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Quella voglia di partire che solo lo scialpinismo ti può dare
Articolo di Marika Favé, tratto da Alpinismi.
25 novembre, prima gita di stagione. È arrivata finalmente la neve, quasi inaspettata. Un inverno secco come il 2017 ci aveva fatto dimenticare che a novembre è più che normale che le nostre cime siano innevate, almeno dai 2.500 metri in su, così come anche più in basso. E la voglia di rimettere gli scarponi, dovuta anche allo scarso e ritardato innevamento dello scorso anno, mi ha spinto a far prendere aria ai miei sci e alle mie pelli. Per quel che mi riguarda è davvero presto per questa attività. Ho sempre sofferto il binomio sudore (che quindi vuol dire fatica) e freddo. Generalmente inizio a fine gennaio/febbraio ad attaccare le pelli agli sci e risalire i pendii, quando il gelo è meno pungente e io sono più abituata a esso, ma soprattutto quando la neve ricopre bene i nostri ghiaioni ed è in parte più prevedibile.
Mia madre mi ha sempre detto come mio padre – guida alpina e maestro di sci – praticasse scialpinismo. Poco per la precisione, solo in primavera, quando le condizioni erano ipersicure perché si sciava su firn, cioè su neve trasformata e quindi stabile. Partiva presto, anche alle 5 del mattino per tornare prima di mezzogiorno, prima che la neve riscaldandosi perdesse stabilità. Questo era quello che capitava fino a 30 anni fa qui da noi dove le montagne sono ripide se non verticali e dove scialpinismo molte volte significasse raggiungere forcelle ripide o montagne che a volte presentano passaggi complicati e a volte è obbligatorio togliere gli sci per superarli. Sicuramente sull’arco alpino, Alpi Occidentali, Lombardia, Svizzera, Austria, ma anche più vicino come val Pusteria o zona Brennero lo scialpinismo già anni addietro è sempre stato più diffuso e praticato anche in quei mesi che qui in Dolomiti abbiamo sempre giudicato pericolosi per via dei manti nevosi sospetti.
È la morfologia delle nostre Dolomiti, con le sue pareti verticali, forcelle ripide, valli e vallette, a rendere lo scialpinismo un’attività spesso rischiosa. I pendii dolci ci sono, ma generalmente non raggiungono le cime. Nell’area dolomitica può dunque essere difficile o rischioso partire con le pelli dopo o addirittura durante le nevicate. Non lo stesso si può dire, di contro, per altre zone dove la morfologia del terreno permette di raggiungere vette di montagne con dislivelli ma soprattutto pendenze dolci tali da poter essere considerate “sicure” anche in caso di abbondanti precipitazioni nevose. Un esempio. Nell’inverno 2006 stavo frequentando il corso per aspiranti guide ma qui a sud delle Alpi quell’anno c’era pochissima neve. Per questo motivo ci recammo in Austria per fare il modulo di scialpinismo non lontano da Kitzbuhel, luoghi sacro ai discesisti dello sci alpino. Ma, cosa a me sconosciuta, anche un posto ideale per la pratica dello scialpinismo con i suoi pendii dolci e migliaia di praticanti: giovani, vecchi, uomini, donne. In Austria, al contrario che in Italia, c’era una quantità infinita di neve e per di più continuava a nevicare, ma non c’è stato giorno che non incontrassimo persone lungo i tracciati più sicuri (e le possibilità erano davvero tante). La cosa mi colpì subito. Nelle mie zone gente tutto l’inverno ne vedevo solo a fare le grandi classiche di sci fuoripista come ad esempio Val Lasties, val Mezdì o forcella del Pordoi dove, oltre ad una funivia che mi permetteva di raggiungere velocemente la quota comunque una relativa sicurezza, era possibile anche all’alta frequentazione dei pendii e quindi ad un assestamento meccanico degli strati di neve.
Da aggiungere c’è anche un altro aspetto. Vale a dire che in Dolomiti lo sviluppo degli impianti sciistici ha sicuramente spostato l’attenzione più sulla discesa che non sulla risalita, quindi negli anni ’70 con l’avvento del turismo più che a far fatica si era scoperta una maniera di divertirsi e di guadagnare meno impegnativa…
Con gli anni ho visto cambiare questa tendenza anche da noi. Credo che un grosso input lo abbiano dato i bollettini valanghe che quotidianamente aggiornati forniscono un elemento valido, anche se non assoluto, nel valutare la sicurezza di una escursione con gli sci. Il Bollettino Neve e Valanghe è un mezzo che, sulla base delle previsioni meteorologiche e della probabile evoluzione degli strati nevosi, non solo fornisce una sintesi della struttura e del consolidamento della neve di un precisa area, ma anche il grado di pericolo previsto per il futuro immediato. Passi da gigante, è il caso di scriverlo, sono stati fatti negli ultimi trent’anni in quest’ambito. I primi bollettini valanghe iniziarono già nel 1966 ad essere emessi dal Servizio Valanghe Italiano (CAI). Dal 1980 iniziano a nascere i primi uffici provinciali e regionali e nel 1982/83 nasce AINEVA (che assieme ad altri servizi valanghe europei ha fondato anche l’European Avalanche Warning Services) che raggruppa gli stessi con l’obiettivo di creare un “prodotto” omogeneo. Nel 1993 esce la scala unificata europea del pericolo valanghe, quindi un ulteriore evoluzione nella lettura di un prodotto omogeneo e di semplice interpretazione.
Attualmente i due enti che si occupano di previsioni e bollettini valanghe in Italia sono Meteomont (costituito da Truppe Alpine dell’Esercito Italiano, Servizio Meteorologico dell’aeronautica Militare e ora ex Corpo Forestale dello Stato) e AINEVA, che recentemente hanno siglato un accordo per lo scambio dei dati e delle valutazioni nivo-meteorologiche nonché la formazione del personale. Un ulteriore passo avanti quindi che permetterà l’elaborazione di bollettini sempre più affidabili. In Dolomiti, come altrove, non si esce senza aver dato un occhio al bollettino valanghe…
Altra grossa spinta alla pratica dello scialpinismo in queste valli l’ha data la nascita di un movimento sportivo che ruota attorno alle gare. Sempre più competizioni, trofei e manifestazioni si sono susseguite dagli anni 2000 in poi. Appena cade la prima neve, le pendici del ghiacciaio della Marmolada, la nostra montagna più alta, inizia a pullulare di atleti e amatori. E se fino a 7/8 anni fa l’abbigliamento che prevaleva era quello agonistico con tutina e materiali superleggeri, segno evidente che si trattava di atleti, ora si notano sempre più frequentemente abbigliamenti da alpinismo classico. Social network e blog, inoltre, consentono uno scambio di informazione non indifferente. Se prima si rischiava di farsi due ore di macchina o più col rischio di non trovare neve abbastanza o accumuli da vento, ora siamo informati se troveremo neve, se un itinerario è già stato tracciato e se in giro si vedono distacchi valanghivi. Certamente le informazioni non sempre giungono corrette o precise, ma son comunque notizie che aiutano e invogliano a partire…
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