicemente perché non c’è l’addio. Non c’è la consapevolezza (o almeno non è resa pubblica) che “il fisico non consente più”, c’è anzi l’accanimento terapeutico, il desiderio – un po’ infantile – di essere ancora protagonista pur sapendo di non poterlo essere. E la richiesta al tecnico Spalletti, al quale Totti deve buona parte del suo palmares di club (escluso lo scudetto del 2001 con Capello) di “dire le cose in faccia”, paradossalmente però chiedendoglielo non a sua volta vis-à-vis ma a mezzo stampa. Di una stampa, quella romanocentrica ma non solo, da sempre amica e pronta a raccogliere i malumori del Pupone, un’icona che alla Roma effettivamente ha dato tanto, tantissimo, ricevendo però a sua volta non poco tra affetto e denaro (a 39 anni suonati il Capitano percepisce ancora 3,2 milioni netti a stagione, con contratto in scadenza e un quinquennale da dirigente già pronto).

A limite se proprio Totti vuole togliersi lo sfizio di giocare fino a 40 anni potrebbe prendere esempio da Gilbert Arenas, ex stella Nba che per assistere all’addio, e non a un faticoso e velenoso arrivederci, di Kobe Bryant, ha chiesto ai Lakers un contratto simbolico di 10 giorni per avere l’onore di assistere alle ultime partite del suo idolo direttamente dalla panchina. Solo per pura passione, senza gravare sui conti né condizionare le performance sportive della squadra. Ricordandosi di essere, in fondo, dei privilegiati.

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