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Risse e aggressioni, due esperti spiegano come proteggere i nostri figli
Dopo l’omicidio di Willy Duarte a Colleferro, in provincia di Roma, i ministri della Giustizia e dell’Interno hanno lavorato a un inasprimento delle pene per il reato di rissa e al Daspo dai locali pubblici e di intrattenimento. Quella che è stata chiamata “norma Willy” aumenta le pene per chi partecipa a una rissa, facendo salire la multa da 309 a 2000 euro e la reclusione – se qualcuno resta ferito o ucciso nella rissa – da un minimo di sei mesi a un massimo di sei anni. Inoltre, il questore può disporre il Daspo da locali o esercizi pubblici a coloro che “abbiano riportato una o più denunce o una condanna non definitiva, nel corso degli ultimi tre anni, relativamente alla vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope”. Per chi violerà la norma è prevista la reclusione da sei mesi a due anni e una multa da 8.000 a 20.000 euro.
In Italia, fortunatamente, però, se guardiamo ai dati aggiornati al 2016, solo il 3,7% dei cittadini ha subito furti, come borseggi e scippi, l’1,6% reati violenti, come aggressioni e rapine e lo 0,9% minacce. Nei reati contro gli individui la multi-vittimizzazione (ovvero l’esperienza ripetuta di subire lo stesso reato) purtroppo però è pari al 23,6% ed è più frequente nel caso di reati violenti. Nel 2018, sono stati commessi “solo” 345 omicidi (erano 357 l’anno precedente) e sono in calo da anni. Viviamo quindi in una società sicura ma è allo stesso tempo vero che la fascia dei giovani adulti è quella più coinvolta nelle violenze, non necessariamente negli omicidi.
Come dobbiamo comportarci quando ci troviamo di fronte un potenziale aggressore? Come devono comportarsi i giovani che sono quelli che di solito animano la vita notturna? La questione è spinosa anche per i genitori: con i propri figli va raccomandato di “farsi i fatti propri” oppure di intervenire per aiutare chi è in difficoltà?
«La cosa più importante è portare a casa la pelle. Non serve fare gli eroi di fronte a quattro picchiatori contro uno. Si tratta di mettere da parte il proprio ego. Uno scontro fisico potenzialmente è sempre mortale, per entrambe le parti», osserva Mario Furlan, fondatore del Wilding, l’autodifesa istintiva e psicofisica.
Inoltre, aggiunge, «spesso non si conosce l’aggressore. Può essere un assassino, venirti a cercare dopo, oppure avere un grande avvocato dietro pronto a coprirgli le spalle e così trascinarti in tribunale». Furlan ha maturato la sua esperienza sulla strada con i City Angels che ha fondato nel ’94 ma anche nelle palestre, dove ha praticato arti marziali. Nel frattempo è diventato docente di Motivazione e crescita personale. I suoi corsi di autodifesa sono rivolti a ragazzi e adulti che vogliono sentirsi più sicuri.
La prima regola quando ci troviamo coinvolti in situazioni potenzialmente violente e pericolose è sempre quella di scappare e mettersi in sicurezza se è possibile e chiamare il 112, chiedendo aiuto. «Wilding», ci spiega infatti, «è autodifesa basata sulle due p: prevenzione e psicologia. Prevenzione perché è sempre meglio prevenire che curare. Psicologia, invece, significa cercare di gestire situazioni difficili senza arrivare alle mani».
Ci sono però due tipi di aggressori che possiamo trovarci davanti secondo Furlan: quelli a sangue freddo e quelli a sangue caldo. Gli aggressori a sangue freddo sono quelli che si avvicinano con una scusa per poi derubarti o farti del male. «L’importante è non farli avvicinare, mettersi in una posizione con le gambe ben piantate a terra, un piede davanti all’altro in modo che se ti spingono hai più resistenza, le mani davanti e dire “per favore non si avvicini”, rispondendo con un atteggiamento sicuro per fargli capire che hai inteso le loro intenzioni».
La seconda regola possiamo dire che quindi è quella di non mostrare mai un atteggiamento debole o distratto ma piuttosto sicuro e pacato, nonostante la paura. Se ci troviamo di fronte aggressori a sangue caldo è un pò diverso. «Comportarsi in modo aggressivo anche verbalmente con i bulli è pericoloso. Di fronte a un “Che cazzo hai da guardare la mia fidanzata?”, la risposta potrebbe essere “Scusa non sapevo fosse la tua fidanzata, mi sembrava una vecchia amica”. E consiglio di chiedere scusa, anche se dovrebbe essere il bullo a chiederlo. Ma bisogna farlo con il tono della persona tranquilla, sicura, mai remissiva».
Ma come dobbiamo comportarci se qualcuno vuole farci del male fisicamente e non riusciamo a chiedere aiuto o a fuggire?
«Bisogna provare a fingere di acconsentire alle sue volontà, e poi quando l’aggressore meno se lo aspetta colpirlo nei punti più vulnerabili», racconta Furlan. «I primi colpi che insegno sono quelli col palmo della mano dalla posizione di guardia. In tribunale un conto è giustificare un pugno, un altro un colpo così. Deve essere chiaro per tutti che tu hai cercato di evitare lo scontro e che ti sei dovuto solo difendere», conclude.
Per i maschi, però, a volte, è ancora difficile non rispondere alle provocazioni. Il caso di Colleferro Furlan adesso lo prende ad esempio quando parla ai suoi allievi di comportamento aggressivo. Peraltro, ci spiega che le MMA (mixed martial arts), di cui tanto si è parlato perché praticate dai fratelli Bianchi, responsabili dell’omicidio di Willy, sono uno sport da ring ed è per questo che i maestri che allenano quotidianamente nelle palestre hanno una responsabilità nei confronti dei lori allievi. Queste discipline andrebbero insegnate solo a persone equilibrate o che dimostrano di avere le intenzioni giuste.
Fabrizio Carro, fondatore e direttore tecnico di Elite Krav Maga Milano, ci racconta che il rischio esiste ed è per questo che «nel modulo di iscrizione della palestra chiediamo alla persona di dichiarare di non avere precedenti penali». Poi però è anche vero che una persona che ha pagato il suo debito con la giustizia deve avere la possibilità di redimersi. Il rischio per Carro è più con le persone violente di carattere e che esercitano la violenza facilmente. «Nel nostro mondo si dice che da come combatti si capisce il carattere che hai. Purtroppo questa cosa a volte viene sottovalutata, soprattutto nell’ambito delle competizioni, spesso l’aggressività viene confusa con l’agonismo. Non è facile riuscire a capire cosa fa nella sua vita privata chi frequenta la palestra. Bisogna osservare. Molto però dipende dall’ambiente che crei in palestra. Da me non ci sono persone esaltate perché sono il primo a non volerle e a non essere così. L’ambiente deve avere un certo tipo di valori. Durante gli allenamenti si inseriscono concetti del codice penale anche per questo. Ci sono dei limiti, delle linee rosse che non devono essere superate anche nel difendersi. La difesa (quando è obbligata) deve essere proporzionale all’offesa».
Fabrizio Carro pratica arti marziali dal 1988. Nel 2001, tra i primi in Italia, si diploma Istruttore di Krav Maga e da allora si dedica esclusivamente all’insegnamento attraverso corsi collettivi e lezioni private.
Il Krav Maga è un sistema di autodifesa di estrazione militare nato alla fine degli anni ’40 per le esigenze delle forze armate israeliane. «Nel corso dei decenni – spiega il maestro – è stato adattato prima alle forze di polizia, poi agli agenti di protezione ravvicinata, infine ai civili, oggi lo praticano anche donne e ragazzini. L’obiettivo è essere in grado di prevenire e gestire le minacce e le forme di aggressione che possono avvenire nella vita quotidiana e nel contesto in cui viviamo». Carro precisa che il Krav Maga paramilitare ancora oggi «fa molto figo ma è poco professionale in un contesto civile proporlo così. Chi insegna ancora a tirare i pugni in gola è un incosciente».
Il Krav Maga è basato su principi non su tecniche, tanto che con un principio, per approssimazione, si può imparare a rispondere a scenari differenti contro la stessa tipologia di aggressione. «Se imparo a difendermi da uno schiaffo, da un movimento circolare, è abbastanza facile che io possa rispondere a questo movimento sia che si tratti poi di uno schiaffo, un pugno, in diverse situazioni, da seduto, in piedi, da sdraiato», racconta Carro. Per questo il Krav Maga si apprende rapidamente perché è basato sulle reazioni istintive che vengono raffinate, sulla biomeccanica corporea, non è necessario utilizzare la forza muscolare, altrimenti non potrebbe essere praticato da donne o ragazzini.
Ma la cosa importante è affiancare al lavoro sull’aspetto tecnico e fisico, un lavoro sull’aspetto emozionale e psicologico. «Ci sono corsi che fanno autodifesa solo con la tecnica ma quelli per la mia esperienza sono illusori, serve anche la preparazione fisica come l’allenamento sotto stress. Alleniamo i nostri allievi anche in condizioni di disagio. La mente non distingue un’esperienza reale da una simulata e realista. Alleniamo a livello neurologico anche l’identificazione della minaccia. Lo facciamo con un allenamento vario dove la mente si abitua a decifrare le minacce. Altrimenti la tecnica in un momento di stress va nel dimenticatoio se non è supportata da un lavoro psicologico».
L’80 percento dell’autodifesa è comunque basata sulla prevenzione: evitare, andare via e se non è possibile difendersi nella misura in cui si riesce ad andare via. La difesa può durare quei momenti in cui l’iniziale reazione non è stata sufficiente e può servire a creare le condizioni per andare via dalla situazione di pericolo o aggressione. Poi le variabili sono tante, soprattutto se devo difendere qualcuno che è con me, soprattutto se ci troviamo nostro malgrado coinvolti in una rissa.
«Una persona che pratica Krav Maga – conclude Carro – ha due obiettivi: sentirsi più sicura, vivere in modo più sereno, va a soddisfare un bisogno di sicurezza anche psicologico e nello stesso tempo si rimette in forma. La sensazione di maggiore sicurezza che si acquista progressivamente è data da questo, dal saper gestire nel tempo situazioni che prima erano sconosciute. Bisogna sviluppare un’allerta, un’acutezza sensoriale senza che sconfini nella paranoia, tutto ciò deve migliorare la qualità della vita non peggiorarla».
Fabrizio Carro allena anche persone che hanno vissuto aggressioni, non solo che hanno paura di viverle, e i suoi corsi sono frequentati da vittime di stalking, magari sotto consiglio di avvocati e psicologi. Il Krav Maga è però dedicato anche ad adolescenti, ragazzini bullizzati, diversamente abili, non vedenti e la tipologia di allenamento ovviamente è calibrata in base all’allievo.
La sicurezza al 100 percento non esiste. Come non esiste il mito dell’invincibilità. Esite la gestione del rischio. Essere persone capaci di affrontare le situazioni difficili senza andare in panico, ma rimanendo lucidi è sicuramente un vantaggio. Calibrare la violenza, però, quando si reagisce è difficile ed è per questo che bisogna sempre cercare di evitarla, perché si ha solo da perdere. Quindi scappa se puoi. Chiama la polizia e poi valuta se puoi intervenire.
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