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“Coi requisiti cittadini a 18 anni”: per Malagò è roba di sport, non di politica
C’è tutta l’ipocrisia della politica italiana, nelle risposte che il presidente del Coni Malagò dà a caldo a chi gli chiede di come “valorizzare” al meglio il serbatoio di medaglie che verosimilmente giace nelle nuove generazioni di italiani o italianizzabili che arrivano dall’estero. Ma c’è anche tutta confusione di un dibattito pubblico che parte dalla vittoria di Marcel Jacobs: un caso così fuori fuoco, rispetto al tema dei requisiti di cittadinanza, da essere quasi controproducente ai fini di chi la causa dello Ius Soli – o comunque di una riforma si cittadinanza – la vuole perorare davvero. Marcel Jacobs, infatti, è cittadino dalla nascita perchè di sangue (materno) italiano, e anzi lo ius soli americano – essendo lui nato in Texas – gli dà anche il diritto alla cittadinanza americana. Parlare di cambio della legge sulla cittadinanza a partire dall’oro di Marcell è solo segno di grande confusione: sicuramente Malagò sa bene che l’atleta bresciano non c’entra col dibattito, anche se la sua frase “la risposta migliore sul punto l’ha data Draghi, convocando entrambi gli atleti per congratularsi” alimenta ovviamente la confusione. Torniamo, invece, al tema politico – pardon, sportivo! – sollevato da Malagò.
Giovanni Malagò, passato in venti minuti da imputato di un fallimento ad artefice del trionfo, dice in sintesi così: “Lo ius soli è una questione politica, noi non parliamo di politica, ma ci occupiamo di sport. Occupandoci di sport, chiediamo a gran voce che a 18 anni e un minuto chi ha i requisiti deve – sottolineo: deve! – diventare immediatamente cittadino, senza invece perdersi in lunghe trafile burocratiche che fanno perdere tempo e, spesso, espongono ragazzi sui quali abbiamo investito, a essere tesserati da altre federazioni. Non riconoscere lo ius sportivo è abberrante!”. Roba di sport, certo, non di politica. Come se questa frase non riguardasse, in realtà, tutti i giovani che, avendo i requisiti per diventare cittadini italiani, non si trovano a vivere a 18 annni la stessa delirante trafila, le attese, la burocrazia soverchiante, e così via. Attenzione: non stiamo parlando, però, di cambiare la legge sulla cittadinanza, introducendo nuovi criteri come lo ius soli o lo ius culturae. Si sta solo parlando di intervenire sulla macchina amministrativa e burocratica che, invece di garantire un accesso alla cittadinanza rapido a chi ne ha diritto, obbliga a lungaggini e attese inaccettabili. Una sorta di razzismo della burocrazia. Una intervento di civiltà che – spiace per Malagò – non può essere valido solo per gli sportivi, e non solo per ovvi motivi di eguaglianza tra sportivi talentuosi e resto del mondo. C’è, infatti, anche una ragione di opportunità e utilità analoga a quella che muove il ragionamento di Malagò: perchè non è nostro interesse dare rapida cittadinanza solo a quanti ne hanno diritto tra gli sportivi, ma anche a tutti gli altri. Anche sugli altri, infatti, una società intera ha investito, e obbligarli a cercare altrove un luogo in cui spendere talento e lavoro è solo un altro assurdo di un paese autolesionista. Se questa nazionale orgogliasemente meticcia e vincente aiutasse il paese a capire che rendere ragionevole il processo di cittadinanza non è solo giusto, ma anche utile, sarebbe un’altra medaglia – una in più – da mettere al collo ai giovani che da Tokyo ci stanno tenendo una meravigliosa compagnia, dopo anni così difficili.
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