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Sport e disuguaglianza: un bar per cambiare

14 Aprile 2022

Due indizi non fanno ancora una prova ma ci mettono su una pista.

In sociologia si parlerebbe di Zeitgeist, lo spirito del tempo. Si tratta di un termine tedesco, piuttosto astratto, il quale ci invita ad affettare l’attualità ed esaminarla dall’esterno, capendo quali siano le tendenze che la stanno attraversando in un dato e preciso momento. Nel 2022, con colpevole ritardo, potrebbe essere la volta buona nella quale gli astri si congiungeranno in maniera tale da allineare lo sport professionistico maschile e quello femminile, ponendoli sullo stesso piano? Non siamo in grado di dirlo ma, come scritto in apertura, abbiamo avuto recentemente un paio di indizi positivi riguardo al fatto che qualcosa si stia finalmente muovendo.

Qualche giorno fa abbiamo dato notizia di come nel calcio si sia vissuto un mercoledì trionfale per il movimento rosa, quando il pubblico ha affollato il Nou Camp di Barcellona per assistere le proprie beniamine impegnate in una importante – sebbene non equilibrata – sfida di Champions League contro le acerrime rivali del Real Madrid. In tale occasione, era la fine del mese di marzo, si registrò il maggior numero di spettatori presenti ad assistere a una partita di calcio femminile.

C’è ora un altro caso che riguarda da vicino la rivendicazione di appartenenza dello sport professionistico femminile, che ci arriva questa volta dall’altra parte dell’Oceano Atlantico.

La sacralità di un tempio profano

Lo hanno chiamato The Sports Bra, con un evidente gioco di parole possibile nella lingua inglese dove spostando una lettera nella parola bar otteniamo bra, che significa reggiseno. Si tratta di un locale a Portland, nell’Oregon, nato appositamente per sostenere lo sport femminile.

Non deve stupire che sia stato scelto di creare un bar con questo intento. Negli States infatti, ben più che in Europa, è ben salda la tradizione degli sports bar, locali ove ci si riunisce per bere e stare in compagnia mentre si tifa la propria squadra o il proprio sportivo preferito. Le domeniche – o i sabati, per il livello universitario – sono infatti momenti di grande condivisione, gioia se si vince ed ebbrezza, se invece si perde. Naturalmente, non tutti i tifosi riescono ad andare a tifare i propri beniamini – o le proprie beniamine – allo stadio o in palestra e preferiscono seguire le gare in compagnia di altre persone.

È per loro che esistono gli sports bar, luoghi che puntualmente si riempiono quando ci sono importanti appuntamenti sportivi. Parliamo di atleti maschi. I grandi match di pallacanestro, hockey, baseball, football americano, golf e chi più ne ha più ne metta, consentono a numerosi gestori di bar di guadagnare lautamente affollando le proprie sale. Questo discorso, però, non vale per lo sport femminile. Non esistono infatti, neanche nell’America dei bar sportivi, ritrovi dove sia possibile seguire con la stessa attenzione e cura un match conteso da donne. O perlomeno non esistevano. Poi è arrivato The Sports Bra.

Jenny Nguyen di fronte allo Sports Bra che ha aperto a Portland. Foto: Oregon Live.

Questione di mentalità e cultura

Non fosse per il nome, a schermi spenti sarebbe possibile confondere lo Sports Bra con un qualsiasi altro locale sportivo per seguire sfide tra atleti uomini. È quando si azionano i telecomandi, però, che al suo interno cambia tutto. Sui cristalli liquidi del Bra, infatti, si vedono soltanto gare femminili e non si fa mai zapping sui canali che trasmettono partite tra uomini.

Il problema nello sport è principalmente culturale. Se i media danno enorme spazio alla trasmissione televisiva di eventi maschili, altrettanto poco ne concedono a quelli dove in campo ci sono le donne. I dati UNESCO sulla disuguaglianza di genere attestano che il 40% di atleti professionisti, a livello mondiale, è di sesso femminile. Ciononostante, è soltanto il 4% dello sport rosa ad avere copertura mediatica. Ciò conferma come esista un problema di equità nello sport, e non da poco.

“Proprio qui sta il nostro approccio. Vogliamo far sì che quel 4% venga mostrato e faccia rumore.”

Ha affermato Jenny Nguyen, fondatrice di The Sports Bra, all’agenzia di stampa ANSA.  Uno studio congiunto delle università della California del Sud e Purdue ha messo in luce come, nel 2019, il 95% della copertura sportiva televisiva statunitense è stata dedicata a gare maschili.

L’uguaglianza non passa solo attraverso la ripartizione del tempo di permanenza sullo schermo; l’uguaglianza è anche poter contare su ciò di cui si ha bisogno per avere successo. Gli sport femminili necessitano di un movimento, The Sports Bra comunica quell’idea. A malapena si conosce la storia delle donne nel football.”

Ha aggiunto Leah Hinkle, la general manager delle Oregon Ravens di football americano femminile.

È però fuor d’ogni dubbio il fatto che aumentare la visibilità sia un passaggio fondamentale, tanto per attirare donne verso il mondo dello sport quanto per creare una community di tifosi e tifose interessati a seguire le gesta sportive in rosa. Perché si riescano a consolidare le fondamenta di un movimento paritario occorre garantire serbatoi di atlete di dimensioni importanti. I dati della Women’s Sports Foundation affermano come, prima che una ragazzina compia 14 anni, sia molto più probabile che abbandoni uno sport, con un’incidenza doppia rispetto a quella di un suo coetaneo. Se poi si tratta di una persona appartenente alla comunità Lgbtq+, è ancora più facile che si allontani presto dallo sport e non raggiunga mai l’agonismo.

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